La recente strage nella scuola elementare di Newtown, nel Connecticut, commessa da Adam Lanza, appassionato videogiocatore di Call of duty, ha riacceso il dibattito sul legame tra videogiochi violenti e comportamenti violenti. L’orrore e lo sgomento per un fatto che si fa fatica a spiegare stanno creando negli Stati Uniti una ennesima caccia alle streghe, perché per molti è assodato che, se avviene una sparatoria, è colpa dei videogiochi.
Eppure, non è provato che i videogiochi violenti siano la causa diretta di comportamenti violenti. Le varie analisi condotte da istituzioni governative e non, in Europa e in Australia, sono giunte tutte a questa conclusione.
I videogiochi violenti ti rendono violento
Quello sul legame tra videogiochi violenti e comportamenti violenti è un dibattito che dura da decenni e che non accenna a mitigarsi. Di fatto, all’interno della comunità scientifica internazionale, sono due i punti di vista rispetto agli effetti dei videogiochi violenti sul comportamento.
Da un lato ci sono studiosi come lo psicologo statunitense Craig Anderson che ritengono che i videogiochi violenti causino violenza, perché insegnerebbero ai giocatori come essere violenti e ne rinforzerebbero le tendenze aggressive.
In modo meno estremo, diversi studi descrivono il rapporto tra videogiochi e comportamenti violenti in maniera più frastagliata. In particolare, una persona che gioca a videogiochi violenti avrebbe una probabilità di sviluppare comportamenti violenti più alta di chi non ci gioca se:
- è di sesso maschile;
- ha un disturbo di personalità, ad esempio un disturbo della condotta;
- ha un disturbo da deficit di attenzione;
- ha patito esperienze traumatiche;
- ha una bassa autostima.
In presenza di questi fattori, i videogiochi violenti potrebbero spingere a comportamenti violenti.
Detto altrimenti, quando si amalgamano con una personalità preesistente che era già problematica, i videogiochi violenti potrebbero contribuire a rendere la persona che li gioca più aggressiva di quanto non sia già di suo, più propensa a pensare che gli altri abbiano intenzioni ostili nei suoi confronti e meno capace di empatia e di sensibilità verso chi soffre: in generale, i videogiochi violenti amplierebbero la tendenza alla deumanizzazione, cioè a percepire gli altri più come oggetti inanimati e insensibili che come esseri umani vivi.
Nessun legame tra videogiochi violenti e comportamenti violenti
Dall’altro lato studiosi come Christopher Ferguson, altro psicologo statunitense, ritengono che l’effetto che i videogiochi violenti possono avere sul comportamento sia nullo o addirittura positivo. Questo perché i videogiochi permetterebbero di sperimentare l’aggressività in un contesto virtuale, senza nessuna conseguenza sul piano della realtà.
Gli studi che non hanno trovato una connessione tra videogiochi violenti e comportamento violento sono numerosi tanto quanto quelli che hanno invece suggerito tale connessione. In quest’altra prospettiva, i fattori che spingerebbero a un comportamento violento sarebbero:
- l’influenza dei coetanei che delinquono;
- genitori e figure adulte di riferimento che esercitano violenza psicologica;
- tratti antisociali di personalità;
- depressione.
Il comportamento violento deriverebbe dunque non dai videogiochi violenti, ma da fattori personali e da fattori relazionali.
L’illusione di capire
Violenza e aggressività sono fenomeni complessi. Spiegarli ipotizzando che la causa diretta siano i videogiochi è alquanto riduttivo: è un’ipotesi che non ha basi scientifiche salde e che cozza contro l’evidenza che la stragrande maggioranza delle persone appassionate di videogiochi violenti non commette omicidi ed è capace di distinguere tra il mondo di un videogioco e la realtà.
Sostenere che i videogiochi violenti causino di per se stessi comportamenti violenti è un’ipotesi che però dà l’illusione di avere trovato il bandolo della matassa, la soluzione che eviterà stragi nelle scuole o altrove. E chi la pensa in questo modo continuerà a ignorare che tra chi ha commesso stragi – certo, con le eccezioni ad esempio di Lanza a Newtown o di Breivik a Oslo – la passione per i videogiochi violenti è di solito bassa. Continuerà a ignorare che il MOMA di New York ha deciso di includere, a partire dal marzo di quest’anno, videogiochi come Snake, Donkey Kong e Portal nella collezione permanente di Architettura e Design, ritenendoli una forma d’arte.
Per approfondire
Australian Government - Attorney General’s Department (2010). Literature review on the impact of playing violent video games on aggression.
Swedish Media Council (2011). Violent computer games and aggression – an overview of the research 2000-2011.
Photo Credit: morgueFile
Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, è responsabile dell’area prevenzione dei comportamenti a rischio in adolescenza per l’associazione PreSaM onlus. Nell’ambito dell’educazione alla salute e della peer education, ha condotto numerose attività di formazione e ha pubblicato il volume L’adolescenza come risorsa. Per saperne di più, visita la sua pagina personale e leggi gli altri articoli.
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