Magazine Diario personale
Questa mattina ho sentito anche io una stupida scossa di terremoto. Ha ondeggiato un po' il tavolo su cui scrivevo, le cordicelle delle pale sul soffitto si sono mosse leggermente. Mi sono un po' spaventata; ma quando ho visto cosa è successo in Emilia mi sono sentita in colpa per quell'attimo di preoccupazione.
Sono rimasta poi attaccata allo schermo, sia del pc che della tv, per ore. Proprio ieri non so perché riflettevo sull'imprevedibilità della vita e oggi la cosa per qualcuno ha preso contorni drammatici.
Non ci sono parole e da questo blog è proprio inutile predicare, dire cosa fare, ciascuno saprà come comportarsi, se e come rendersi utile. Solo un piccolo consiglio: non fate come me sui social network, cioè non fidatevi di tutte le richieste possibili e immaginabili di denaro e di sangue. Oggi ho imparato la lezione che è meglio verificare sempre tutto.
Detto questo, volevo raccontare una storia veramente minima, ma vera, che è capitata nel tardo pomeriggio. Stava diventando impossibile restare in casa, dove passo la maggior parte del tempo e dove lavoro, e dove, normalmente, sono a mio agio. Dopo aver ascoltato minuziosamente tutte le notizie sul terremoto, però, ho provato un senso di dispiacere profondo e senza fine, di vera impotenza.
Così ho pensato di uscire. Ho lasciato un interrogativo in sospeso nell'aria, e dentro di me, sul dafarsi, sul senso di quello che era capitato a persone non molto lontane da qui (da Torino). Ho camminato per qualche minuto allora fino al parco più vicino al mio quartiere, lasciando perdere ogni elucubrazione, con lo scopo di ritrovare qualcosa di intelligente dopo una breve pausa.
A un certo punto ho visto questo: una ragazza giovane, sui ventanni, maglietta rossa, occhiali trasparenti, coda di cavallo, scarpe estive, e, accanto a lei, sullo schienale di una panchina, una cocorita bianca e azzurra. Mi sono avvicinata e le ho chiesto cosa fosse, o per lo meno ci siamo capite, visto che la ragazza era straniera.
Lei ha detto che era "un cocorito" di nome Violino. Che si porta a spasso per la città tutti i pomeriggi. Poi l'ha preso e ha voluto mettermelo sul dito, ma ho rifiutato perché avevo sincera paura che volasse via e non sapevo come l'avrebbe presa la ragazza.
"Si chiama Violino per una macchiolina viola che ha sul collo", mi ha mostrato quindi la macchiolina. Violino, per l'emozione, credo, si è lasciato andare ai suoi bisogni, che la ragazza ha pulito, come si fa con gli animali domestici.
Violino proprio non ci pensava neanche a volare via, non sapeva di poterlo fare, non voleva, non so, comunque restava immobile a guardare il mondo circostante. Per quei cinque minuti, non mi sono sentita meglio di prima, ma sono ritornata in contatto con un'altra realtà, quella dei vivi, quella in cui la terra sta ferma ed è clemente anche con le creature più piccole e insignificanti, come Violino, come la ragazza e come me. E succede che c'è anche questo, che c'è la fortuna, che c'è una tale armonia tra esseri viventi che "un cocorito" sceglie, perché aveva l'aria di essere libero, di restare seduto vicino a un umano. O almeno è quello che ho visto io, che ho creduto e sperato di vedere io.
Questa storia non ha alcun significato, ma raccontarla è stato un mio modo, l'unico che conosco, per sentirmi meno inutile, ancora presente, e avere ancora fiducia nel mondo, nelle sue sorprese e nella natura, perché in certi momenti, pur avendo avuto fortuna, credo non sia facile per nessuno.
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