Una recensione presuntuosa come Emma Dante
Ci sono quelle persone che si fissano su un’idea “Emma Dante la presuntuosa”. Ci sono quelle che cambiano opinione “Però è un gran film”. Ci sono quelle che non si fanno influenzare dal pensiero comune “Molto interessante, qualche imperfezione”. Ci sono quelle che decidono di accettare l’opinione di massa “Bellissimo” / “Inguardabile”.
Il contesto è importante. Vedere un film come Via Castellana Bandiera a Firenze dovrebbe essere un’esperienza trascendentale. A Palermo è troppo facile, invece. Devi essere davvero fortunato nel ritrovarti all’interno di una sala cinematografica con delle persone che, in assoluto silenzio, guardino insieme a te la pellicola con rispetto ed osservanza. Io, tanto fortunato non sono stato: l’uomo dietro di me commentava di tanto in tanto, a voce alta, alla propria vicina di poltrona, la Palermo che riconosceva, come se non avesse alcun filtro cerebrale e, giunti alle scene finali, un gruppo di ventenni iniziava a fare normalmente chiasso, mentre i condizionatori si azionavano tutti sparati sul mio povero collo, “latata” destra. Sui titoli di coda la gente si alzava e se ne andava. Nel frattempo avevo il solito timore che l’addetto potesse accendere le luci, perché ero ancora dentro il film. Le luci mi avrebbero intimato di uscire, come quando la sveglia al mattino ti comunica che è l’ora di iniziare una nuova giornata nel mondo reale.
Le luci arrivano, eccole, e dopo anni so come comportarmi. Mi mantengo immobile, leggo fino alla fine i titoli, finché non rimaniamo in pochi intimi. Qualcuno è stato così coraggioso da battere le mani e, non avendo ricevuto riscontro, torna sui suoi passi. In genere i film importanti ti lasciano di stucco o ti imprimono quella stramba espressione del viso che non si sa cosa vuol comunicare: solo un insieme di cose, un «mah» di quelli positivi che aspettano la passeggiata, anche sotto una pioggia incessante, per potersi convertire in parole, elucubrazioni mentali, riflessioni a caldo, spesso dettate dal sentimento, perché lo schermo grande del cinema riesce sempre ad ingigantire le sensazioni, anche se il film lo rivaluterai in negativo. Qualcuno iniziava a commentare camminando, a fare le proprie recensioni personali, libere, presuntuose come la stessa Emma Dante. Probabilmente c’è un comma specifico nella nostra Costituzione che recita «ognuno è libero di recensire ciò che vuole, ergendosi soprattutto a specialista del settore».
La maggior parte dei palermitani reagisce in modo particolare di fronte ad una rappresentazione della propria città: si diverte, ride e si intenerisce. Si ritrova persino a sfotterla. Come se Palermo fosse inevitabilmente o il salotto buono o quello cattivo; la borghesia e il suo dialetto italianizzato o, dall’altro lato del mondo, il ghetto del centro storico, dei quartieri popolari. Le due Palermo (in realtà sono molte di più) si guardano con ostilità, con invidia, con rispetto, con indifferenza. Ecco cosa ho capito guardando questo film. La maggior parte della gente non può assolutamente averlo capito. Tu che vivi in via Dante non puoi comprendere a quali regole devi sottostare in via Mendola, tu che vivi in via Notarbartolo non potrai sapere come si sopravvive in via delle Pergole. Perciò eccolo il sentimento di distacco di chi va a vedere un film come questo, che parla di Palermo e non. Quelli che sbraitano, che si mettono con la panza di fuori, che bevono birra al posto dell’acqua, che usano le maniere forti, che sembrano mafiosi, che sembrano paesani, un’altra razza, altro carattere, altri usi e costumi, come è facile non capire che il film sta parlando proprio di te? Questi spettatori sprovveduti provano tenerezza e compassione nei confronti di quelle realtà piccole e arretrate dove il tempo si è fermato al dopoguerra e non si curano del fatto che questa realtà sta a due passi dalla loro abitazione. Ci ridono su perché pensano che sia una finzione, l’estremizzazione dei tratti veraci della comicità o dell’idiozia meridionale. Ma se si provasse a bere il caffè amaro talvolta, se si provasse a fermare l’attimo riprodotto con l’arte per capirne il senso, rispettandone i momenti di silenzio e di caos, forse un film su Palermo (e non) apparirebbe meno una rappresentazione sguaiata e perlopiù un buco della serratura, da dove spiare che cosa siamo stati ieri, oggi, e forse anche domani. Ci diamo una mossa?