A bordo della CMA CGM Medea, 30 settembre 2015
Ieri alle 16 e’ scattato il “codice ISPS 2”, una serie di misure di sicurezze imposte dell’Organizzazione Marittima Internazionale nel 2002 per contrastare le minacce della piraterie, attacchi terroristici e anche il traffico di clandestini. Il comandante dice che il livello 2 durera’ fino a Salalah e che per questo tutte le porte dovranno essere chiuse salvo quella sul ponte A a dritta. Se si va fuori bisogna comunicarlo alla passerella dove – a sorpresa - sono comparsi anche quattro giubbotti anti proiettili e quattro elmetti da guerra appoggiati in bella vista su un ripiano. Una visione un po’ sinistra ma che ricorda come tra queste acque, fino a un po’ di tempo, si viaggiava con le dita incrociate, sobbalzando alla vista di ogni peschereccio che si avvicinava troppo.... Il capitano dice che non ci sono armi a bordo, ma non ne sono cosi’ sicura...
Come abbiamo concordato qualche giorni fa, oggi c’e’ la visita alla sala macchine. Alle 9.30 ci presentiamo nell’ufficio del ponte A dove ci accoglie il capo ingegnere Antoine Burnouf e il cadetto Guillome, entrambi in tuta blu da lavoro. Ci danno una pettorina gialla, un casco bianco, dei tappi per le orecchie e dei guanti. E’ da un po’ di giorni che Antoine ci sfotte con questa visita, dicendoci che avremo un bel caldo, dato che fuori ci sono 40 gradi...Aveva riso anche che che mi lamentavo per l’aria condizionata della mia cabina che mi costringe a tenere aperti gli oblo’ per fare entrare l’aria calda.
Quando vedi il motore di una nave come la Medea ti viene da pensare all’epoca della rivoluzione industriale, alle macchine a vapore, con enormi pistoni e cinghie di trasmissioni, tipo quelle che si vedono nei musei della Scienza. Il primo pensiero che ho avuto e’ che la nostra tanto declamata “digital economy” alla fin fine si regge su delle pulegge e del grasso d’olio. E-commerce? Ma mi faccia il piacere, per parfrasare Toto.
Il motore della Medea ha 12 cilindri, ognuno due metri di diametro circa, ed e’ grande come un palazzo di tre o quattro piani. In un altro enorme stanzone c’e’ l’impianto di raffreddamento e in un altro ancora il ‘turbo’. Poi ci sono gli impianti per trattare il carburante, che e’ una specie di ‘raffineria’ e una mini centrale elettrica che potrebbe servire una citta’ di 26 mila abitanti. E un impianto per desalinazzare l’acqua. C’era un inceneritore per i rifiuti, ma e’ stato levato perche’ troppo inquinante. Il tutto in un baccano infernale, oltre che un caldo soffocante.
Dal motore esce una trasmissione lunga circa 30 metri a cui e’ attaccata l’elica. Si puo’ arrivare fino nel piccolo vano, che e’ sotto il livello dell’acqua, dove spunta l’elica, ma ovviamente non si vede fuori.... Tutte le tubature sono rivestite di una specie di gommapiuma per non farsi del male. Adesso la nave non ondeggia perche’ non ci sono onde, ma penso con terrore come potrebbe essere quando c’e’ la tempesta. Anche se all’interno dello scafo il dondolio si sente di meno che sul ponte che e’ in alto .
Chiedo ad Antoine cosa si fa per ridurre il consumo e quindi per inquinare di meno. Pare che l’unico modo sia di ridurre la velocita’ o per lo meno non superare i 18 nodi come abbiamo sempre fatto.
I pannelli solari, non sono una soluzione, perche’ non c’e’ posto per metterli. Anche un sistema ibrido, che sfrutta la corrente, avrebbe l’effetto di frenare con ulteriore consumo di carburante, e poi sono sistemi costosi. Una portacontainer deve poi utilizzare gli spazi per il carico, e quindi non c’e’ molta possibilita’ per sperimenti. A quanto pare, per volume di carico, il trasporto marittimo e’ quello meno inquinante. Ma quando guardo il camino della Medea che vomita fumo nero ho qualche dubbio.... Nel libro della giornalista Rose George (‘Deep Sea and Foreign Going’), che e’utilissimo perche’ descrive molte situazioni che poi mi sono ritrovata a vivere qui, si cita uno studio scientifico secondo il quale gli abitanti delle citta’ portuali soffrono di un tasso di tumori piu’ elevato a causa delle navi ormeggiate che tengono i motori accesi.
