Oggi non voglio parlare direttamente dei fatti di Parigi, anzi ne voglio parlare, ma prendendola molto alla lontana con un piccolo delirio storico che comincia da Publio Quintilio Varo il generale romano disastrosamente sconfitto a Teutoburgo che di fatto segnò la fine dell’espansione imperiale. Cosa ci facevano le legioni oltre il Reno? Cosa poteva importare ad Augusto una nuova conquista visto che le tribù germaniche davano sì fastidio, ma erano già generose fornitrici di uomini per le legioni e ancora non erano incalzate dalla pressione asiatica sulle pianure sarmatiche? L’idea era semplice ed era già in atto da un ventennio: si trattava di portare l’impero sul confine Oder – Danubio, molto più corto e difendibile del limes Reno – Danubio. Con questo le elites romane riconoscevano per per quanto grandi fossero le risorse dell’impero esse erano inferiori al compito di difendere una frontiera di cinquemila chilometri: così ritenevano che solo creando ed eliminando altri nemici avrebbero potuto conservare il potere senza rischiare una necessaria evoluzione interna del sistema.
A Roma l’ultima fase in questo senso era stata la riforma agraria dei Gracchi, venuta dopo le guerre puniche che aveva di fatto allargato il dominio romano a tutto il mediterraneo, ma dopo di allora le istituzioni politiche e gli equilibri interni rimasero congelati, senza riuscire significativamente ad evolversi per corrispondere alle risorse disponibili. L’unico modo per far quadrare i conti era quello di conquistare nuove terre finché si poteva e finché il congelamento dei rapporti sociali non portava invece alla loro perdita . Ma questa è la dinamica stessa di tutti gli imperi nei quali se non si verifica un collasso rivoluzionario, si ha una perdita di capacità di riforma del sistema che rimane ingessato nei suoi rapporti iniqui interni ed esterni, cercando di supportarsi sempre di più con il controllo di ciò che avviene al di fuori di esso e proteggendo una folta casta di mandarini con potere ereditario de facto o de jure. Da questo punto di vista fa poca differenza se uno di questi sia un governatore di province alla corte del Gran Kan , un miliardario che agisce attraverso false ong come Soros, un ricco e avido proconsole senatorio o un feudatario del Sacro romano impero.
Ora non c’è più alcun dubbio che la conservazione dei rapporti di forza interni, anche a costo di castrare la mobilità sociale e il tentativo di rimanere l’unica superpotenza sia la strada scelta dalle elites dell’impero americano, pur in presenza di un’evidente ascesa di altri centri di potere come i Brics, di una crisi endemica da cui non si esce, nonostante i dati generali truccati ( e quelli specifici molto più difficili da manipolare che li smentiscono). Dunque di fronte a una diminuzione delle risorse necessarie per l’egemonia globale e all’impossibilità di riforme che tocchino la casta dominante non c’è altra strada che tentare di sopprimere gli oppositori globali per riallocare a proprio favore le loro risorse. In sostanza è il disegno di congelare il mondo agli anni ’90 quando gli Usa potevano tutto dopo il crollo dell’Unione sovietica. Purtroppo come si è scoperto negli ultimi due anni, il tempo non lavora per Washington e già ora le risorse materiali e intellettuali per mettere in atto questo piano scarseggiano, senza parlare del gigantesco trasferimento di manifattura dovuto al capitalismo finanziario. Di qui la schizofrenia degli eventi e l’atteggiamento ambiguo di fronte all’offerta russo cinese di uscita morbida dalle logiche del mondo unipolare, conservando tuttavia una notevole parte del potere: è una soluzione razionale ma che impone di ridiscutere all’interno stesso degli Usa i rapporti di potere, cosa che ai vlasti non piace per nulla. Non c’è dunque da stupirsi se l’acmé dell’ incertezza strategica la si è avuta prima con l’ Ucraina dove la resistenza ai piani americani è stata di gran lunga più forte e lunga di quanto non ci si aspettasse e poi con l’inatteso e potente intervento di Mosca in Siria. Di fronte a questi eventi si assiste sia alla disponibilità a un compromesso, sia al rilancio dello scontro come se amministrazioni americane fossero due e non una, come se il ruolo di potentati e dinastie abbia travalicato i confini e metta in forse la stessa esistenza della repubblica costituzionale. Ma è chiaro che il braccio di ferro non potrà andare avanti a lungo e che esso sarà probabilmente risolto con l’elezione di un presidente facente parte delle famiglie e clan entrati nel circolo del potere, repubblicane o democratiche poco importa.
Parigi si trova a mezza strada: finora ha affiancato l’impero per creasi un feudo neo coloniale tutto proprio e in ragione di questo disegno si è arresa alla detenzione europea dentro i criteri liberisti e l’elefantiasi politica della Nato. Ma la Francia è fragile, irrequieta ed è stata pesantemente colpita dall’austerità, è una pedina importante della scacchiera europea il cui controllo è ormai vitale per l’egemonia Usa così come lo è il medio oriente con le sue risorse. Per di più rischia di non essere così allineata nella nuova guerra fredda. E’ essenziale dunque conservare il potere di quelle elites che hanno guidato il Paese nell’ultimo quarto di secolo. E’ casuale che Parigi sia anche una città martoriata dalle stragi, epicentro nel 2o15 di episodi orrendi e sanguinosi?
Non voglio esprimere alcuna tesi sulla strage che è comunque frutto di una logica di morte anche senza bisogno di “suggerimenti” esterni, dico solo che i fatti di Parigi sono un evento che arriva al momento giusto dopo l’intervento russo a fianco di Damasco e giustifica una nuova strategia medio orientale: non più l’abbattimento tout court di Assad che ha resistito alla guerra del terrore oltre ogni immaginazione o finzione occidentale, non più la falsa guerra contro l’Isis per fiaccare a fuoco lento la leadership siriana, ma la denuncia drammatica dell’impresentabilità del Califfato e dunque una guerra più reale anche se non mortale contro di esso per bloccare una ricostituzione della Siria sul suo antico territorio, illudere Curdi e Yazidi buttandoli in una lotta che non avrà come effetto la nascita del Kurdistan, invio di di truppe di interposizione Onu (eventualmente chieste dalla Nato) per preservare comunque una parte del Califfato e usarlo come strumento di ricatto contro eventuali colpi di testa dei Paesi della penisola arabica. In più tutto questo rafforza la presa sull’Europa.
Questo sempre che a Washington finisca per prevalere la fazione dell’impero dialogante e non quella della guerra come controvalore dei giganteschi capitali fasulli. Ma attenzione, Teutoburgo può essere dietro l’angolo.