Un romance con spruzzate di dramma.
Sintesi stretta e concisa di, "Via Dalla Pazza Folla", romanzo di fine ottocento composto dallo scrittore britannico Thomas Hardy e diretto, nel suo terzo adattamento cinematografico, da un altro Thomas, il danese Vintenberg, al quale spetta l'incarico di elevare al massimo la sceneggiatura concepita dall'altro scrittore britannico, David Nicholls.
Si tratta del tipico intreccio d'amore confinato agli usi e costumi dell'epoca: con la bella ed aspirante emancipata Bathsheba Everdene che rifiuta, nonostante la sua povertà (e un principio di interesse), la richiesta di matrimonio del proprietario terriero Gabriel Oak, il quale di li a breve, perde velocemente in una sola notte tutti quelli che erano i suoi averi. Stesso capovolgimento di fronte che capita, quasi in sincronia, anche a Bathsheba, quando viene a sapere di avere appena ereditato la fortuna dello zio, insieme alla sua enorme fattoria. Così Oak da potenziale marito si ritrova, in poco tempo, ad essere il dipendente tuttofare della donna che ama (o amava), mentre intanto altri uomini cominciano a farsi sotto, offrendosi a lei come papabili pretendenti amorosi.
In quella che palesemente è una trama avara di colpi di scena e di vivacità, Vintenberg però prova a metterci del suo portando atmosfera, colori e tepore, attraverso una fotografia e una regia affascinante, assai ben curata: abbondante di luci calde, panoramiche, inquadrature al tramonto e silhouette. Un'impronta valida e riconoscibile, utile sia ad identificare e a dare un senso al suo operato dietro la macchina da presa e sia per adornare una pellicola che, oltre a non essere propriamente nelle sue corde, deve soprattutto difendersi da una concatenazione di eventi, scanditi con il passo sbagliato e con carente sensibilità.
Solitamente ci troviamo spesso a rimproverare scelte produttive legate a durate eccessive, a sforbiciate mancate, mentre a quanto pare, "Via Dalla Pazza Folla", è uno di quei rari casi in cui il concedere qualche decina di minuti in più sarebbe servito ad esplicare con più chiarezza, alcuni cambiamenti e alcuni momenti, fondamentali nel romanzo, eppure malamente sottintesi in questo frangente. In una storia basata grandemente sui caratteri dei suoi protagonisti, è impensabile non dedicare almeno una scena ai mutamenti, che poi inevitabilmente influiscono sulle loro scelte e sui loro sviluppi. Invece dell'ammorbidimento di Bathsheba, per esempio, qui, non si ha praticamente traccia, come, peggio ancora, accade per lo squilibrio mentale, in crescendo, che colpisce il suo vicino (e pretendente) William Boldwood. Piccoli dettagli che se piazzati al posto giusto, non solo avrebbero reso più avvincente una trama di seconda mano, ma avrebbero inoltre reso la stessa meno ridicola e meno caotica di quanto, al contrario, così sembri.
Stando alla versione originale del romanzo di Hardy infatti, quella che nella pellicola di Vintenberg appare come una storiella risolvibile in circa quaranta minuti, allungata forzatamente e male, poteva reggere benissimo le (oltre) due ore e rivelarsi, chi lo sa, un onesto prodotto di riferimento a sfondo romantico. L'operato di Nicholls tuttavia vuole che ciò non accada, risultando superficiale e contribuendo ad annientare ogni tentativo e sforzo di ridare fibra al datato racconto.
Rimpiangiamo quindi quella che poteva essere una eventuale scrittura vinterberghiana della storia, consapevoli dei rischi che questo avrebbe potuto comportare, ma quantomeno certi di un copione che avrebbe avuto dalla sua un carattere risoluto e distinguibile.
Quello che nonostante Carey Mulligan e Michael Sheen, questo suo ultimo lavoro non ha per niente.
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