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VII) i figli dei marinai

Da Foscasensi @foscasensi
(il sogno, o quello che ricordo) Qui non c'è mai stata musica, ma piuttosto il suono. Dalle pareti scendono lampadari a candele lucidi di piume di gallo e i tavolini fluttuano, ce ne sono moltissimi lungo il salone azzurro, pur restando solidi e di marmo.  E non sono pesci, quelli che mi nuotano sotto? Alzo un piede, ne alzo un altro. Non capisco come, alzo  un altro piede ancora: nella vasca minerale, come quarzo, è sciolta una bocca profonda e trasparente dalla quale salgono e scendono cernie (ma chi ha mai visto una cernia) e pesci minori. E le specie vegetali aderiscono alla luce e si aggrappano all'impiantito con florilegi di radici e ventose. Si spostano con lentezza ma capisco che sentono il movimento delle mie piante e si provano a succhiare il calore che può passare dal dentro al fuori della vasca. Ci sto camminando o volando o sdraiando sopra, e loro mangerebbero volentieri carne più che raggi di candela.
Dai lampadari scendono piume di gallo e fanno qualche piroetta prima che i pesci si affollino per sapere cosa ha toccato la superficie. E mi attraversa l'indefinibile urgenza dell'alba.

Questa mattina sono scivolata dal letto senza usare la sveglia, ma Florio ha sentito forse mancargli il calore del mio corpo. La promiscuità più dello stretto necessario, anche quella raggiunta per sentimento o necessità, costringe a imprimere nei sensi anche quello che si potrebbe evitare. Una spiacevolezza nel fiato, l'analisi dei corpi, la fiacchezza. Io, per esempio, non sopporto che gli avambracci di un uomo non siano striati dalle vene, come nello sforzo o nell'amore, che il mento e il naso si trovino impiastrati del sebo notturno, che crescano i grumi sulle ciglia. Di mio, che il ventre si gonfi per l'orina e le forme siano inflaccidite dal calore delle coperte, che i capelli inquinino la faccia dove è più grassa. Così mi sono liberata dalle mani e da quel mezzo corpo di sonno e lenzuola e ho preparato un caffè forte prima che l'orologio segnasse le sei e mezza.
Abbiamo deciso di comune accordo di dormire, perfino di vivere ognuno per conto proprio in una stessa casa, come può essere fra i condomini delle grandi città. Le anime o le intuizioni, a traino e per il tempo necessario i corpi, finiscono col trovarsi lo stesso.
Per un certo periodo Florio ha alternato le sere dalla Padrona, in mezzo alla sua musica e il cabaret, a frequentazioni più o meno fisse. Ricordo quando dal tinello venivano risa e poi scoppiavano silenzi e il mattino successivo eravamo solo io e lui, come se non ci fosse stata nessun'altra, a parte che c'era disordine e bicchieri sporchi sul tavolo e nel lavandino.
Le cose cambiarono, solo per caso, il diciotto dicembre scorso, e cioè il giorno del compleanno di Florio. Avevo preparato un piano fin dalla mattina, ma era almeno una settimana che studiavo il da farsi. Ero riuscita a ottenere il permesso per uscire con mezz'ora di anticipo e contavo di comprare le cose necessarie per cucinare una cena e un dessert. Date le condizioni di Florio, che è vegano dall'età di 25 anni, non si trattava di un compito banale. I vegani rifiutano la carne, il latte, il formaggio e le uova. Alcuni perfino il miele. Mi domandavo come potesse, un uomo abituato a vivere di notte, a ubriacarsi quasi per copione, a compiacere (intuivo, con successo) una vecchia affamata e compagne molto più giovani e sempre diverse, a seguire un regime alimentare, mi sembrava, poco vario e deprivante. E poi: come avrei fatto io a cucinare un'intera cena e perfino un dolce senza usare nemmeno un tuorlo d'uovo o un bicchiere di latte. Per una settimana rimasi nell'incertezza, poi mi risolsi e studiai un libro di cucina naturale. Scoprii che c'erano polpette di soia e di grano, che si potevano usare le verdure come piatto unico, che il latte di cereali avrebbe sostituito quello vaccino. Sempre durante la settimana precedente il compleanno compravo gli alimenti indicati dal libro e li assaggiavo di nascosto (Florio non doveva sospettare), cercando cose che piacessero anche a me. Con le mie ridotte conoscenze fui in grado di cucinare una teglia di lasagne (senza carne!), un pasticcio di radicchio e perfino una gelatina di arancia che versai in due bicchieri di vetro soffiato color melograno. L'avrei aspettato nella mia stanza e poi l'avrei sorpreso in tinello, davanti alla tavola apparecchiata per due. Avremmo mangiato insieme, con le mani, ridendo, in piena notte, e forse lui avrebbe preso la chitarra e ci saremmo sdraiati sul divano immenso che accoglie le persone non appena entrano, mi avrebbe fatto ascoltare qualcuna delle sue canzoni e io l'avrei ringraziato senza dire una parola per la volta che gli aprii il cuore sulla mia situazione, una sera d'estate dopo che aveva finito di lavorare, e lui mi disse con semplicità: un dormitorio non è posto per una ragazza. Se non hai dove andare puoi trasferirti da me.
Alle tre e mezza del 18 dicembre qualcuno apre il portone. Resto in ascolto sulla porta e il vestito un po' scollato mi fa venire la pelle d'oca sulle spalle. Ma i passi sul pianerottolo sono  troppi per una persona sola. Sento ridere una donna. Allora capisco che devo dileguarmi in fretta. È giusto così, mi dico. Corro nella mia stanza e spengo la luce. Dal tinello arriva un'esclamazione femminile soffocata, poi tintinnio di posate e parole dette a mezza bocca, per non svegliare nessuno. Appena alle 4 e un quarto c'è rumore di saluti, la porta della mia camera si schiude e un uomo svestito non fa rumore e scivola nel letto. Quando sente l'abito che ho ancora addosso gli tremano le mani e mi stringe con delicatezza, come fossi morta.

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