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E' dunque, è questa la prima cosa che mi è successa giorni fa, pochi attimi dopo che il mio aereo era finalmente atterrato a Buenos Aires. Il viaggio era stato lungo, ma ero più che contento. Avevo appena rimesso piedi in quella che da tanti anni è un paese che ormai sento mio, la mia seconda casa, per così dire. Sono salito su un taxi e quasi non ho avuto tempo di indicare la mia destinazione. E' stato l'autista ad aprire subito bocca, dopo che mi ha riconosciuto come italiano. Ha preso e mi ha domandato, con un mezzo sorriso:“Allora come va in Italia? Come va la nipote di Mubarak?”. Poche volte ho sentito cosi chiaramente che il mio paese non apparteneva a nessun luogo. E’ stato difficile per me raccontare al tassista qualcosa di un paese che è mio e che pure ha una storia che rimane oggi irrimediabilmente sospesa in un'atmosfera di ridicolo e di volgarità. E' stato senz'altro più facile, e più piacevole, guardare la città che scorreva sotto i miei occhi. Quella città che ora vorrei cominciare a raccontare a tutti voi: e chissà che non aiuti a capire meglio anche la vita nella nostra Arezzo. Buenos Aires è stata fondata sulle sponde di un immenso fiume dalle acque marroni. Del colore del deserto, secondo Jorge Luis Borges. A metà del Novecento, lo splendore di Buenos Aires mozzava il fiato a ogni viaggiatore. Parte di quella bellezza si conserva ancora. Appena il viaggiatore alza lo sguardo per le strade del centro, scopre palazzi e cupole con fregi bellissimi. La città è ancora maestosa a partire dal secondo e terzo piano degli edifici, ma all’altezza della strada si vedono le sue rovine, come se lo splendore del passato fosse sospeso in alto rifiutandosi di scendere o sparire. E' nelle strade la storia di questo paese. Il tango, che era caduto in decadenza negli anni della dittatura, è di nuovo di moda tra i giovani. Ci sono milonghe tutti i giorni nei grandi spazi culturali della città. Dalla Confiteria Ideal al Torquato Tasso. Spesso si sentono dei terzetti amatoriali che suonano per la strada o nei tunnel della gallerie che si aprono a delta sotto l’obelisco di plaza della Repubblica , all’incrocio tra la Avenida de Nueve de Luglio e la calle di Corrientes. All’ingresso di una di queste gallerie c’è una fila di poltrone con i poggiapiedi destinate ai pochi passanti che si fanno lucidare le scarpe.I turisti vanno a vedere il maestoso Teatro Colon , appena restaurato, o il Museo Nazionale. Qui esiste la più bella collezione di un grande pittore della Buenos Aires della grande emigrazione italiana della fine dell’Ottocento. Sono particolarmente straordinari i ritratti delle prostitute e dei mendicanti. Ma c'è anche chi visita il Centro Culturale della Recoleta e, accanto, il bellissimo cimitero con la tomba di Evita. Personalmente, dopo le giornate passate, nelle biblioteche e negli archivi alla ricerca del mio missionario De Agostini, faccio il giro dei caffè dell’Avenida de Mayo e della calle Corrientes , dove nessuno ritira la tazzina fino a quando il cliente non si è alzato dal tavolino al contrario di quanto succede in Italia . Con il caffè arriva anche l’acqua al seltz e un piccolo dolce a forma di media luna.In pochi altri luoghi posso scrivere pagine del mio libro con tanta concentrazione come qui. Non capita mai che qualcuno ti interrompa.Tutto quello che c’è intorno sembra reale, forse anche troppo, e quando ci si siede in questi caffè è meno difficile capire perché gli argentini hanno avuto Borges e, aggiungo io, anche Osvaldo Soriano. Storie fantastiche e inverosimili che raccontano di una realtà cosi vitale. Arezzo mi sembra così lontana. Eppure so che continuerò a coltivarla, nei miei sogni di uomo che ancora una volta ha avuto la fortuna di viaggiare fino all'altro lato del pianeta.
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