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Vicente Huidobro “Canto II”

Da Lielarousse

Roma 14 gennaio 2014

Vicente Huidobro

Donna, il mondo è arredato dai tuoi occhi
Si fa più alto il cielo in tua presenza
Di rosa in rosa si prolunga la terra
E si prolunga l’aria di colomba in colomba

Lasci sempre una stella nel tuo vuoto
Sei la barca che passa e sparge luci
Mentre ti segue il mio canto stregato
Come serpe fedele e malinconica
E dietro un astro volgi sempre il viso

Quale lotta si libra nello spazio?
Queste lance di luce tra pianeti
Sono il riflesso di impietosi giachi
Qual astro sanguinario non vuol cedere il passo?
Dove ti incontrerò triste sonnambula
Tu che passeggi nel bosco dei sogni
Come dispensatrice d’infinito?

Eccomi qui tra mari spopolati
Solo come la piuma che si stacca di un uccello notturno
Eccomi qui in una torre  di freddo
Vestito del ricordo delle tue labbra sapide di mare
Delle tue cortesie e della tua chioma
Luminosa e disciolta come i fiumi che sgorgano dai monti
Stavi forse per diventare cieca perché Dio ti facesse queste mani?
Te lo chiedo di nuovo

L’arco delle tue ciglia che si tende come arma degli occhi
Nell’invitto feroce colpo d’ala che l’orgoglio dei fiori fa sicuro
In vece mia ti parlano le flagellate pietre
In vece mia ti parlano le onde degli uccelli senza cielo
In vece mia ti parla il colore dei tetti senza vento
In vece mia ti parla il gregge delle pecore silenti
Addormentato nella tua memoria
In vece mia ti parla la nudità del piccolo ruscello
L’erba che sopravvisse legata alla ventura
Avventura di luce e sangue d’orizzonte
Vestita appena d’un fiore pronto a spegnersi
Al primo soffio flebile di vento

Le pianure si perdono sotto il tuo piede di fragile grazie
E si smarrisce il mondo al tuo limpido andare
Giacché tutto è artificio quando appari
Nella tua minacciosa trasparenza
Innocente armonia senza tregua né oblio
Elemento di lacrima mulinante all’interno
Fatto d’ansia altezzosa e di silenzio

Fai dubitare il tempo
E il cielo con istinti  d’infinito
Tutto è mortale ciò che ti è remoto
E lanci per la terra l’agonia che le notti avviliscono
Solo ciò che in te pensa ha sapore d’eterno

Ecco qui la tua stella che trascorre
Col tuo respiro di remoti affanni
Col tuo modo d’incedere e i tuoi gesti
Col magnetico spazio che ti accoglie
E con leghe di notte ci separa

Eppure bada, noi siamo cuciti
A un’identica stella
Siamo cuciti dalla stessa musica
Tesa dall’uno all’altra come spago
Cuciti dalla stessa ombra gigante simile a un albero nella bufera
Facciamo in modo d’essere  questo pezzo di cielo
Trascorso da avventura misteriosa
Planetaria avventura che si frange in estenuanti petali di sogno

Non riuscirai a sottrarti alla mia voce
O a valicare i muri dei miei elogi
Siamo cuciti dalla stessa stella
Tu, avvinta all’usignolo delle lune
Che ha un rito funerario nella gola

Che m’importa dei segni della notte
Della radice e del luttuoso eco che daranno al mio petto
Che m’importa l’enigma luminoso
E l’emblema che abbaglia la ventura
E queste isole in viaggio per il caos senza meta ai miei occhi
Che importa questo fiore che nel vuoto sussulta di paura
Cosa importa del nome del nulla
Del nome del deserto senza fine
O della volontà o del caso che ci mostrano
E se in questo deserto ogni stella è un desiderio d’oasi
O una bandiera di presagio e lutto

Ho un’atmosfera mia nel tuo respiro
Favolosa certezza  del tuo sguardo  con le sue intime costellazioni
Col suo proprio linguaggio di semenza
La tua fronte scintilla come anello di Dio
Più d’ogni cosa salda  nella flora  del cielo
Senza vortici dove s’impenni l’universo
Simile a un cavallo spaventato dalla propria ombra alta nell’aria

Ti domando di nuovo
Stavi rischiando di diventar muta perché Dio ti donasse questo sguardo?

 

A domani
Lié Larousse

 



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