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Vikings (2013) – Serie TV [Recensione]

Creato il 07 maggio 2013 da Elgraeco @HellGraeco

Iniziamo rendendo omaggio alla canzone che scorre insieme ai titoli di testa:

Immagine anteprima YouTube

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Si tratta di If I Had A Heart dei Fever Ray. Perfetta per introdurre questa serie, Vikings, creata da Michael Hirst.
In questo articolo ho analizzato il pilota. Avevo anche pensato a una serie di post che prendessero in considerazione ogni singolo episodio, poi ho optato per un post consuntivo. Questo per due ragioni:

1) la prima stagione consta di soli 9 episodi

2) la storia è coesa e si dipana lungo tutti gli episodi. Mancano i cosiddetti filler, le puntate riempitive.

Sono entrambi pregi. Perché comportano un minore sforzo produttivo, una maggiore concentrazione da parte degli sceneggiatori su una sola storia, senza inutili sottotrame.

Le buone impressioni avute dal primo episodio sono state confermate e persino smentite, perché la serie, già dal secondo episodio è migliorata oltre le previsioni, per di più cancellando tutti i difettucci che avevo sottolineato.
Scenografie più curate e realistiche, violenza a badilate, maggiore fedeltà storica e soprattutto, fornisce una risposta soddisfacente alla più grande delle mie perplessità: perché Ragnar (il protagonista) venera il dio Odino anziché Thor, pur essendo un contadino.

Diciamo che la risposta è una enigmatica diceria che gira, nel suo paese, circa le sue origini: Ragnar sostiene di discendere da Odino.
Per cui, coerenza e una scrittura originale dell’epopea.

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Essere figlio di Odino naturalmente non comporta avere superpoteri, ma a quel tempo, la nobiltà del sangue faceva la differenza, come la facevano le imprese compiute, imprese da molti ritenute impossibili.
Ragnar è il primo vichingo ad aver navigato verso occidente raggiungendo nuove terre.

Nessun salto storico. Finalmente sappiamo da un sottotitolo che le vicende sono ambientate verso la fine dell’VIII secolo. Il viaggio conosce quindi una sosta nella prima terra raggiungibile a occidente della Scandinavia: l’Inghilterra, per la precisione la Northumbria, i cui villaggi e monasteri vengono saccheggiati dai normanni, che poi fanno comodamente ritorno alla terra natia, carichi d’oro e d’ambizione per i viaggi che verranno.
I Vichinghi dovrebbero aver raggiunto le coste della Groenlandia solo nel X sec., ciò non toglie che la scelta di rinunciare a un unico viaggio colonizzatore è stata saggia, perché ha permesso di arricchire l’ambientazione generale, sia della Scandinavia, che della piccola porzione di mondo cristiano mostratoci, per completare la costruzione del protagonista, Ragnar, per risolvere il suo contrasto con lo Jarl locale (Gabriel Byrne) e per gettare le basi della seconda stagione, col crescere delle ambizioni e dell’importanza del nuovo condottiero.
Quindi, la gestione della struttura narrativa è perfetta.
L’unico neo è l’innesto di un conflitto tra fratelli, Ragnar e Rollo, prevedibile negli sviluppi. Non pessimo nella costruzione, ma solo prevedibile.

