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Violenza domestica sulle donne: dati, credenze e stereotipi

Creato il 01 maggio 2014 da Postpopuli @PostPopuli

 

di Claudia Boddi

Violenza domestica sulle donne: dati, credenze e stereotipi. Casi in Italia e Gran Bretagna, la più diffusa è quella psicologica

Capita spesso che intorno ai temi sociali ruotino numerosi stereotipi e pregiudizi che non disegnano la realtà come davvero si manifesta. Un giudizio (errato) comune ai più è quello che riguarda, per esempio, le persone con sindrome autistica, alle quali sono riconosciute in modo deterministico e quasi sempre sacche di eccellenza o tratti di genialità che, invece, non è necessariamente detto che abbiano, solo perchè “autistici”. Aree altamente funzionali sono riscontrabili nelle persone autistiche, così come nelle altre: l’autismo non è, al contrario di quanto si creda, sinonimo di maestria nei calcoli matematici, nella geografia o in quant’altro si possa pensare. È molto altro. Ma questo era solo un riferimento per introdurre alla riflessione su come gli stereotipi guidino i pensieri che si strutturano intorno alle esperienze con cui veniamo in contatto. Lo stesso succede anche per il fenomeno della violenza domestica.

 

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Di seguito alcuni spunti che smantellano una buona parte delle idee comuni intorno al problema, liberamente tratti dal libro “Il male che si deve raccontare” scritto a quattro mani da Simonetta Agnello Hornby e Maria Calloni ed edito da Feltrinelli nel 2013.

- Si pensa che le donne che subiscono violenza siano per lo più casalinghe, prive di qualsiasi qualifica professionale e povere. In sostanza, donne delle classi più umili e svantaggiate.

In realtà la violenza è trasversale al censo e alle classi sociali; colpisce donne di tutti i livelli di istruzione e di tutte le professioni. In Inghilterra, i casi riportati di violenza su donne professioniste sono in aumento.

- Si pensa che la maggior parte delle donne vittime di violenza siano straniere, in particolare, asiatiche, africane o mediorientali perché allevate ad accettare la superiorità e la violenza degli uomini.

In realtà, in Gran Bretagna la violenza colpisce con la stessa frequenza le donne bianche, nere o asiatiche. In Italia, le donne che chiedono aiuto ai centri antiviolenza, sono nel 68% dei casi, cittadine italiane.

- Si pensa che nel bacino Mediterraneo le donne vittime di violenza siano più numerose rispetto ai paesi del Nordo Europa.

In realtà, sembra il contrario. Le donne vittime di violenza (non necessariamente per mano del partner) sono il 146% in Svezia, il 43% in Finlandia; il 14% in Italia e il 9,6% in Spagna. Dunque, in Europa le vittime di violenza sono più numerose dei paesi del Nord rispetto ai paesi del Sud: la ricchezza, lo sviluppo sociale, culturale ed economico e il cosiddetto grado di “civilità” di un paese sono fattori meno influenti di quanto si possa pensare.

- Si pensa che le donne laureate, con un lavoro e appartenenti alla borghesia, non avessero esperienza diretta di violenza domestica e che non l’avrebbero mai tollerata da amanti, compagni o mariti.

In realtà, in Italia la violenza è più frequente tra le laureate, le diplomate, le dirigenti, le libere professioniste, le imprenditrici, le funzionarie e le impiegate.

- Si pensa che uomini laureati e appartenenti alla borghesia ricorressero rarissimamente alla violenza contro le proprie amanti, compagne o mogli.

In realtà, il titolo di studio non distingue gli uomini violenti da quelli non violenti, così come non distingue le vittime.

- Si pensa che l’effetto delle pari opportunità sul lavoro e l’uguaglianza dei diritti tra gli uomini e le donne avessero portato in Europa a una diminuzione della violenza sulla donne di ogni classe sociale, etnia e credo religioso.

In realtà, la violenza sulle donne non è diminuita. Anzi, sembra essere aumentata.

- Si pensa che la violenza fisica sia legata essenzialmente all’abuso di alcol e all’uso di droghe che allentano i freni inibitori.

In realtà, in Gran Bretagna l’abuso di alcol e droghe è correlato alle violenze e agli abusi all’interno della famiglia, ma non ne è la causa principale: gli abusanti che agiscono sotto l’effetto di alcol sono il 44% (e il 12% sotto l’effetto di droghe). In Italia, invece, i partner maltrattanti sono sotto l’effetto di sostanze alcoliche o stupefacenti nel 13,3% dei casi.

- Si pensa che la violenza fisica sia la peggiore perché uccide, e che gli omicidi siano pochi.

