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Virginia. Biografia di una monaca.

Creato il 19 marzo 2013 da Cinzialuigiacavallaro
 

virginia_MEDLeggere Virginia di Claudia Molteni Ryan è stata una piacevole scoperta. Conoscevo la sua competenza artistica, ora anche la sua scrittura.

Quando ero immersa nella lettura mi sembrava realmente di essere in quella cella, di vivere in quel tempo, di provare la stessa pena o euforia di Suor Virginia, alias Marianna de Leyva, meglio conosciuta come “La monaca di Monza”.

Se questo è stato possibile lo si deve al testo che riesce a condurti per mano nei meandri fisici e psicologici di questa particolare protagonista dal vissuto a dir poco intenso e assurdo.

In un paragrafo a pagina 100 ho trovato una similitudine con il mio romanzo, cioè una storia in verità non superficiale anche se pericolosa, contrastata e rifiutata, perciò destinata a perire. Nel caso di Virginia per mano degli altri, nel caso del mio libro per scelta dei protagonisti.

Molto interessante la scelta di intercalare il testo con versetti delle sacre scritture che danno profondità e pienezza al testo, nonché una connotazione di sacralità che chiude il cerchio della storia di questa donna ambivalente.

Qualche perplessità mi è sorta rispetto alla scelta di un paio di termini quali romanticherie e romanticismo che non so se potessero esistere al tempo in cui ci parla Virginia, dato che l’io narrante è in prima persona; queste sono comunque inezie rispetto a tutto il romanzo storico biografico che vi consiglio di leggere. Ho piacevolmente ritrovato Claudia alla Biblioteca Alda Merini di Usmate nell’ambito dell’iniziativa L’amore che consuma che ci ha accomunato e a seguito di ciò la lettura e la recensione del suo libro. 

A contorno di questa mia recensione l’autrice mi ha concesso una breve intervista che condivido con voi.

Quando e come è nata l’idea di scrivere questa storia?

L’idea di scrivere “Virginia” mi è venuta dopo che ho assistito alla rappresentazione teatrale “La Monaca di Monza”, messa in scena dalla compagnia teatrale La Sarabanda. La storia si conclude quando la monaca viene murata viva. Mi sono chiesta: ma questa donna come ha fatto a vivere 14 anni segregata, a pane e acqua, e terminare la sua condanna ancora sana di mente? Questo pensiero mi ha intrigata e ho incominciato a fare delle ricerche e, nel contempo, a fantasticare. Poi l’esigenza di scrivere è venuta spontanea, quasi naturale. Avevo un piccolo taccuino che tenevo sempre con me perché quando avevo l’ispirazione dovevo scrivere immediatamente. Spesso mi capitava quando guidavo, perciò dovevo accostare l’auto e mi mettevo a scrivere. Devo dire che l’immedesimazione con Virginia è stata potente.

Si può definire un romanzo storico o piuttosto una biografia in forma di romanzo?

Difficile dirlo… credo sia l’uno e l’altra. Anche se la storia si basa sulla vera vita di Virginia non definirei il mio libro una biografia, perché tutto è troppo filtrato dai suoi stati d’animo, sentimenti, pensieri, sensi di colpa. In quanto romanzo storico lo è, perché ambientato tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, ma anche in questo caso l’ambientazione storica fa solo da sottofondo, perché tutto è incentrato sulla storia personale, intima, di Marianna de Leyva. La sua forma mentis però è legata al suo periodo storico, da cui derivano i suoi pensieri, il racconto della sua storia.

È stato difficile entrare nel personaggio? Che cosa ti ha affascinato di questa donna a tal punto da reinterpretare la storia della sua vita?

Stranamente no. Sono una donna che vive nel XXI secolo, intraprendente e libera, che non accetta nessuna imposizione, sono credente ma non praticante, eppure immedesimarmi in Virginia è stato facile. Per la verità è stato esilarante.

Mi arrabbio quando sento di donne obbligate a vivere una vita che non vogliono, oppure sono maltrattate, schiavizzate… mi viene una rabbia viscerale che definirei metastorica. Virginia, a suo modo, si era ribellata alle imposizioni, ha vissuto il proibito. Era una ribelle, questo è un lato di lei che mi è piaciuto molto. È stata coraggiosa, sia perché ha vissuto un amore che a mio parere desiderava, sia perché è riuscita caparbiamente a sopravvivere in una cella da sola per 14 anni.

Perché hai scelto di intercalare con versetti scelti dalla Bibbia?

Virginia era una suora ma era anche una nobile, perciò aveva un certo grado di cultura, e la Bibbia era il suo riferimento. Inoltre non dimentichiamo che in quei 14 anni di isolamento l’unica sua consolazione era la lettura della Bibbia. Per la verità anche questa scelta mi è venuta molto spontanea: quando scrivevo ero Virginia, non Claudia. In questa immedesimazione l’unico aspetto che ho dovuto razionalizzare è stato l’uso del linguaggio, perché certe nostre espressioni e modi di dire sono propriamente moderni e sarebbero stati incoerenti con l’epoca.

È un caso questo genere di romanzo o pensi di scrivere ancora un romanzo biografico?

Sto già scrivendo un altro romanzo il cui protagonista è un personaggio veramente esistito nel X secolo, per la verità un genio del X secolo, perciò è un libro molto impegnativo da scrivere. Inoltre ho più difficoltà ad identificarmi con un uomo, la scrittura diventa più lenta, più ponderata.

Quella di Virginia è una storia che può avere un’attualità, magari non nei modi ma nei contenuti? Ovvero quali sono le “murate vive” oggi e perché?

La storia di Virginia, ragazza obbligata a vivere reclusa in un convento, può sembrare poco attuale ad un primo approccio, ma in realtà ci possono essere dei parallelismi con l’attualità. Penso a tutte le donne di altre culture obbligate a sposarsi giovanissime con qualcuno che non amano e che magari neppure conoscono. Sono “murate vive” dalle convenzioni. Penso al medio oriente, dove ho temporaneamente vissuto a “sprazzi” negli ultimi sette anni: in Arabia Saudita molte donne non possono uscire da sole, non possono prendere nessuna decisione, sono tagliate fuori dal mondo, letteralmente “murate vive”. Penso alle schiave prostitute spesso trovate qui in Italia, giovani ragazze straniere in cerca di lavoro che vengono violentate, ricattate e obbligate a fare un lavoro odioso, e non hanno nessun tipo di libertà. Le “murate vive” le abbiamo perciò anche qui, nel nostro Paese.

Virginia ha vinto il premio “Villa Selmi” per la migliore biografia nel 2012 ed è finalista al concorso “Un libro amico per l’inverno” 2013. Cosa pensi dei premi letterari?

Sono una sfida, la possibilità di avere un riconoscimento tangibile. È un modo per mettersi in gioco, ma anche per mettersi in mostra. Il nostro è un mondo inflazionato di tutto, vincere un premio è perciò, forse, un modo per distinguersi. Comunque tutto è molto effimero e relativo, i concorsi vanno fatti e vanno presi come un gioco, anche se serio.

Progetti in cantiere?

Ora devo assolutamente finire il libro che sto scrivendo: spero di concluderlo per luglio, così per Natale potrebbe essere in commercio.

Inoltre ho già in mente il prossimo, sempre un romanzo storico ambientato nel XI secolo.


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