“Violenza assistita da parte dei minori” – della Dott.ssa Giorgia Usai – Psicologa e Mediatrice familiare

Creato il 13 ottobre 2014 da Alessandro Ligas @TTecnologico

In molti casi di separazione tra coniugi, la rottura avviene in seguito a continui litigi, beghe legali, denunce e addirittura violenze perpetrate nel tempo nei confronti del partner e in presenza dei figli.

Quest’ultima tipologia di violenza chiamata violenza assistita è quella forma di maltrattamento alla quale i bambini/giovani assistono in diverse forme quali testimoni e che riguarda persone che spesso compongono la propria famiglia. I danni riportati dai figli spettatori della violenza fisica, psicologica o degli abusi sessuali subiti da un genitore contro l’altro (chiamata “violenza domestica“) sono poco noti, e sicuramente sono ancora quasi del tutto sconosciuti rispetto ai danni prodotti dai “semplici” litigi, quelli cioè privi di gravi episodi di violenza fisica, che avvengono in molte famiglie e a cui assistono molto spesso dei minori. La letteratura sulla violenza domestica è tuttora scarsa e molto recente, e così pure sulla violenza assistita: si è scritto veramente poco. Non si hanno dati dei danni prodotti sui figli dai litigi dei genitori che utilizzano costantemente modalità relazionali caratterizzate da una pesante violenza verbale, talvolta seguita da violenza fisica anche se non estrema (schiaffi, spintoni).

La testimonianza dei minori davanti a questi episodi di violenza, può assumere varie forme, che vanno dal sentire fino al vedere. Dobbiamo anche considerare che i bambini, nonostante non siano sempre presenti alle violenze subite da uno dei genitori o alle loro liti, percepiscono “ciò” che accade intorno a loro, cogliendo le emozioni e le sofferenze che vivono i genitori. Pur non essendo fisicamente presenti ad azioni violente, sono spettatori di paure, tensioni, minacce, segni fisici di violenza che possono subire le persone adulte.

Talvolta sento frasi, da parte di genitori separati, quali: “mio figlio è troppo piccolo per capire e rendersi conto di ciò che sta accadendo“, “è successo solo qualche volta, mentre i bambini erano in sala a guardare la tv“, “come si fa a non litigare in certe situazioni, ti provoca“. Ecco queste sono solo alcune delle convinzioni sbagliate che portano a non mettere a disposizione adeguati meccanismi protettivi o di aiuto.

Mi preme sottolineare che è importante chiarire quando si parla di danni subiti da minori in seguito a violenza assistita, cioè non solo mi riferisco ad episodi in cui un genitore maltratta l’altro, ma anche a quelli in cui i figli sono spesso spettatori di litigi cronici e violenti fra genitori, pur interessati al benessere dei propri figli.

In realtà se analizziamo la definizione “violenza assistita”, notiamo che anche indirettamente il minore assiste e quindi subisce violenza, ma i genitori non ne sono quasi mai consapevoli, perché troppo coinvolti emotivamente nei litigi con l’altro coniuge e nello stabilire come suddividere i beni e definire l’assegno di mantenimento. Di questa forma di violenza si parla e si scrive poco, è difficile che venga a galla, perché questa forma di abuso all’infanzia riguarda molte coppie separate o in fase di separazione apparentemente più normali.

Affrontare questa tipologia di violenza, significa poter far emergere in molti genitori grossi sensi di colpa, nel aver fatto vivere ai propri figli situazioni psicologicamente pesanti e traumatiche, sottovalutando spesso il danno e la sofferenza creata nell’infanzia dei loro figli.

Quali possono essere i danni della violenza assistita?

Secondo alcune ricerche i bambini che vivono situazioni di violenza domestica, sono maggiormente a rischio di essere abusati fisicamente o sessualmente. Sono significativi i rischi di un aumento di abuso fisico e trascuratezza da parte delle madri che subiscono a loro volta violenza.

