Verso una geopolitica italiana: il pensiero euromediterraneo e la lezione eurasiatica

Creato il 23 settembre 2014 da Eurasia @eurasiarivista
Italia :::: Amedeo Maddaluno :::: 23 settembre, 2014 ::::  

Dove nasce la geopolitica

Il percorso storico, politico e strategico che lega quanto avevamo detto nei precedenti studi sui popoli arabi e sugli altri “popoli-ponte” della geopolitica eurasiatica(1) – turchi, iranici e slavo-russi – non può che concludersi nel cuore del bacino mediterraneo, sulla dorsale della Penisola Italiana. Una proposta di idea geopolitica e di visione strategica del ruolo del nostro paese non può che prendere le mosse da una presa di coscienza della sua natura e della sua storia in quanto definitiva cerniera non solo tra Oriente ed Occidente ma anche tra Nord e Sud. Abbracciando i quattro punti cardinali il nostro paese si trova nella posizione di poter scegliere se elevare il proprio ruolo oppure lasciarsi trascinare in uno e uno solo dei molteplici schieramenti di conflitto tra potenze, riducendosi a mera pedina. Una dottrina ed una strategia delle relazioni internazionali non può prescindere da una visione geopolitica organica che a propria volta non può che derivare dall’autocoscienza della propria storia e della propria cultura. Le più grandi potenze hanno avuto modo di compiere questo percorso: l’Inghilterra vedendosi come l’Isola per eccellenza, base di partenza di mercanti e centro finanziario del mondo, la Germania come potenza continentale e industriale che ha nell’essere il cuore della mitteleuropa la propria essenza di Stato di terraferma, così come la Russia è il grande ponte dell’Eurasia ed uno degli alvei privilegiati delle nuove ed antiche rotte transcontinentali. L’Italia? E’ marittima o terrestre? Siamo mercanti o produttori? Dobbiamo valicare i monti o attraversare il mare? Siamo solo latini e greci o il nord ha vissuto un apporto germanico e celtico così come il sud quello arabo? Con chi tessere relazioni e dove commerciare? Quali le nostre aree di sviluppo?

L’Italia euromediterranea

Se dal punto di vista geografico i governi Crispi e Mussolini intuirono le potenzialità mediterranee del paese – e non solo sul piano coloniale e militare – i governi democristiani e socialisti e della Seconda Repubblica non hanno mai trascurato di tutelare l’interesse nazionale nel Mare Nostrum senza appiattirsi sul comodo atlantismo, sul banale occidentalismo. Per descrivere gli interessi italiani esterni allo spazio immediatamente occidentale basta un solo dato: il 17,6 % di tutto il gas acquistato nel 2012 dall’ENI da società consolidate proveniva da Algeria e Libia, quota seconda solo al 34,5% proveniente proprio dalla Russia (2). Quando l’Italia ha avuto coscienza della propria natura euromediterranea ha trovato la via della prosperità. Quando ha scelto di guardare solo ad un’Europa continentale della quale non può geograficamente far parte in modo esclusivo ecco che ha subito la sudditanza di attori più forti e più radicati in quel contesto – non solo la Francia ma soprattutto la Germania. La Roma che dominò il Mare Nostrum venne sconfitta a Teutoburgo, il Duce che imbracciò in Libia la spada dell’Islam commise l’errore – partendo da essere mediatore autorevole tra Churchill e Hitler – di unirsi alla sola Germania, nazione che per semplice posizione dominerà come ha sempre dominato il Nord delle Alpi. Nondimeno l’Italia commercia massicciamente con la Germania, la Francia e il Benelux. Nondimeno essa non solo è terra europea: ha fondato l’Europa – e non parlo della sovrastruttura burocratica dell’UE, ma dell’Europa come civiltà, da Roma al Barocco passando per San Benedetto al Rinascimento. Siamo la culla dell’Occidente cattolico, ma siamo stati, da Venezia alle odierne relazioni con la Russia, una porta verso l’Oriente. Economicamente, politicamente e culturalmente il peggior sbaglio che possiamo compiere è quello di consacrarci ad un solo campo di gioco (Nord o Sud, Est o Ovest). Prescindere da Francia e Germania ci sarebbe fatale come prescindere dal Mediterraneo e dalla Russia.

