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Vinyl è la prima serie evento di questo 2016 e come tale era impossibile da perdere. La serie nasce da un’idea di Mick Jagger e Martin Scorsese (che cominciarono a parlarne già nel 1996) e vede alla sceneggiatura Terence Winter (Boardwalk Empire, I Soprano) e Matthew Weiner (Mad Men), una combinazione di nomi e talenti che sembra garantire in partenza sulla qualità dello show. Tanta curiosità, quindi, ma anche molte aspettative: sarà riuscita Vinyl a non disattendere le promesse fatte nei mesi passati?
Siamo nel 1973 a New York. Il discografico Ritchie Finestra (Bobby Cannavale) sta per concludere il più grande affare della sua esistenza, vendere la sua casa discografica American Central a una major, la Polygram, e chiudere definitivamente con la vita condotta per due decadi tra musica, artisti viziati, discografici, radio assetate di soldi, rock, droghe, sesso ed eccessi di ogni tipo. Ma qualcosa va storto e i suoi progetti di passare una vita serena tra l’amore della moglie Devon (Olivia Wilde), ex modella di Andy Warhol, e i loro due figli viene stravolta da un evento che, se da una parte distrugge tutte le sue aspettative, dall’altra apre un nuova strada rappresentata da un nuovo gruppo, la band punk dei Nasty Bits, che sembra destinata a diventare il nuovo progetto per rilanciare alla grande la sua carriera.
Il primo episodio di Vinyl è un trip di quasi due ore, un tripudio di colori e suoni, una miscela esplosiva che fin dalle prime sature pennellate, ritrae perfettamente l’atmosfera di un’epoca dall’inconfondibile sapore sesso, droga e rock’n’roll. Gli anni Settanta raccontati da Jagger e Scorsese partono soprattutto dalla musica, colonna portante della serie non solo perché contribuito fondamentale a ricreare una decade e il mood di quegli anni, ma anche come elemento cardine per scandire il ritmo e il registro della sceneggiatura ed evidenziare sempre in maniera calzante la psicologia e la condizione d’animo dei protagonisti. La colonna sonora di Vinyl si presenta subito enciclopedica, con numerosi richiami a generi, brani, album e band che hanno fatto la storia della musica o semplicemente ne hanno calpestato il palcoscenico solo per un po’, curata e attenta a individuare le tendenze e le sfumature dell’epoca, talmente dettagliata da essere per gli intenditori una delizia per le loro orecchie e per gli occhi, capaci di coglierne rimandi e citazioni e anche magari a scovare qualche stonatura qui e là.
Accanto al lavoro ottimo sulla colonna sonora, Vinyl può anche contare sulla ricercatezza e l’abilità nella ricostruzioni di scenari, usi e costumi, nei dettagli di scenografie, abiti e acconciature, la presenza di elementi iconici e i riferimenti a personaggi dell’epoca (Led zeppelin, Andy Warhol…), una fotografia dal sapore vintage che ricalca egregiamente i toni sgargianti e delle copertine degli album di allora e il turbinio di neon rossi e blu, le luci e le ombre che abbiamo sempre immaginato come caratteristiche imprescindibili di qualsiasi locale newyorkese pronto a risvegliare e sconvolgere la città in quegli anni. Il risultato è un immaginario vivido e quanto più possibile autentico, su cui la mano di Mick Jagger si fa sentire e ci rassicura sul fatto che le cose, in fondo, devono essere andate proprio così.
Se l’accuratezza dei dettagli ricorda molto una serie come Boardwalk Empire, Vinyl è stata fin da subito affiancata alla meravigliosa Mad Men in un parallelismo che vede due decenni e due mondi diversi, visti entrambi dall’interno: se Mad Men ci mostra i retroscena del mondo dei pubblicitari nel momento storico, tra i ‘50 e i ‘60, in cui la società si apprestava più che mai a cambiare la propria immagine, mettendo in evidenza contrasti e ambiguità di un sistema di valori capace di fagocitare se stesso ed essere al contempo la ragione del suo successo e la causa della sua stessa caduta, Vinyl ci racconta il panorama musicale degli anni Settanta da dietro le quinte, risaltando lo spirito trasgressivo dell’epoca e i personaggi che l’hanno resa indimenticabile al punto da influenzare ancora oggi stili e tendenze. Ritchie Finestra appare così assimilabile alla figura di Don Draper, con il quale condivide l’inquietudine, le dipendenze, l’ambizione sfrenata e il costante senso di inadeguatezza, mentre la giovane Jamie (Juno Temple) è la risposta punk a Peggy Olson, nel suo tentativo di primeggiare tra i giovani collaboratori della casa discografica e diventare una vera talent scout in grado di cambiare le sorti dell’etichetta. Similitudini a parte, però, ciò che fa riflettere è il punto di partenza di Vinyl. Mad Men ci racconta l’ascesa e poi il lento sgretolarsi di Don e del suo universo in quel di Madison Avenue, Vinyl parte proprio da un momento di crisi dove il protagonista vive un impasse non da poco e le due ore del pilot servono a fare chiarezza, tra flashback e conversazioni smorzate, su ciò che ha portato Finestra a cadere così in basso, fino a quella spettacolare rivelazione finale, tra le macerie di un vecchio palazzo crollato sotto il peso di molti decibel, che sembra segnare una possibile rinascita, in una struttura così perfettamente ciclica che, a ben guardare, Vinyl potrebbe essersi conclusa anche solo dopo i 110 minuti dell’episodio e andrebbe benissimo così.
Fortunatamente non è che solo l’inizio di questa avventura tra le strade e la musica di New York. Certo non sarà facile superare un primo episodio in cui la firma del maestro è evidente in ogni inquadratura e dettaglio: Scorsese ci regala un pilota che è un grande viaggio sensoriale che scorre fluido e armonioso, mostrando non solo il dramma di un singolo, ma un contesto generale ricco e composito, privo di veri punti di riferimento ma dotato di particolare audacia e persino di un certo virtuosismo che con Scorsese si fa arte.
A ogni modo, per i prossimi episodi ci conforta la consapevolezza che si tratta di un produzione con un parterre di nomi, tra produttori e sceneggiatori, che ci hanno già dimostrato il livello di qualità che sono in grado di regalare al loro pubblico, inoltre si tratta di una serie targata HBO e per noi spettatori seriali questa non è che un’ulteriore conferma.
In definitiva, Vinyl è partita con il botto e si è dimostrata subito essere all’altezza delle aspettative, che la volevano come la nuova grande avventura da “romanzo americano” televisivo, un affresco nudo e crudo su una data epoca che ha caratterizzato la storia degli States, un racconto di gran classe, dal buon ritmo, affascinante e curato, dotato dello stile e dall’appeal giusto per potersi candidare tra le migliori serie tv degli ultimi anni. Viene da chiedersi, di fronte alla grandiosità di un pilot del genere che non disillude affatto le promesse ma anzi sembra superarle, se la serie d’ora in poi, e senza più la direzione di Scorsese, sarà in grado di mantenere il livello raggiunto e, soprattutto, se sarà in grado di guardare oltre, mostrandoci anche un cuore che vada al di là dell’eccitante esperienza sinestetica di cui ha dato prova finora, e trovare quindi un’identità che “scaldi” un po’ quel grande affresco bello ma forse troppo patinato che ci ha completamente soggiogato in questo primo funambolico incontro con al serie. Insomma, si può chiedere di più a Vinyl? Assolutamente sì, e ci sono tutte le premesse per poterci credere davvero.