I primi a sottovalutare o a non esserne consapevoli dei danni della violenza domestica sui figli, sono proprio i genitori. Spesso sminuiscono ciò che avviene durante le loro furibondi liti, si convincono che i figli, pur non essendo presenti, siano protetti dalla violenza domestica. Chiaramente assistere ad una violenza per i bambini è un evento traumatizzante, doloroso e confondente. Lo è anche sapere, a posteriori, che certi episodi avvengono in casa, verificare che alcuni oggetti vengono distrutti o addirittura constatare gli effetti fisici del maltrattamento famigliare in uno dei genitori. Può creare grande confusione e paura nei bambini, percepire l’angoscia, il terrore delle vittime. E’ stato dimostrato che anche il solo assistere alla violenza cronica fra genitori può generare nel bambino un disturbo post traumatico da stress. I minori davanti a questi episodi di violenza assistita si sentono spesso impotenti e in caso di bambini molto piccoli, tendono ad addossarsi le colpe delle liti e delle eventuali “botte tra genitori”, attribuendole al loro cattivo comportamento. Sperimentare il senso d’impotenza ripetuto nel tempo, riduce fino ad annullare le capacità di coping (insieme di strategie mentali e comportamentali per fronteggiare una certa situazione) in un bambino, sviluppando un forte sentimento di fallimento.

In molti casi i bambini manifestano comportamenti adultizzati d’accudimento verso il genitore che subisce violenza e verso i fratelli minori, cercano di proteggere la vittima attuando varie strategie; come cercare di rimanere in casa il più possibile e avere un controllo della situazione, filtrare le telefonate, verificare chi suona alla porta. I bambini vedono le figure genitoriali in modo ambivalente, da un lato minacciose e pericolose e dall’altro minacciate e impotenti.

Sviluppano pensieri ossessivi su come impedire che al genitore succube venga fatta violenza o cercano di trovare una strategia per placare il genitore maltrattante. Perciò alcuni bambini raccontano bugie, altri cercano di assecondare l’atteggiamento dell’uno o dell’altro genitore a seconda delle situazioni e così via. I bambini molto piccoli in particolare sono incapaci di provare fiducia, in quanto non possono far conto sulla cura e la protezione dei loro genitori. Secondo una ricerca inglese condotta su bambini tra i 3 e i 5 anni, è stato dimostrato che il legame d’attaccamento è fortemente compromesso, così pure l’alimentazione, i ritmi di sonno/veglia sono sfasati e lo sviluppo del linguaggio può risultare danneggiato;

I bambini che assistono spesso a relazioni conflittuali con grossi esplosioni di rabbia mostrano grande preoccupazione e ansia. Ciò conferma che la convinzione di alcuni genitori sul fatto che il bambino è piccolo e non capisce è errata. Questi bimbi hanno un senso di autostima molto basso, e spesso il loro sviluppo neuro-cognitivo risulta essere danneggiato, in quanto esposti ad alti livelli di violenza con l’aggiunta di una riduzione della loro empatia. Inoltre rischiano di sviluppare disturbi psichiatrici proprio perché provengono da famiglie in cui assistono a violenza domestica cronica.

I bambini più grandi,quelli in età scolare, cercano di difendere il genitore maltrattato rischiando di ferirsi accidentalmente, oppure spesso si assentano da scuola per rimanere in casa, per controllare la situazione casalinga in quanto le liti tra gli adulti scoppiano durante la loro assenza. Durante l’adolescenza invece, i ragazzi possono sviluppare sintomi depressivi che possono concludersi con comportamenti suicidi.

I ragazzi apprendono che la violenza sia un comportamento accettabile e allo stesso tempo un comportamento virile. Mentre le vittime che assistono o subiscono maltrattamenti, pensano che nelle relazioni affettive esprimere sentimenti, pensieri ed emozioni sia rischioso e possa provocare violenza. I maschi imparano a denigrare le persone deboli e fragili, sviliscono le donne, in età adulta aumenta il rischio di sviluppare comportamenti violenti e di utilizzare la violenza come strumento relazionale nel rapporto di coppia. Molti bambini avendo avuto come modello comportamentale quello di un genitore violento (spesso il padre, ma non solo) ripropongono d’adulti lo stesso modello relazionale con la propria partner. Allo stesso modo le bambine vittime di violenza assistita, soprattutto se sono le madri a subire, da adulte si ritrovano a intraprendere relazioni di coppia nell’ambito della quale s’identificano con un modello femminile succube, che patisce i maltrattamenti del partner.