La cultura Italiana nella coscienza politica del Paese

Molto si è detto sulla necessità di “fare gli italiani”, divisi dai regionalismi per lingua e mentalità. Ebbene, per tacere del passato comune, della base neolatina dei suoi dialetti e dell’innato spirito comunitario di tutta la nostra cultura nazionale, è proprio questo regionalismo la nostra peculiarità positiva. Lo Spazio della Pianura Padana può giovarsi di una propria sottogeopolitica mitteleuropea, area della quale Genova e Trieste sono gli sbocchi sul mare (mentre i porti del sud hanno spesso natura intermodale, i porti del Nord servono un entroterra industriale)(3). Il Sud è il nostro vero braccio mediterraneo, il Centro il collo che unisce queste due teste (e in modo fertile, si pensi alla cultura toscana). L’identità regionale, se valorizzata e non vissuta come frazionismo (tutti abbastanza forti da dividere e nessuno abbastanza forte per unire penserebbe Machiavelli) è un punto di forza. L’identità territoriale italiana è data dai mille campanili – circa 8000 municipalità – diffusi nel nostro paese, un fattore identitario, forte, vitale, immediato e capace di mobilitare un volontariato che ha scarsi eguali nel resto d’Europa(4). Il localismo italiano si fa imprenditorialità – opposta all’assistenzialismo generato da stati più forti e presenti ma che rischia di inibire l’operosità dei cittadini. La vera sfida sta nel fare sistema. Anche e soprattutto al Nord, questo passaggio vantaggioso si è avuto con l’Unità Nazionale; ciò ribadito, il patriottismo laico non deve portarci a scordare la virtù che sottende al volontariato italiano: il fattore unificante del cattolicesimo. Come nella Russia di Putin avanza una lettura dell’Ortodossia come fattore identitario, in Italia dobbiamo registrare che il Cattolicesimo è uno dei ponti naturali che possono portarci a superare le differenze regionali. Il patriottismo laico ha dato tantissimo all’Unità Nazionale ma si è trattato di una costruzione calata dall’alto e dalle classi intellettuali liberali. Il fascismo ha provato a renderlo “popolare” ma non è riuscito a superare – e nemmeno ha ritenuto saggio o anche solo possibile riuscirci – lo spirito cattolico del popolo italiano. La contaminazione del pensiero sociale cristiano ha positivamente raggiunto anche i comunisti italiani, simbolicamente partendo dal voto a favore all’inserimento del riferimento al Concordato nella Costituzione voluto da Togliatti. Lo spirito cooperativista e sociale pur nelle rivalità ha costituito un comune dato culturale tra comunisti e cattolici. La sintesi di questa dottrina è un originale “socialismo cristiano” popolare che non è estraneo all’eredità e alle migliori intuizioni del corporativismo e della programmazione economica del Ventennio. Questa vera e propria “ideologia nazionale implicita” – che qui proviamo a sintetizzare – costituisce l’originalità dell’Italia. Tramontata nel pragmatismo togliattiano l’idea di una rivoluzione proletaria, il PCI ha intrapreso la ricerca di una via al socialismo che sposasse il carattere nazionale del paese – felice idea già di Stalin, di Mao e dei terzomondisti come Che Guevara e Castro, tutti estranei all’astrattismo e all’avventurismo trotzkista. Lo spirito cooperativo, sociale e comunitario, la massiccia presenza delle istituzioni cattoliche nel tessuto sociale, unitamente alla forza delle comunità locali è fattore premiante anche nell’integrazione degli stranieri: in contesti umani costituiti da piccoli centri e non dalle alienanti periferie (di metropoli alienate), l’assimilazione e l’integrazione divengono processo lento ma umano. Il ritorno di fiamma del gihadismo nelle seconde e terze generazioni di immigrati musulmani in Europa pone il tema della ricerca di un’identità e di una missione di vita per la persona che la liberaldemocrazia occidentalista, distruttrice delle identità e della socialità e teorizzatrice dell’individualismo, non saprà mai dare, come invece può un’italianità gelosamente attaccata a radici tradizionali dal volto umano e non esclusivo. Il miope attacco laicista, liberaldemocratico e capitalista, politicamente corretto ed occidentalista all’Italia popolare è diretto quindi al suo cuore: il cattolicesimo nazionale. Si attacca la Chiesa asserendo l’insostenibilità per lo Stato delle sovvenzioni alle strutture cattoliche o delle esenzioni fiscali. Nessuno indica la positiva ricaduta – anche immediatamente “monetaria” e quantificabile – per la socialità della fonte di aggregazione che chiese, studentati, ospedali, scuole e oratori costituiscono nelle periferie e nei piccoli centri, fornendo servizi e integrando anche giovani stranieri di differente religione. Sapere che ad esempio il 25% dei ragazzi frequentanti gli oratori milanesi è di fede islamica (5) può suggerire una fertile riflessione sull’integrazione degli immigrati musulmani e la loro apparente minore sensibilità alle sirene fondamentaliste. Chiude il cerchio sapere che sempre in prima file negli attacchi e nelle campagne anticattoliche vi è il Partito Radicale, pacifista tranne quando si tratta di sganciare bombe sui nemici dell’America, atlantista fino al midollo e molto probabilmente collegato al magnate americano Soros (6), grande sponsor delle Rivoluzioni Colorate nello spazio russo.

