A chi, dopo l'ultima puntata di Report, pensa che i social network siano soprattutto pericoloso cazzeggio per regalare dati personali alle multinazionali del digitale, vorrei ricordare che Vik Arrigoni era/è stato/è il testimonial dell'esatto contrario. Dell'uso intelligente, permanente, virale, degli strumenti della nuova comunicazione.
Giacché quella vecchia - giornali, televisioni - lo ignorava, come ignora le migliaia di volontari che - come Vittorio - fanno uno straordinario lavoro invisibile. Chi lo seguiva da sempre - non solo su Facebook - sa che Vittorio era una presenza costante, ad ogni ora del giorno e della notte.
Tutta Gaza minuto per minuto. L'assedio, la fame, i bombardamenti, le uccisioni, i casini politici tra palestinesi e palestinesi.
Anche a volerlo ignorare, non ci riuscivi. E allora leggevi, cliccavi mi piace, condividevi, commentavi. E lui era contento, soddisfatto di postare notizie e filmati, di invadere il web sociale con i suoi articoli e i suoi video, con la sua pacata rabbia di pacifista nel midollo, di profeta disarmato, che scriveva ogni giorno quello che i giornalisti blasonati scrivono di tanto in tanto. Due giorni a Gaza, un articolo o un servizio (mai in prima pagina, per carità) e poi altre settimane, altri mesi di buchi neri dell'informazione. E' la macchina dei media, bellezze. Funziona così e pare che non ci si possa fare nulla.
Invece Vik faceva, scriveva, videogirava. Non voleva che ci fossero alibi per nessuno, il pacifista armato di social network, che sollecitava anche i giornalisti a essere umani.
La pagina Facebook di Vittorio non ha chiuso con la sua morte. Gli amici hanno deciso di continuare ad alimentarla di notizie:
"Ciao a tutti. Vittorio ha lasciato in mani fidate l'accesso a questa pagina. D'accordo con la famiglia abbiamo deciso di continuare a pubblicare .~ Stay Human ~"PS. (Come sempre) l'articolo più lucido su cosa ci può essere dietro la morte di Vittorio l'ha scritto Paola Caridi, sul suo blog.
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