diClaudia Boddi
Dati allarmanti, quelli riportati dalle ultime stime, pubblicate in Italia, relative al fenomeno della violenza sulle donne. Su questo blog abbiamo scelto di parlarne in più occasioni ma continuiamo a farlo al fine di mantenere la guardia alta e non far calare l’attenzione su un problema che sta diventando sempre più complesso e diffuso.
Risultati elaborati su variabili aggiornate sono stati riportati di recente dal “Rapporto ombra”, prodotto dalla piattaforma italiana delle pari opportunità. Spunti significativi che testimoniano la gravità della situazione nel nostro paese, dove su 151 omicidi compiuti nel 2011, 127 erano femminicidie più del 70% delle vittime era già noto alle forze dell’ordine e/o ai servizi sociali per aver denunciato il proprio stato di difficoltà. L’entità del crimine si evince anche dal fatto che (finalmente) l’Italia ha deciso di dedicargli un capitolo apposito nel sopracitato “Rapporto ombra” e nelle relazioni annuali esposte al Parlamento. L’incongruenza nell’applicazione delle politiche per la tutela delle donne e leggi che disattendono le condanne in merito a comportamenti lesivi della loro incolumità rimangono i temi principali di questo e altri reportage.
Un paese incapace di difendere donne e bambini è un paese allo sfascio. Mai pensiero fu più centrato. Non per fare sempre i soliti disfattisti ma in merito al femminicidio è allarme sociale.Stalking e maltrattamenti, spesso sottovalutati, vengono considerati alla stregua di reati minori, e raramente puniti a dovere. La fotografia riferita dagli studi di genere induce a pensare allo Stato come a un’istituzione fallimentare, svuotata di ogni autorevolezza, come a un padre cui è stata tolta la capacità di creare le condizioni ottimali entro le quali crescere e svilupparsi, sul quale è impossibile fare affidamento.
Donne vittime di partners o ex- partners, padri, fratelli o familiari in generale, alle quali non viene riconosciuto nessun diritto umano, perché è di questo che si tratta e i termini della questione non possono essere altri. La violenza sulle donne viola i diritti fondamentali dell’individuo, pertanto spetta anche alle istituzioni attivarsi per attuare una rivoluzione copernicana che vada a incidere profondamente nelle radici culturali del nostro popolo per prevenire il femminicidio e salvare coloro le quali sono a rischio di violenza. Ancora troppe donne vengono ammazzate perché prede di una cultura assassina e di una reazione collettiva assente o sempre eccessivamente flebile. La nostra storia sociale è piena di stereotipi di genere, oneri al femminile dettati da una società che ha da sempre ostentato virilità maschili come tratto distintivo di riconoscimento in tutte le generazioni che si sono succedute, (pre)concetti di antichissima provenienza che, a fatica, ma possono essere scardinati alla volta della costruzione di piani relazionali più simmetrici.
Maltrattamenti di natura economica, psicologica, fisica e abusi di vario tipo tendono, in sedi ufficiali, a essere trattati – come si apprende da un intervento di una relatrice delle Nazioni Unite - alla luce: “del quadro politico e giuridico frammentario e [del]la limitatezza delle risorse finanziarie per contrastare la violenza di genere, che ostacolano un’efficace ottemperanza dell’Italia ai suoi obblighi internazionali”. Proseguendo poi con: “L’attuale crisi politica ed economica italiana. non può essere usata come giustificazione per la diminuzione di attenzione alla lotta contro tutte le forme di violenza verso donne e bambine”.
Piani diversi si intersecano dando vita a scenari complessi e multiformi. Un aspetto però è incontrovertibile, nonostante i chiaroscuri che possono più o meno venire a modificarlo: la tutela delle donne è un diritto e come tale deve essere reclamato affinché non rimanga una formalità scritta sulla carta.