Conclusioni: il metodo geopolitico

Questo tentativo di delineare nel modo più breve possibile un’ organica ”ideologia italiana” è la base per riflettere sull’identità nazionale e sulla geopolitica del nostro paese per delinearne la strategia. Solo una volta individuate le specificità storiche, geografiche, politiche e culturali dell’Italia potremo ambire a idearne una visione. Tale è la lezione metodologica di Aleksandr Dugin: prima la cultura e la storia, poi la geopolitica e la strategia. Una riflessione strategica completa ed organica, scevra da pregiudizi: valorizzare quanto di positivo vi era nelle intuizioni mediterranee di Mussolini non può e non deve scandalizzare così come non può e non deve scandalizzare l’accostamento alle intuizioni strategiche di Togliatti, a quelle tradizionali, contadine ed anticonsumistiche di Pasolini, a quelle culturali di Gramsci, a quelle geoeconomiche di Enrico Mattei, a quelle sociali del mondo cattolico. La lezione di Dugin e dell’eurasiatismo deve essere appresa fino in fondo: a Mosca il riconoscimento – pur nella critica – dei meriti di Lenin e Stalin va di pari passo con la tutela dell’eredità culturale dell’Ortodossia. La russità è la sintesi di questi opposti così come l’italianità la sintesi di quelli. Da ciò è derivata l’autocoscienza eurasiatica della Russia, da ciò potrà derivare quella euromediterranea dell’Italia.

Note

1. http://www.eurasia-rivista.org/le-nazioni-ponte-dello-spazio-eurasiatico/19870/
2. http://www.eni.com/it_IT/azienda/attivita-strategie/gas-power/approvvigionamenti-gas/approvigionamenti.shtml. Sui rapporti tra ENI e Russia http://www.eni.com/it_IT/eni-mondo/pdf/federazione-russa-attivita.pdf.
3. Paolo Sellari, “Geopolitica dei trasporti”, 2013 Laterza
4. Francesco Billari e Gianpiero della Zuanna, “La rivoluzione nella culla”, 2008 Università Bocconi
5. http://www.lastampa.it/2014/01/18/blogs/san-pietro-e-dintorni/milano-oratori-islamici-dxBsa1B48SoWNvIRuLm0KL/pagina.html
6. http://radicali.it/rassegna-stampa/pannella-assolda-persino-soros-pianta-cannabis-alla-camera

Bibliografia
Aleksandr Dugin, “Eurasia. La rivoluzione conservatrice in Russia”, 2004, Nuove Idee
AA.VV. Eurasia, rivista di studi geopolitici. Anno 2012 Vol.2: “Italia: 150 di una piccola grande potenza”
AA.VV. Limes, rivista italiana di geopolitica. Anno 2013 Vol.4: “L’Italia di nessuno”
Carlo Jean, “Geopolitica del mondo contemporaneo, 2012 Laterza
Costanzo Preve, “Elogio del Comunitarismo”, 2006, Controcorrente
Filippo Pederzini, “Aleksandr Dugin in Italia”, 2005, Online su Eurasia ( http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EEEZuZkZFkGkDmlpnh.shtml )

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