Mi piace la politica perché in molti Paesi ha sostituito la guerra. Il compito è quello di far funzionare in modo decente gli interessi molteplici e differenti che contraddistinguono gli individui. Con gli anni sono diventata pragmatica. Conservo gli ideali, come conservo il profumo e il sapore di quella minestra di patate e carote che mangiavo all’asilo e che non ho mai più assaporato. In una società come la nostra funziona solo ciò che vince. O meglio, chi detta legge e cioè i comportamenti, che sommati fra loro sono la cultura di un popolo, è chi riesce a mettere mano sulle leve del comando. Tutto il resto è folclore. Pertanto non mi associo più agli slogans, ai clan di appartenenza culturale: trappole contro l’intelligenza, per molti così rassicuranti! Detesto l’infantilismo soprattutto a sinistra che non solo cade in queste trappole, ma le costruisce. La libertà non ha famiglia. La libertà è sola. Con questa consapevolezza le etichette per me sono ormai fuori luogo. Possono servire per comprendere un passato, ma sono obsolete e inutili nel presente. Steccati che non aiutano a capire le numerose sfacettature che la realtà presenta. Meglio guardare ai risultati. Meglio vincere.