Cosa si può fare per aiutare i bambini vittima di violenza domestica?

Sicuramente è importante fare prevenzione.

Ma prima di tutto è fondamentale fermare (se è in atto) e prevenire la violenza, poi investire sulle risorse affinché i bambini diventino più resilienti (ovvero fare prevenzione sulla relazione madre/bambino sin dalla gravidanza).

Quando la violenza è già presente in una famiglia, certamente prima di un intervento psicologico sul bambino o sulla donna, è fondamentale interrompere la spirale di violenza. Apparentemente potrebbe sembrare una soluzione scontata, ma in moltissimi casi non lo è. In tante famiglie ormai la violenza domestica (sia verbale che fisica) è così cronicizzata, tanto che né i genitori e, talvolta, neanche gli operatori hanno una reale percezione della gravità dei danni che hanno prodotto sui bambini.

Oggi erroneamente si pensa che allontanare un bambino dalla famiglia sia più deleterio della violenza che deve subire quotidianamente, così come è ancora diffusa la concezione che la violenza sulla donna e sui bambini sia in qualche modo da accettare e che si debba intervenire solo quando la violenza raggiunge livelli estremi tanto da culminare in gravi episodi violenti o in omicidi, e solo allora viene condannata dall’intera società.

«Per contrastare il maltrattamento non basta individuarlo e fermarlo; bisogna sostituirlo con altro», afferma Malacrea. «Togliere il maltrattamento, affermando i diritti dei bambini, non innesca in automatico il suo contrario: di quale esperienza buona e/o correttiva riempiremo il vuoto di maltrattamento? Insopportabilmente penoso è assistere al “processo di desertificazione” del bambino, dopo aver fatto tanto per proteggerlo»

La strada da seguire in questo momento storico è mettere in pratica una strategia di prevenzione che punti al rafforzamento dei legami di attaccamento tra il bambino e i suoi genitori (in particolare con la madre) e a rendere più consapevoli i genitori e gli operatori sociali dei danni che la violenza assistita (anche i “classici” litigi se diventano cronici) può creare; solo così si potranno veramente tutelare le piccole vittime.

Per poterli sostenere a livello cognitivo ed affettivo e aiutarli ad elaborare la violenza subita, sono importanti alcuni fattori di protezione, come avere a disposizione altre figure di riferimento significative, aver sviluppato dei buoni stili di coping e aver sviluppato una sufficiente autostima, tutto ciò può certamente avvantaggiare il bambino.

Perciò è importante guidare i bambini in un percorso di rielaborazione e comprensione dell’accaduto, per evitare che acquisiscano modelli interni sbagliati e stereotipati, che rimetteranno in atto da adulti.

Oltre a questo è necessario garantire loro protezione, dal momento che un bambino che non mostra segni fisici e visibili della violenza, spesso, non viene considerato vittima e non si ritiene che debba essere protetto. La realtà però come ho detto precedentemente è diversa, le conseguenze della violenza assistita, compromettono lo sviluppo psicoaffettivo del bambino, quindi è fondamentale assicurare al minore una certa sicurezza nel contesto in cui vive quotidianamente, considerando i suoi bisogni e i mezzi per soddisfarli, per garantirgli il suo benessere.

Bibliografia:

  • Bertetti B., Oltre il maltrattamento. La resilienza come capacità di superare il trauma. Ed. Franco Angeli, (2008).
  • Malacrea M., Trauma e riparazione. La cura nell’abuso sessuale all’infanzia, Ed, Cortina Raffaello, (1998).
  • Malacrea M. “Il “buon trattamento”: un’alternativa multiforme al maltrattamento infantile”, in Cittadini in crescita, Centro Nazionale di Documentazione e Analisi Infanzia e Adolescenza, n.1, 1 – 7, (2004)
  • Luberti R., Pedrocco Biancardi M.T., La violenza assistita intrafamiliare. Percorsi di aiuto per bambini che vivono in famiglie violente, Ed. Franco Angeli (2005).

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :