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VI Summit delle Americhe: sotto il vestito niente

Creato il 17 aprile 2012 da Eldorado

È finito in un nulla di fatto il sesto Summit delle Americhe. I cinque i temi centrali sul tappeto (la povertà, la sicurezza, i disastri naturali, l’accesso alle nuove tecnologie e la protezione fisica del continente) tanto generali quanto di facciata si sono rivelati per quello che erano, argomenti generici e vaghi, presentati quasi con l’intenzione di ridurre l’interesse sulle tematiche di attualità e richieste dall’assise dei paesi latinoamericani.

La questione delle Malvinas, l’inclusione di Cuba al prossimo vertice e la legalizzazione delle droghe sono stati soprasseduti dalla difesa ad oltranza dello statu quo da parte degli Stati Uniti e del Canada, al punto da svuotare il summit di ogni significato.

Il disaccordo è stato palese. All’assenza già annunciata di Rafael Correa, sono seguite quelle di Hugo Chávez, Daniel Ortega e Mauricio Funes. Di fronte all’inazione diplomatica, domenica mattina hanno lasciato in fretta il vertice anche Cristina Kirchner ed Evo Morales, a testimonianza di come il summit non sia stato altro che una vuota passerella di capi di Stato, priva di contenuti e di iniziativa. All’impossibilità di assistere alle riunioni –perfino in circuito chiuso- ai giornalisti non è rimasto che disquisire sull’abbigliamento usato dai presidenti: guayabera per Pérez, vestito intero (con Rayban) per la Chinchilla, Lugo con la camicia indigena. Le critiche sono invece piovute su Shakira che, chiamata ad interpretare l’inno colombiano in apertura dell’incontro, si è impappinata due volte sul testo. In mancanza di argomenti seri da affrontare, ha tenuto banco anche l’amichevole di calcio Colombia-Bolivia, finita 2-2, con in campo i presidenti Santos e Morales, oltre ad ex giocatori come Faustino Asprilla e Mauricio Serna. Insomma, in questo clima da sagra paesana è caduto nel vuoto il tentativo di José Manuel Santos di organizzare un incontro propositivo, iniziativa che doveva rilanciare il ruolo della Colombia nell’ambito della politica regionale. Santos ci ha provato, appoggiando la proposta del presidente guatemalteco Otto Pérez sulla legalizzazione delle droghe e perorando la causa argentina sulla sovranità dell’arcipelago delle Malvinas, ma i suoi tentativi non hanno trovato terreno fertile. A dire no ci ha pensato Barack Obama, il cui Nobel per la pace, a distanza di tre anni, equivale più o meno all’Oscar vinto da Marisa Tomei per ¨Mio cugino Vincenzo¨ (My cousin Vinny, 1992). Almeno, la Tomei ci aveva fatto ridere. Il discorso di Obama è stato attinente al titolo del summit: ¨Unendo le Americhe, soci per la prosperità¨, un motto che ha molto di commerciale, ma ben poco di politico e che lascia misere speranze per le istanze della società civile. Per il resto, abbiamo ascoltato le solite parole fritte e rifritte: democrazia, libertà, diritti umani, sempre più vuote se non seguite dall’azione. Così mentre la Clinton ballava in discoteca ed i membri del Servizio segreto Usa andavano letteralmente a puttane (in dodici sono stati espulsi per comportamenti contro la morale) a Obama non restava che remare.

VI Summit delle Americhe: sotto il vestito niente
Agli Stati Uniti continua a fare brodo il conformismo: nessuna apertura per Cuba, nessuna apertura sulle droghe –anche se il loro mercato interno continua ad essere la causa principale della deriva sociale dell’istmo centroamericano-, meno che meno fare uno sgarbo alla Gran Bretagna sulla questione delle Malvinas.

L’America, insomma, è divisa. È non è solo una questione di lingua che separa il nord dal sud del continente. È la dialettica che diverge, nonché la differente interpretazione sui grandi temi perché, ideologie a parte, l’America latina attuale ha preso coscienza dei propri mezzi. Testa e corpo del continente vanno in due direzioni diverse e da questo summit non è emersa nessuna posizione congiunta. Per la terza volta consecutiva, il vertice si risolve in un niente; non si è riusciti a firmare un documento di intesa, a testimonianza di questa disgiunzione. Tra tre anni –probabilmente a Panama- le cose staranno anche peggio.

Più utile e propositiva è stata invece la Cumbre de los pueblos: una dichiarazione finale e comune, almeno i delegati delle organizzazioni indigene e civili sono riusciti a firmarla:

http://www.cumbredelospueblos2012.org/


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