Corretta Informazione continua la sua inchiesta sui misteri e gli aspetti poco chiari della strage di Via Fani
Il labirinto di misteri che avvolge la vicenda Moro è sempre più intricato. Un omicidio la cui vicenda giudiziaria non ha mai fine, dato che ancora oggi dopo ben 36 anni non abbiamo ancora una verità processuale certa.
Tra le tante circostanze da chiarire la corretta dinamica dell’agguato di via Mario Fani a Roma la mattina del 16 Marzo 1978. Un agguato che costò la vita a tutti i 5 agenti di scorta dell’onorevole Aldo Moro. Un po’ di luce su tutto questo viene accesa dopo un incontro con Manlio Castronuovo, autore dei libri “ Vuoto a perdere” e “ Via Fani ore 9.02”.
Innanzitutto nessuno ha mai sparato sul parabrezza della moto di quello che è ritenuto il testimone chiave di Via Fani, Alessandro Marini. Infatti, sul suo motore non sono mai stati trovati dei colpi di arma da fuoco, e tantomeno bossoli nei pressi della zona dove Marini si trovava, l’incrocio tra via Fani e via Stresa. Resta comunque abbastanza singolare il fatto che, nonostante tutto questo sia stato accertato, i brigatisti siano stati condannati per il tentato omicidio dello stesso Marini.
Oltre a questo, bisogna anche affermare che la testimonianza del benzinaio Pietro Lalli, che afferma di aver visto il famoso “ super–killer” è poco credibile. Percorrendo oggi via Fani subito dopo l’incrocio con via Stresa quel benzinaio non esiste più. Sul lato destro della strada possiamo scorgere ora un garage, subito dopo di esso vi era la postazione di benzina all’epoca di proprietà di Giuseppe Samperi. Lalli lavorava per lui in quel periodo. Da quel punto la distanza con l’incrocio con via Stresa è di circa 120 metri. Non è certamente una breve distanza, se si tiene anche nel conto che alle 9 del mattino da quel lato di via Fani il sole lo si ha negli occhi. Certo, istintivamente, Lalli dopo aver sentito il colpo di arma da fuoco avrà risalito via Fani in direzione dell’incrocio con via Stresa, abbreviando la distanza di 120 metri. In ogni caso la sua testimonianza deve essere letta con molta cautela.
Valerio Morucci
Ma una delle cose più importanti da sottolineare è che la tanto discussa “unica arma” che sparò 49 colpi sul totale dei 93 sparati quella mattina non esisterebbe. In realtà, una perizia effettuata nel 1994 verificò che di quei 49 colpi circa la metà erano stati sparati da uno o due FNA43B, il tipo di mitra usato sia da Valerio Morucci che da Franco Bonisoli. Esattamente altri 22 di quei 49 colpi sono invece imputabili a un’altra arma, mai repertata e per questo ancora misteriosa. Tutto questo cambia completamente lo scenario, perché il misterioso “Tex Willer “ di via Fani capace di sparare 49 colpi in pochi minuti non sarebbe mai esistito.
Se tutto questo è un nuovo tassello da aggiungere alla soluzione degli enigmi del 16 Marzo, restano in ogni caso ancora non poche ombre sull’intera vicenda. Ricordiamo che Alessandro Marini ha sempre dichiarato di aver visto sparare sia sulla macchina di Moro che sia sull’ Alfetta di scorta due uomini usciti dalla 128 CD guidata da Moretti, e che gli uomini vestiti da steward alitalia (i brigatisti che hanno confessato la loro partecipazione all’agguato) facevano da copertura al fuoco di queste due persone.
Individui di cui, come del resto i due della famosa moto Honda, non conosciamo ancora il nome. Aspettiamo ora che anche quest’ anno o negli anni a venire vengano ancora fuori spezzoni di verità. Il delitto politico più efferato della storia d’Italia da dopoguerra ad oggi non ha ancora scritto la parola fine.