di Nicola Pucci
La prima volta che misi piede a Istanbul mi accompagnava l’immagine dei fumaioli delle barche. Non so individuare l’origine esatta di questa idea – perchè un’immagine è nient’altro che un’idea -, probabilmente qualche fotografia in chiaroscuro riprodotta da Orhan Pamuk, che proprio della città che si affaccia prepotentemente sul Bosforo è il cantore universale.
Ebbene, giunsi da queste parti di sera, quando le luci delle petroliere illuminavano il Mar di Marmara, che fiancheggiavo nel tragitto dall’areoporto al centro-città. Eccomi dunque a Sultanahmet, dove convergono genti di ogni provenienza e che è un po’ il simbolo di questa città. Che emise il primo vagito come Bisanzio, divenne Costantinopoli quando Roma ne ebbe la chiave d’accesso, Istanbul o Costantinopoli a scelta quando la mezzaluna ottomana sostituì le croci cristiane – anno 1453, infine solo Istanbul a testimoniare la svolta repubblicana imposta da Ataturk.
La Moschea Blu
Proprio qui si incontrano, o si scontrano, fate voi, due mondi e due culture così lontani ma mai così vicini, Occidente ed Oriente, cristianesimo ed islamismo, liberalismo ed integralismo, croce e mezzaluna, guance incipriate e volti velati. Insomma, proprio qui vengono a contatto due identità di cui Istanbul è allo stesso tempo propulsore e difensore, due baluardi che si trovano opposti ma che sembrano volersi controllare, curiosamente, ma neppure troppo forse, anche proteggere a vicenda. Già, la Moschea Blu e la sua vetusta dirimpettaia, Hagia Sophia. L’una, con le sue 21.043 piastrelle di ceramica turchese inserite nelle pareti e nella cupola e i suoi sei minareti, eretta ad esaltare il valore predominante dell’Islam e dove l’accesso è consentito ai fedeli previo officiare il rito dell’abluzione, ovvero il lavaggio di piedi, mani, braccia, bocca, naso, orecchie, volto e testa; l’altra, nata come luogo di culto cattolico e trasformata nel corso dei secoli in moschea e poi in museo, imponente nella sua armoniosa antichità, con la sua cupola e i suoi medaglioni, i suoi mosaici e i suoi marmi, “enorme rospo di pietra congelata, acquattato per terra, incapace di muoversi” per dirla alla Iosif Brodskij, un altro che di Istanbul ne ha molte da raccontare.
Il bel giardino che si frappone con le sue fontane tra questi due simboli è luogo ideale per ricaricare le batterie e abbordare la scoperta della zona storica di una città, son pronto a metterlo per iscritto, che non può lasciare indifferenti. Al sorgere del sole, che qui fa capolino dietro i minareti e state certi non mancherete perchè verrà annunciato dal lamento torcibudella del muezzin che chiama alla preghiera, salutiamo i due templi che sorvegliano Sultanhamet e pochi metri oltre scendiamo alla Basilica Cisterna, un mondo di acque sotterranee a formare un labirinto inestricabile di canali e colonne poderose a sorreggere la struttura esterna. Susciteranno la vostra curiosità due teste di gorgone capovolte, a mo’ di capitello.
Interno del Palazzo del Topkapi – da yaymicro.com
Non ci allontaniamo troppo ed andiamo a perderci tra le fattezze stupefacenti del palazzo che più di ogni altro al mondo rimanda leggende lussuriose. Eccoci dunque al Topkapi, residenza che il sultano Maometto II fece costruire dal 1453 e che si compone di edifici di rara magnificenza. Tra queste mura in perfetto stile moresco la fantasia viaggia veloce tra le stanze dell’harem, dove le mogli e le concubine alloggiavano e copulavano per il piacere del sultano, sotto stretta sorveglianza degli eunuchi, i soli uomini che qui potevano accedere oltre al sovrano.
Qui si fa la storia, o almeno, è stata fatta. Ma avventurandosi per le strade di Istanbul vi accorgerete di esser dirottati in un mondo a parte, dal fascino difficilmente misurabile, dalle mille luci e le altrettante ombre, suoni, profumi, voci e quant’altro potete aspettare da una città tentacolare, multicolore, in buona sostanza unica. Scendiamo allora verso il Mar di Marmara attraversando il ridente quartiere di Cankurtaran, con i suoi alberghi incastrati all’ombra della Moschea Blu, i suoi piccoli bazar che invocano alla contrattazione, i suoi locali avvolti dal fumo allucinogeno dei narghilè, con le sue pile di kebab, i suoi tavolini all’aperto per sorseggiare il tè turco, il çay.
Guadagnata la riva del Mar di Marmara, si risale lungo il Corno d’Oro, una sorta di promontorio, dimora abituale di una foltissima comunità di gatti randagi che vi terranno compagnia nel corso della passeggiata che vi porta al ponte di Galata. E qui… e qui ci addentriamo nella Istanbul che più amo, autentica, convulsa, accattivante.
Perchè possiamo unirci ai pescatori che sul ponte gettano le lenze ed attendono che all’amo abbocchi la preda; possiamo condividere un pasto frugale alle chiassose bancarelle che sfornano a getto continuo panini al pesce di incerta qualità; possiamo mischiarci alla moltitudine umana che ha voglia di stuzzicare i sensi tra i gusti e gli odori del Bazar delle Spezie; possiamo curiosare tra i caravanserragli che custodiscono le merci di quel vero paradiso di concitate trattative commerciali che è il Gran Bazar.
Dervishi volanti
Tradizione e cultura vanno onorate come è giusto che sia, ed allora nella sala esposizioni al binario 1 della stazione ferroviaria di Sirkeci vi aspetta il trappolone per turisti, ovverosia le giravolte mistiche dei dervishi rotanti. Trattasi niente popò di meno di una danza allegorica a rappresentare l’unione con Dio, ed è tra i momenti imperdibili di un soggiorno ad Istanbul.
Così come, uscendo e avviandosi tra le file interminabili di taxi, suggestioni rare le produce la vista dei minareti della moschea più maestosa della città, la Suleymaniye Camii voluta da Solimano il Magnifico, che osserva dall’alto l’affrettarsi delle genti che attraversano il ponte ed entrano in Beyoglu, quartiere moderno annunciato dalla Torre di Galata e che si avviluppa lungo Istiklal Caddesi, fulcro della vita urbana con le sue boutiques e i suoi caffè. Punto di arrivo non può che essere Piazza Taksim, caotico crocevia che negli ultimi tempi è stata teatro dei rigurgiti di protesta di una paese, la Turchia, che in nessun caso può esser destinato all’immobilità.
Il tempo, tiranno implacabile, mi impone di chiudere qui… non prima però di avervi consigliato un buon hammam, cioè un bagno turco; moderazione con salse e cremine che potrebbero avvere effetti collaterali devastanti; gettare l’occhio sulle sponde del Bosforo. Eccoli, i fumaioli dei traghetti che garantiscono lo scambio tra chi sta di qua, in Occidente, e chi sta di là, in Oriente: immagine o idea che sia, me li porto nel cuore.
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