In realtà, la violenza più diffusa è quella psicologica – isolamento, controllo, violenza economica, denigrazione, intimidazione. Una donna su sette, tra quelle che subiscono violenza psicologica, viene anche maltrattata fisicamente e/o abusata sessualmente. Gli omicidi con movente di genere avvengono con frequenza preoaccupante: in Italia, uno ogni tre giorni nel 2012. L’uccisione da parte di persone note alla vittima è la prima causa di morte nel mondo per le donne tra i 16 e il 44 anni.

- Si pensa che la violenza psicologica appartenga al passato, quando la donna era considerata inferiore e dipendeva economicamente dal marito e dal padre.

In realtà, continua a essere la più diffusa nonostante la vittima lavori e sia economicamente indipendente.

- Si pensa che la donna, se aiutata, si riprenda facilmente dalla violenza fisica e psicologica.

In realtà, il danno causato dalla violenza di qualsiasi tipo è duraturo.

- Si pensa che la donna che ha subìto violenza fisica e/o psicologica da un uomo sappia tenersi alla larga dagli uomini violenti.

In realtà, è proprio il contrario: la donna ha perduto l’autostima ed è condizionata dai comportamenti violenti. È attratta da uomini simili all’aggressore, che a loro volta sono attratti da lei.

- Si pensa che la donna che ha avuto il coraggio di denunciare e di partecipare al processo contro l’aggressore non gli permetta mai più di ritornare in famiglia e di usare nuovamente violenza su di lei e sui suoi figli.

In realtà, invece accade con frequenza notevole. La donna maltrattata ha bisogno di tempi lunghi per riuscire a vivere da sola e lontano dall’aggressore.

- Si pensa che la donna che denuncia la violenza del marito sia sostenuta dalla propria famiglia d’origine.

In realtà, la famiglia d’origine della vittima raramente offre aiuto, alloggio o denaro a lei e ai suoi figli. In molti casi, la rinnegano per aver rotto l’omertà – nel caso in cui lei sia stata vittima di violenza all’interno della propria famiglia – e per aver denunciato l’aggressore.

- Si pensa che una madre sostenga sempre la denuncia della figlia contro il padre per una violenza di qualsiasi genere a cui lei abbia assistito.

In realtà, la violenza abbrustisce la vittima e la sua capacità di proteggere i figli: a volte la madre diventa complice – attiva o passiva – dell’abuso contro i figli e si schiera contro il figlio che denuncia l’abuso.

- Si pensa che la crescita fisica e psicologica dei figli tenuti all’oscuro della violenza tra i genitori non sarebbe stata impedita o danneggiata.

In realtà, i minori “sentono” la violenza in famiglia anche se non ne sono stati testimoni oculari. L’esercizio di potere dell’aggressore permea l’intera famiglia. Gli effetti negativi di questa esperienza si riflettono sulla salute fisica e mentale dei figli con frequenza fino a sette volte superiore rispetto ai bambini non esposti a violenza. Questi disturbi – problemi di apprendimento, fobie, bassa autostima, sensi di colpa, difficoltà emotive, depressione, aggressività, passività, disturbi psicosomatici, sintomi dissociativi, abuso di sostanze stupefacenti – sono a lungo termine.

- Si pensa che un figlio o una figlia che hanno avuto esperienza di violenza tra i genitori non tollerino su di loro l’instaurarsi di una dinamica uguale o simile nei loro rapporti con il coniuge e con i loro figli.

In realtà, è il contrario. Rispetto ai figli di genitori non violenti, i figli di genitori violenti hanno una propensione maggiore a esercitare a loro volta, da adulti, forme di violenza fisica, psicologica e sessuale ai danni di partner e figli, e a esserne vittime.

- Si pensa che nella violenza di coppia soltanto l’uomo sia l’aggressore, e mai la donna.

In realtà, in Gran Bretagna il numero di donne condannate per casi di violenza domestica è in costante aumento, sebbene rappresenti solo il 7% del totale. Si calcola che nel mondo il 6% degli uomini è vittima di violenza.

- Si pensa che nelle coppie omosessuali l’incidenza della violenza sia minima.

In realtà, l’incidenza di episodi di violenza domestica può essere addirittura maggiore in coppie dello stesso sesso, a causa della più frequente condizione di isolamento e della segretezza di cui vivono.

- Si pensa che nella violenza di coppia il potere avesse un ruolo importante ma non determinante e mai predominante.

In realtà, la violenza di coppia e nei riguardi dei figli ha come scopo principale l’affermazione del potere dell’aggressore.

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