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Viaggi e poetica della geografia

Creato il 25 agosto 2010 da Pinomario
Ci sono molte cose strane in questo nostro mondo!  Infatti è sicuramente strano il fatto che, in un tempo in cui quasi tutti gli abitanti di questo nostro piccolo pianeta, o per necessità o per diletto, sono turisti, nomadi o viaggiatori, i nostri “illuminati” pianificatori (?) della nuova (!?) scuola, abbiano avuto l’inopinabile idea di eliminare quasi del tutto la geografia dai nuovi programmi didattici! Sarà il desiderio di impedire una presa d’atto e una riflessione consapevole sul valore della DIVERSITA, che anche il paesaggio del nostro pianeta continuamente propone? o la paura che i giovani possano fare esperienza della diversità e della molteplicità anche rimanendo nella propria aula o nella propria camera o solo sfogliando un atlante? O piuttosto, come si potrebbe arguire, seguendo le riflessioni di Michel Onfray in Filosofia del viaggio (Ed. Ponte alle Grazie), si tratta dell’incapacità da parte dei “soloni” (!?!) che governano oggi la scuola e l’educazione in Italia di cogliere quello che Bachelard chiamava la “poetica dello spazio” con il suo connesso  diritto a sognare” e che Onfray stesso definisce la “poetica della geografia”? Mah!, vista l’arrogante rozzezza della  genia che ha in mano oggi le sorti dell’Italia si sarebbe portati a propendere per quest’ultima ipotesi, ma sicuramente le altre non sono meno valide! Il punto è che “il valore della geografia del pianeta, come scrive Onfray, sta prima di tutto nella diversità, nella differenza, nella molteplicità”. Ecco perché, forse, la geografia, così essenziale anche per la comprensione della storia e delle culture, fa paura. La geografia “libera” i sentimenti tipici del viaggiare e del partire. Quel tagliare i ponti con le pastoie  e le “servitù” o le appartenenze della vita moderna (chi non ha sperimentato qualche volta una specie di liberazione o di ebbrezza nel semplice partire, in se stesso, indipendentemente dall’orientamento a una meta, l’ebbrezza dello “staccarsi” dalla propria casa, dai propri affanni, dalla propria terra, ecc.?). Quell’andare quasi a ritrovare le tracce e il senso di antichi miti ancora presenti nei sotterranei della coscienza collettiva e della storia: come ”le divinità dei crocevia e della fortuna, del fato e dell’ebbrezza, della fecondità e della gioia, divinità delle strade e della comunicazione, della natura e della fatalità”. Ecco perché la geografia come il viaggiare spinge oltre “l’illusione intellettualistica e razionalistica” che pensa si debba solo e sempre  lavorare in profondità. “Lo spirito del geografo non si confonde con quello del geologo, minatore di profondità e scavatore di faglie”. Infatti “l’uno percorre il pianeta e GIOISCE del MOVIMENTO sulla circonferenza del mappamondo, l’altro si ferma e scava la sua buca, sterra una tana per seppellirvi la propria energia e la propria curiosità. L’afferrare il Diverso contraddice la scommessa sullo Stesso, ma in compenso trova la propria iniziazione nella volontà di moltiplicare l’Altro”(M. Onfray). A chi giova oscurare la “poesia” del pianeta con le sue infinite provocazioni, letture e interpretazioni, per esaltare rigide “definizioni” di perimetri conosciuti?         

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