“Viaggio mentale nel cielo di Tangeri” e altre poesie di Sonia Caporossi

Da Wsf

 

A 17 anni appena compiuti, quando scrivi poesia, sei in genere alla ricerca di un titolo ad effetto e di un entimema possibilmente esaustivo del tuo percorso interiore, seppur composto di sostanza rabberciata sul filo di un ragionamento che solo anni ed anni di esperienza scrittoria potrebbero avvalorare.

E tuttavia, a pensarci bene, quando scrissi la prima redazione di Viaggio Mentale nel Cielo di Tangeri, pubblicata in prima istanza sugli annali del Liceo, ad intitolarla Fisica in modo un poco aristotelico non ebbi certo torto. Si trattava, in effetti, di un gioco all’individuazione, in un fluttuante fuori fuoco, di ciò che di rimasto risiedeva nel significante della sequenza lessicale che componeva le strofe, per mera sottrazione ed aggiunta di fonemi allitteranti; di ciò che, insomma, poteva evocare una presunta trasvolata sul colmo di un incandescente erg coscienziale, sulla pia desertificazione delle forme e delle sostanze che nella poesia immaginifica in quanto tale, almeno dal simbolismo in poi, stanno lì a dare senso al senso e, per dirla con Alberto Savinio, “forma all’informe”. Tangeri, in quella sede, città azzurra di mare, non possedeva altra funzione che quella di evocare il nome dei Tangerine Dream e di Edgar Froese, principali ispiratori musicali delle mie notti adolescenziali, all’epoca trascorse fra l’insonnia, la lettura e la speculazione monadica. In seguito, con gli anni, come mi fu detto, la mia scrittura poetica assunse coloriture materiche talmente accentuate in direzione di una concettualità istintuale, di una poiesis filosofica di carnacea presenza laxaque absentia che, tutt’ora, a grande distanza concettuale e temporale, non potrei trovare per essa una definizione migliore di quell’ossimoro. Come si evince, del resto, dai pochi altri componimenti qui in calce allegati, che risalgono a dieci o quindici anni dopo rispetto al Viaggio Mentale, ma che sono altrettanto distanti dal tempo presente. Ciò, nonostante l’elaborazione formale e la crescita scrittoria nel frattempo inevitabilmente sopraggiunte, com’è giusto che sia. Eppure, il filologo che, non avendo di meglio da fare, volesse prestare la propria opera all’analisi variantistica della versione definitiva confrontata col manoscritto qui allegato, redatto in prima istanza il 19 gennaio 1991, riscontrerebbe di certo in essa un lavorio di cesello, un grattugiare lessicale, allitterante e ritmico che dapprima non figurava in alcune parti poi cassate nel corpo del testo. Essì, perché questo textus ha e continua ad avere un corpo; poesia naturale, mi si diceva l’altro giorno, poesia corporal – concettuale, e sia, poco male; tutto ciò che resta è l’absentia, il dare di corpo 12, come dire: il rumoreggiare, il suono. E non direi che sia poi molto, rispetto a quanto e come ora scrivo; ma non è neanche poco.

Sonia Caporossi

 

 

Viaggio mentale nel cielo di Tangeri 

 

Sorvolo questo deserto

e la sua chiarezza

suggestione cromatica ocra

m’incatena

Pegaso nel cielo della chiaroveggenza

s’innamora

delle truppe di formiche in fiamme

fila di mutismi

nello specchio elettrico del Sole

ragnatele stese ad asciugare

trame insofferenti

Impadronirmi di me

ora

in un raggio misterico

che punta dritto fra i miei occhi

Vedo

territori immaginifici

bagnati

da questo bianco amore

sospesi

da ogni attimo

nell’eterna Polifonia

del VIVERE

(19 /01/1991)

La funzione postmoderna dell’arte

 

Poesia è conforto di un istante

Mentre tutto intorno giace rattrappito

Esalando promesse al futuro nevercome

Le estranianti sinottrie di un impegno da seguire

Ecco l’uomo nudo, lapidato

Pietre segniche che schizzano dal suo cranio scoperchiato

Gli ricadono sfinite noncuranti tutte addosso

Lapilli masnadieri dal vulcano informe della sua coscienza

Poeta, un transgender della sua follia

Giordano Bruno ridotto al lumicino

Senza più alchimie da sovvertire

Né formule elitarie da occultare

Nella tasca segreta delle sue mutande

Poesia è il vomito di un istante

L’alleggerirsi scabro di succhi gastroenterici

Un dito immerso nell’egolatria

Della Musa di turno,

nei suoi affreschi vaginali.

(10/02/2002)

Io scrivo

 

… E l’impegno di portarmi sempre

questo calvario addosso

questa fellatio esausta delle mie pagine bianche

alla punta fallocentrica polipale

- venature d’inchiostro erette a filo d’aria -

del mio cosmico, sfottuto, bastardissimo EGO.

(10/02/2002)

Io scrivo II

 

I miei versi a colori

Deep blur emozionale a schizzi viola

Trasgressioni cromatiche tinte di vita

Innocenti espressioni di una cruda varietà

Forme vuote nel segno di Dio

Infisse come stelle cieche nell’orbe del mio cielo

Racimolate sulle sei facce del dado

S’avvicendano mentali, una pigra ipocrisia

Guardando dal di sotto la realtà meno che umana

Come ancelle di una mano priva di divinazione

Che il futuro qui non trova, bensì crea e non distrugge.

(11/02/2002)

Io scrivo III

Noi poeti

Villeggianti di opinioni

Fatichiamo a riconoscerci per strada

Ruttiamo versi stanchi sulla tavola imbandita

Della nostra vilipesa umanità

Mentre

Feroci crocicchi di pensieri avversari

Si scontrano e si incontrano nelle pagine interiori

Col taccuino scoperchiato sulla tazza del cesso

Come adesso mentre penso, parlo, respiro e scrivo.

(11/02/2002)

Io scrivo IV

Invenzione

È un respiro ritrovato

Nel coraggio dell’ignavia

Tra pensieri palombari

Incagliati nell’apnea.

(11/02/2002)

In Bus

Ripetimelo tu che cos’è un uomo

La cruda essenza dell’essere invoca l’apparire

Un vacuo femminino mi assiste incuriosito

Mentre getto sul foglio le mie perplessità

Che cosa è la poesia, necrosi di un istante

Una scabra pellicola di sangue ormai rappreso

Si stacca come una membrana rilassata e inflaccidita

Rimane solo il caldo che di umano non ha nulla

Nella chiusura asfittica di un antro d’ospedale.

(Autunno 2005)


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