***

Il Tempio di Uppsala

Il Tempio di Uppsala

Sistemata quindi la situazione Odino, Vikings crea la propria poetica, e la crea definendo un mondo di contrasti, le civiltà, scandinava e inglese, che si incontrano, che parlano lingue simili, ma diverse per asperità di suoni. Fa piacere udire, cosa che dubito il doppiaggio preserverà, gli accenti di due popoli stranieri.
Così come è fantastico vedere che i nordici tornano a essere sporchi, selvaggi, latori di abitudini quotidiane a dir poco spiacevoli, tipo le abluzioni mattutine in una bacinella d’acqua, passata di uomo in uomo, nella quale ci si soffia il naso, si sputa, ci si sciacqua. Uno dopo l’altro, a turno.
Altro aspetto molto curato, senza ipocrisie, è il trattamento riservato agli schiavi (detti thrall), che potevano essere sia stranieri che nordici, di solito gente sconfitta in battaglia o decaduta per debiti: erano strumenti alla mercé dei propri signori che potevano disporne come meglio credevano, anche batterli fino alla morte, o abusarne a piacimento.
Interessante poi l’introduzione, per proseguire il confronto tra due realtà storiche e culturali diverse, di un nuovo personaggio, Athelstan, un monaco divenuto schiavo di Ragnar dopo il primo saccheggio. La sorpresa, che è un ulteriore valore aggiunto, è che il monaco schiavo non è impiegato in chiave moralistica, non tenta di predicare la vera fede ai pagani, ma reagisce in maniera realistica, adattandosi alla mutata condizione sociale, subendo un processo di acculturazione, e di fascinazione, da parte di questa società così fiera e per certi aspetti, così aspra.

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E così, se le sale nobiliari ospitano, al loro interno, recinti con dentro maiali, i nordici non disdegnano i rapporti a tre, persino coi loro schiavi, e affrontano la loro esistenza aspettandosi di non vivere un secondo di più rispetto a quanto stabilito dagli dei.
Con l’aumentare delle responsabilità che seguono i suoi successi, Ragnar diviene veicolo per condurre lo spettatore nel viaggio in Scandinavia, attraverso usanze e costumi tribali, ma soprattutto religione.
La sensazione genuina è che l’autore ci mostri le cose come dovevano essere, senza parteggiare, è solo un osservatore che rende partecipi noi altri dell’affresco di sangue che si disegna a poco a poco. Il culmine è la puntata ambientata a Uppsala, la capitale religiosa della Scandinavia, meta di pellegrinaggio per tutti i popoli del nord, che lì si recavano portando offerte, preghiere, a visitare l’enorme tempio, nella sala del quale si ergevano le grandi statue di pietra di Thor, Freja e Odino.
Sulle pendici della collina dove sorgeva il tempio, in appositi recinti, erano stipati i sacrifici, nove esemplari per ogni specie vivente, o quanto meno, per una rappresentanza il più possibile realistica delle specie viventi. E sì, tra i sacrifici c’erano anche gli esseri umani, di solito vittime volontarie. Odino gradiva molto i sacrifici umani, specialmente le impiccagioni, o come in questo caso, i corpi appesi, tagliati per macchiare di sangue gli altari.
Occasione di venerazione mistica e di festeggiamenti, visto che i fedeli passavano i giorni e le notti a banchettare nei dintorni, e a dedicarsi a riti orgiastici, assumendo foglie di piante allucinogene per raggiungere uno stato di coscienza alterato, e sfiorare così gli dei, che secondo al tradizione scendevano tra i festanti, mescolandosi e prendendo parte alla danza.
In una parola: superbo.

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Ma non solo, la politica avanza, si formano nuove alleanze e nuovi conflitti, i personaggi mutano in sole nove puntate, si scatenano pestilenze che falcidiano la popolazione e Ragnar risulta essere il personaggio migliore, perché ambiguo. Alla fine l’idea che egli sia il maggior nemico di se stesso, come profetizzato alla moglie Lagertha dall’Angelo della Morte (sorta di profeta deforme, in grado di vedere il futuro tramite le rune), è incarnata non solo dalle azioni del personaggio, ma soprattutto dalla bravura dell’attore Travis Fimmel, di origine australiana, il cui sguardo allucinato e l’espressività contribuiscono a rendere imprevedibile. Non esistono personaggi la cui morale è definita, anche e soprattutto perché i valori su cui la società e la cultura scandinava si fondava erano e sono alieni.
Trovo che questa peculiarità sia stata resa in modo eccellente. E il fatto che abbiano rinunciato a nuovi viaggi esplorativi verso nuove terre sconosciute è stato perfettamente bilanciato, non si rimpiange nemmeno per un secondo, visto che l’interesse c’è, ed è verso il Nord e la sua mitologia.

Già in produzione la seconda stagione, che però non vedremo prima del 2014.
Sarà una lunga attesa.

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