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Viola Amarelli: Lezione per gatti

Da Narcyso

Viola Amarelli, LE NUDECRUDE COSE E ALTRE FACCENDE, L’Arcolaio 2011

viola
C’è qualcosa di intensamente animistico nella poesia di Viola Amarelli, il calderone del mondo mostrato nella sua totalità, nella compiutezza, spesso blasfema, del suo tutto. Un tutto in cui il teatro del mondo, vita e morte e maestri di trasformazioni e travestimenti, si esibiscono senza pudore, chè, a volte il pudore, è pudicizia di scolaretti. Così ogni cosa ha il suo splendore, ogni cosa vive e serve la vita:

Mettetemi il vestito rosso
e poi alla terra morbida una fossa
ch’io rinasca verme e insieme mosca
magari campanula o cicoria
e tutto questo senza tante storie
che anche da morti si serve alla vita
p. 69

Il mondo genera forme, e quindi si rigenera, deponendo le memorie in grandi archivi cimiteriali, o addirittura della combustione, un luogo in cui non rimane memoria di niente. Forse perchè chi ha visto la guerra, una qualsiasi guerra, è rimasto con le stimmate del saper riconoscere il dolore, l’eternità del dolore che si annida nell’essere e ne rivela la consistenza più fragile, il suo grido di fanciulla. Allora “fare” poesia, non solo scriverla ma farla – è un gesto che non può sfuggire allo sguardo e alla polemica:

Prendi un coltello-bambina.
Attenta ai mostri. Ai lupi. Ad amici e parenti.
E sconosciuti.
Prendi le forbici – gioia.
C’è il male e c’è la pazzia.
Attenta a non incontrarli, per ora, ora che è
troppo presta.
Diventa tu folle, affonda le lame,
dentro più dentro coi denti.
C’è la paura e c’è l’orrore. Umano.
Carezza le bestie.
Tua madre ti ama.
p.18

Poesia, è facile capirlo, per Viola Amarelli è presenza, dito ben puntato contro gli altri, ma anche contro se stessi! Fin dall’infanzia.

Si litiga su tutto ciò che succede. Offese da lavare col vino. Mia madre mette a tacere. Urla più di tutti. Mio padre si alza, abboffato, per preparare il caffè. Come sempre tutti contenti. Anch’io, come sempre quando non lavo i piatti.
p.19

Così queste poesie sono abitate da molti “altri”, profughi e sopravvissuti, tutte vittime di una mancanza, la semplice mancanza dell’affetto. Le parole di Viola Amarelli, allora, acquistano una risonanza, come le voci che rimbombano in una stanza vuota, vestite del suono scostumato delle donne nel vicolo, dei loro proclami alti contro le faccende della Storia. Perchè ognuno, contro la Storia, ha i suoi proclami.
Spesso, queste prove dirette, vengono portate dentro il viluppo testuale della poesia, vestite di quella retorica della lingua che le conduce verso un cantare amaro, una risata.
La vita, e la stessa scrittura, sono come una forma sonata: uno, due, tre temi e variazioni e ritorni al tema centrale: che è quello della fatica e del bisogno di stare al mondo, di toccare gli altri, di sfiorarli. O di chiedere di essere toccati, sfiorati.
Questo è il motivo del ritmo saltellante e beffardo di questi testi, che si quietano solo nell’andante, e cioè nel momento in cui sentiamo una voce più distesa, più intima.
E per finire una questione importante che pone Viola Amarelli, in nome della poesia e della vita:

Lunghissimo e prolissimo quel metro d’indicibile
dubbioso d’ineffabile non trova mai
l’a capo.
Breve. Bene, elimina il superfluo:
l’io e il verso
p. 53

che forse è lezione per questi gatti:

Sono tre gatti, nessuno li ascolta
pure si azzuffano come dannati.
Non fate caso, nulla di grave,
solo poeti, ovviamente italiani.
p. 55

Sebastiano Aglieco


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