È una bella giornata. È il caso di uscire. Uscire a prendere aria.
Così che si possa riprendere a scrivere.
Esorcizzare la voce di mia madre che dice: "Il nonno non sta tornando in sé"
Esorcizzare la voce di mia madre che dice: "Le librerie sono già piene di libri".
Esco di casa, cammino senza una meta precisa.
Le vie del centro pullulano di gente delle valli. Le signore hanno comprato piccoli vasi di fiori dal mercatino dei formaggi di Piazza Fiera.
"La vacca è l'animale preferito qui", mi spiega una studentessa dell'istituto agrario.
A carnevale, in effetti, il costume più diffuso tra i bambini era quello da vacca.
Piccole vacche pezzate con una coroncina di fiori. Molteplici avvistamenti.
Una famiglia blu, che metto a fuoco con difficoltà. Puffi.
Carnevale, certo, ma io mi travesto ogni volta che esco di casa.
Oggi mi travesto da uomo e da meretrice. Non è una novità.
Il trucco sta nel lasciare che gli abiti prendano possesso del tuo corpo.
Camminare dimenticando la grazia.
Dimenticando dieci anni di lezioni di danza e venticinque anni di disciplinamento.
Dis-graziarsi. E cappotti che ti allarghino le spalle.
Per il look da meretrice, è sufficiente abbinare uno sguardo sottilmente disgustato con un rossetto scarlatto. Meglio se in pieno giorno. Meglio se in chiesa.
"Vado in chiesa a cercare ispirazione".
La verità è che sono le campane del duomo a chiamarmi.
Le premesse per un'ottima storia di conversione. S. Paolo sulla via di Damasco.
In Piazza Duomo, il rumore è assordante. Le campane suonano a festa per minuti interi. Un folto gruppo di preti in tunica viola inscena una piccola processione, per poi entrare dalla porta della navata sinistra. C'è anche la tv locale.
Trento è la città in cui i locali devono spegnere la musica allo scoccare della mezzanotte di Capodanno, ma è assolutamente legittimo che le campane suonino a festa fino a farti esplodere il cervello, costringendoti ad urlare per farti capire. È ironico che io mi trovi qui. Dalla sagrestia d'Italia alla terra che ci ha dato la Controriforma.
"Vado a Messa a cercare ispirazione".
Se solo la Chiesa Cattolica non avesse un grosso debito nei miei confronti, concorderei con chi ha criticato con ardore le mie visite fraudolente.
Sono andata a Messa con il solo intento di stare di nuovo male in quel modo così peculiare. Per assorbire l'inscalfibilità d'opinioni, così palesemente alimentata dalla paura, di certi preti. Vederli in azione è uno spettacolo; il modo in cui riescono a dirti che Noi siamo i misericordiosi, gli accoglienti, i buoni, i ragionevoli, mentre Loro sono nell'errore.
Il modo in cui pretendono il controllo sul significato delle parole.
Entro in duomo.
Il duomo di Trento è uno dei luoghi più cupi che io abbia mai visitato, soprattutto quando è vuoto.
Ma stavolta è pieno.
Dopo il primo canto, uno dei tanti preti collocati nei pressi dell'altare mi illumina sul perché pare che siano tutti pronti a far festa.
"L'anniversario della costruzione della nostra cattedrale."
"Qui, dove si è svolto lo storico concilio! E noi, vili, che ce ne dimentichiamo!"
I preti vengono da ogni angolo della diocesi, con la loro bella divisa ricamata.
Viene fatto notare che la chiesa è piena di giovani. Certo, se includiamo i trentenni, saranno forse un decimo dei presenti. Poi, in fondo, ci sono io, nel mio travestimento da meretrice. Ma nessuno ha da ridire.
Trento è la città in cui ho raccolto le reazioni più negative o sconcertate al mio trucco sopra le righe. Mi rifaccio a PJ Harvey ai tempi di To Bring You My Love, ma qui è come se quel disco non fosse mai uscito.
Per strada, le vecchine mi fissano intensamente.
Intensamente.
Quando le schivo, trasformo il mio soprabito aperto in un mantello. I pugni in tasca. Il vento artificiale.
In chiesa non è così. Una volta che ci sei entrata, tutti danno per scontato che tu sia una persona per bene. Magari anche una meretrice, ma una meretrice che sta cercando di tornare sulla retta via. Non una spia.
In seconda media, per una recita scolastica tratta dalla parabola del Figliol prodigo, impersonai la meretrice. Fu un'esperienza interessante. La mia professoressa di italiano mi incitava a vocalizzare la mia parte con maggiore veemenza. Ma io ero una ragazzina per bene, e non sapevo recitare.