Le considerazioni del criminologo Carmelo Lavorino sul processo per l’omicidio di via Poma.
Premesso che i risultati certi e scientifici della perizia ricalcano totalmente quanto ormai dico e scrivo da anni (tre libri, una cinquantina di articoli ed altrettante interviste), gradisco precisare che l’unico punto conclusivo peritale che non condivido è quello dell’orario della morte.
I periti considererebbero inattendibili le analisi del contenuto gastrico della vittima ai fini della datazione della morte, ma un fatto è un fatto, ed è un fatto che tale contenuto sia “150 cc di poltiglia”, contenuto che se Simonetta fosse stata uccisa dopo le 18:30 doveva essere minore, se non, addirittura, completamente assente.
I periti, non si sa ancora in base a quali certezze e ragionamenti, ritengono attendibili (ma perché mai? Come fanno a dirlo? Prendono per oro colato le testimonianze visto che non sono state confutate?) le dichiarazioni sulle telefonate che vedrebbero Simonetta viva dopo le 17:45, ergo, Simonetta sarebbe morta dopo. Ma queste sono congetture della sentenza di primo grado, dell’accusa e di altri, in realtà sono apodittiche e incerte. Il ragionamento appare viziato da due errori logici: 1) mettere a presupposto del ragionamento la conclusione senza averla dimostrata; 2) basare il ragionamento e il presupposto su un dato incerto attribuendo allo stesso la qualità della certezza.
Allora occorre rispondere a due quesiti: 1) Simonetta non avrebbe mangiato la pizzetta che usava consumare entro le 17, perché mai? 2) Simonetta non avrebbe toccato il computer e né lavorato dalle 16:30 a seguire, nonostante fra le 17 e le 17:30 “bramava” avere tali dati per lavorare, perché? 3) Quali sono le certezze di attendibilità delle telefonate? Cosa ne sa il perito?
Inoltre, la Corte dovrebbe valutare i seguenti aspetti/quesiti che da anni enuncio:
I. la telefonata che la dipendente dell’AIAG Luigina Berrettini dice di avere ricevuto da Simonetta alle 17:05 non è credibile, oppure non è mai avvenuta, o è il frutto di un’abilissima messinscena e di finissimi depistaggi: nessuno ha indagato in tal senso.
II. Simonetta è stata uccisa prima delle 16,50 e non dopo le 18,30: questo cambia lo stato delle cose, le persone da sospettare e la consistenza di alcuni alibi.
III. Vi è stato uno spietato, machiavellico e diabolico inganno per confondere le prove, le percezioni e gli elementi fondamentali dell’inchiesta.
IV. L’assassino ha usato moltissime volte la mano sinistra per colpire Simonetta.
V. L’assassino è un personaggio territoriale e ambientale, ovvero collegato, di via Poma e dell’ufficio dove lavorava Simonetta.
VI. L’arma del delitto è proprio quel tagliacarte che alle ore 15 non era sulla scrivania di una dipendente dell’ufficio (Maria Luisa Sibilia) e che dopo l’omicidio “qualcuno” ha provveduto a lavare per poi lasciarlo nella stanza della dipendente.
VII. Simonetta e Luigina Berrettini non si conoscevano di persona, avevano colloquiato al telefono solo un paio di volte. Non è normale che Simonetta abbia telefonato alla Berrettini in quanto già conosceva il dato che le stava chiedendo, o meglio, che la Berrettini dice esserle stato chiesto.
Tre i casi: 1) Simonetta Cesaroni ha telefonato alla Berrettini, però, vi sono elementi contrari fortissimi che annullano detta possibilità; 2) una falsa Simonetta Cesaroni ha telefonato alla Berrettini; è probabile, ma vi sono elementi ostativi molto forti; 3) La Berrettini non ha ricevuto alcuna telefonata, e qui si aprono diversi scenari intriganti, inquietanti e inesplorati.