(Far from the madding crowd)
di Thomas Vinterberg (Usa, 2015)
con Carey Mulligan, Matthias Schoenaerts, Michael Sheen, Tom Sturridge, Juno Temple, Jessica Barden
durata: 117 minuti
★★☆☆☆
Ed eccola qui la prima, vera, grande delusione della nuova annata cinematografica. Nutrivo forti aspettative su questo film, inutile negarlo, soprattutto per via del suo regista: quel Thomas Vinterberg che con la sua opera precedente, Il sospetto, aveva esaltato pubblico e critica firmando un film durissimo, lucido, impeccabile, emotivamente (quasi) insostenibile per tensione e drammaticità, che andava a toccare argomenti scomodi e coraggiosi (la pedofilia e i pregiudizi della gente verso chi viene giudicato colpevole ancor prima di accertare i fatti). E quindi mi pare davvero impossibile che questo Via dalla pazza folla sia diretto dallo stesso Vinterberg: come si faccia, infatti, a passare da un film come Il sospetto a questo polpettone melenso e banalotto in trine è merletti e francamente incomprensibile...
Intendiamoci, non è che Via dalla pazza folla sia inguardabile, tutt'altro: semplicemente ci si interroga sul senso dell'operazione, dato che il film ricalca pedissequamente, senza slanci, il romanzo di Thomas Hardy da cui è tratto, ma in una maniera così convenzionale e piatta da sembrare un compitino da recita scolastica, vanificando anche il talento della protagonista, la sempre brava Carey Mulligan, qui "ingabbiata" da una sceneggiatura colpevolmente inconsistente (mentre invece ci sfuggono i presunti meriti del suo partner artistico, quel Matthias Schoenaerts la cui espressività ricorda molto quella della mummia di Tutankhamon... lo vedremo presto anche in A bigger splash di Luca Guadagnino, con analoghi risultati).
Quello che disturba alquanto, in Via dalla pazza folla, è il fatto che Vinterberg non metta proprio niente di suo: la regìa è solida, puntale ed elegante, ma davvero troppo anonima per questa storia abbastanza scontata (anche senza aver letto il romanzo, e ammetto di non averlo letto, lo spettatore impiega qualche decina di minuti per capire come andrà a finire... evidentemente il punto di forza del libro di Hardy non dev'essere stata certo la trama, ma nel film non se ne ha cognizione).
Siamo nel 1874: la giovane e indomita Betsabea Everdene eredita a sorpresa una grande fattoria nella campagna londinese, ed il suo cuore viene conteso da tre uomini: il fedele ed innamoratissimo Gabriel Oak, ex pastore caduto in disgrazia, il ricco e maturo (e soprattutto scapolo) William Boldwood e l'arrogante Francis Troy, soldato dell'esercito di Sua Maestà. Betsabea rifiuta sia le avances del pastore che quelle del riccone (ed entrambi ci rimangono malissimo) in nome della sua indipendenza e di un femminismo che al giorno d'oggi fa quasi tenerezza, mentre ovviamente non esiterà a gettarsi tra le braccia dell'uomo sbagliato, l'antipatico e dissoluto militare che la condurrà ad una vita infelice. Almeno fino a quando non troverà la forza (e la fortuna) di tagliare i ponti con lui. E a questo punto potete immaginarvi come andrà a finire...
Gli aspetti positivi del film riguardano soprattutto le ambientazioni: la fotografia selvaggia e tipicamente "british", le scenografie vittoriane e i costumi accuratissimi rendono impeccabile la confezione, ma tutto questo non è sufficiente a farci piacere una pellicola che, pur accontentando gli animi più sentimentali e le donzelle ben disposte alla lacrimuccia, finisce irrimediabilmente per annoiare a causa della lentezza della visione e i telefonatissimi colpi di scena della storia. Vinterberg sbaglia a puntare tutto sulla forma e pochissimo sulla sostanza (i personaggi sono poco più che figurine, non riusciamo mai a provare empatia oppure avversione per nessuno di essi) riducendosi a girare un qualcosa che si avvicina molto più a una soap televisiva piuttosto che a un melò capace di scaldare i cuori. E del resto, a giudicare dagli incassi, anche l'accoglienza del pubblico è sembrata, perlappunto, alquanto "freddina"...