Antoine mi dice che una nave, nella sua vita, non spegne mai i motori, se non due o tre volte quando va al cantiere per la ‘revisione’. C’e’ bisogno di elettricita’, per produrre acqua, per i frigoriferi, oltre che per i ‘reefer’ i container frigo. Negli Stati Uniti, i cargo si attaccano alla rete elettrica del porto, ma in Europa “non si e’ attrezzati per questo”. Ancora una volta penso che questo settore dell’economia sia rimasto indietro, probabilmente perche’ e’ ‘invisibile”, non compare mai sui media, se non in caso di tragedie, come le disastrose falle delle petroliere.
A proposito, i serbatoi della Medea sono nel doppio scafo, ora ci sono 7 mila tonnellate di carburante, un’andata e ritorno da Francia alla Malaysia richiede 4-5 mila tonnellate. Il ‘pieno’ e’ di 12 mila tonn. Immagino che visto che ora il petrolio costa poco, la Cma Cgm ha deciso di riempire il serbatoio delle proprie navi. Tutto e’ calcolato per fare risparmi...
Il capo ingegnere ci mostra orgoglioso una mini plancia dove, in teoria, si potrebbe pilotare la nave. Mi sembra che ogni tanto abbia una punta di polemica con quelli che lavorano alla passerella. In effetti dalla plancia di comando, tra monitor silenziosi e vetrate panoramiche, non si ha la minima idea dell’inferno giu’ in basso. Sono due mondi separati, a tal punto che non comunica neppure “se non c’e’ bisogno”.
Lo guardo perplessa. “Intendi dire – chiedo - che se il comandante decide per esempio di andare piu’ veloce non ti chiama ma semplicemente spinge in avanti il telegrafo di macchina”. Si mette a ridere e poi risponde: “in una nave come questa tutto e’ programmato in anticipo da chi fa la rotta. Anche se volesse andare a 20 nodi non potrebbe, sono io che faccio andare la macchina”. Mi viene di nuovo da pensare a una emergenza, tipo attacco pirati, in cui bisogna “aumentare la velocita’ e zigzagare” secondo il codice di sicurezza...
Antoine e’ dal 2013 sulla Medea e c’e’ stato anche dopo il suo varo. Conosce quasi tutto, ma non tutto “perche’ e’ impossibile”, dice. I manuali di istruzioni occupano una parete del suo ufficio che somiglia a una sala di controllo di una centrale elettrica, con una fila di bottoni e interruttori. I quadri elettrici mi ricordano quelli che faceva mio padre, elettricista specializzato in impianti industriali, circa 40 anni fa.
Faccio un paio di domande stupide, tipo se si hanno tutti i pezzi di ricambio e cosa succede se qualcosa si rompe. Mi dice che esiste un ‘pronto intervento’ a Marsiglia a cui si puo’chiedere assistenza on line (l’internet c’e’ sempre grazie al satellite). Ma anche qui vedi un po’ di polemica ad accettare la moderna tecnologia e anche le imposizioni della societa’. “La principale qualita’ di un marinaio e’ l’adattabilita’” dice e poi fa finta di annusare un interruttore. “Quando c’e’ un guasto bisogna essere qui, vedere e sentire con il naso cosa c’e’ che non va. Siamo in mezzo al mare, non in un ufficio”. E mi racconta un paio di aneddoti di casi estremi in cui si e’ ingegnato.
Se ho ben capito, il chief ingegnere viene subito dopo il comandante nella rigida gerarchia della nave. Vorrei chiedergli se va d’accordo con Carpentier e se quest’ultimo scenda ogni tanto nella sala macchine....ma e’ ormai ora di pranzo e bisogna risalire.