Come si chiama la foglia della vite? Come si diventa masca? Com’era chiamato il Barolo ai tempi di Cavour?
Queste erano alcune delle domande a cui io e gli altri partecipanti alla caccia al tesoro nelle Langhe del Barolo abbiamo dovuto rispondere.
Ultimamente si sente parlare sempre più spesso di metodi non convenzionali per promuovere il turismo nel territorio, cosa che all’estero è già praticata da tempo con metodologie che vanno al di là del classico press tour.Turismo in Langa ha pensato di organizzare una caccia al tesoro in questa zona ricca di storia ed impreziosita da colline coperte da immensi vigneti. Un’intera giornata alla ricerca di luoghi, borghi e cantine da scoprire degustando gli ottimi vini della zona.
Dei paesini visitati, Serralunga d’Alba con il suo castello medievale è quello che mi ha più favorevolmente sorpresa. Essendo un donjon francese, architettonicamente parlando è unico in Italia.
La sua struttura slanciata denota il fatto che svolgesse un ruolo più che altro militare a controllo delle attività produttive locali, oltre ad indicare il prestigio della famiglia Falletti, feudatari dell’epoca. Il maniero non venne mai trasformato in residenza di villeggiatura e quindi mantenne inalterata la sua struttura di roccaforte medievale attraverso i secoli. E’ circondato dalle strette stradine del borgo ben curato e reso ancora più piacevole dai colori delle sue case.
Enologicamente parlando, invece, ho molto apprezzato un Barolo del 2007 della Cascina Bongiovanni ma, della stessa Azienda, sono rimasta affascinata da un vino poco conosciuto che secondo me merita più attenzione, il Faletto.
Si tratta di un blend composto da Cabernet Sauvignon, Barbera d’Alba e Nebbiolo in quantità che rimangono un segreto del produttore. Affinato un tempo variabile in botti di rovere francese, ha il colore del più prezioso dei rubini. Nonostante la permanenza in botte non presenta caratteristiche particolarmente tanniche anzi, al palato risulta morbido e rotondo.
Mentre lo degustavo ammirando il verdeggiante ambiente circostante, pensavo che avrei potuto abbinarlo ad una spezia che mi piace molto ma, chissà perché, non uso spesso: la paprika dolce.
Paprika, in ungherese, significa peperone. Una leggenda narra che una giovane contadina ungherese, che era costretta a vivere nell’harem di un pascià a Buda, avesse osservato a lungo i giardini del palazzo e la coltivazione dei peperoni e che, una volta liberata, avesse insegnato ai contadini del suo villaggio a coltivare la paprika. All’inizio di settembre in Ungheria si svolge la raccolta dei peperoni che è vissuta come una vera festa, caratterizzata da costumi dai colori sgargianti.
Pollo vermiglio
Tagliare il petto di pollo a striscioline o piccoli cubetti. Lasciar insaporire per qualche ora in una marinata composta da paprika dolce ed un po’ di vino Faletto.
Al momento della cottura, passare velocemente la carne nella farina e rosolare in olio extra vergine di oliva caldo ma non bollente. Accompagnare con patate bollite condite con olio e foglie di origano fresche, meno aromatiche di quelle essiccate.