Virgo Fidelis, libera nos a peste!
Creato il 23 gennaio 2015 da Il Viaggiatore Ignorante
"Mater dei, libera nos a malo pestis!". Questa e molte altre devono essere state le suppliche disperate, strazianti e straziate dal dolore, in quel di Biella, devastata dalla morte . Gli occhi e gli animi tutti volti verso il cielo, rivolti alla Virgo Fidelis...
Il capo chino di chi sta per arrendersi o di chi si é già arreso... Le urla della disperazione di chi ha perduto i propri cari. Famiglie intere cancellate... Non restava che pregare... Non restava che invocare l'aiuto della Madonna di Oropa mentre il fetore dei cadaveri bruciati sulle pire rendeva ancor più arduo il pregare... Rendeva ancor più difficile il credere. Entrava dalle narici per minare l'animo anche dei più forti..."Mater Dei et mater nostra, libera nos a malo..." La Beata Vergine ascoltò le suppliche e soccorse la città. Correva l' anno 1599 d.C. Allora i morti furono quattrocentosessanta a fronte di una popolazione di seimila abitanti. Fu allora che il Consiglio emise il voto di ingrandire la già preesistente Chiesa della Madonna di Oropa."Sia noto e manifesto ad ognuno...che i peccati sono il più delle volte causa di flagelli, i quali si possono levare con le orazioni e devozioni per mezzi dei quali si placa l'ira di Dio...considerando in qual modo si possa placare, abbiamo pensato che con le orazioni e intercessioni della Beatissima Vergine Maria madre di nostro Signore Gesù Cristo e dei suoi santi ricorrere alla bontà e clemenza di Dio perchè si degni di liberarci dal flagello...per questo convocati in nome di questa magnifica comunità, di libera volontà e con medesimo animo e parere, hanno fatto voto solenne alla Beatissima Vergine all'oratorio costruito nei monti di Biella, di andare in processione con tutto il Clero...e il dono per mezzo dei Rettori e Consoli di cento ducatoni da impiegarsi per ingrandire la Chiesa."A testimonianza di quanto scritto vi è l'epigrafe posta sulla facciata dell'attuale chiesa costruita al posto dell'oratorio."Per la pestilenza allontanata da Biella. Nell'anno del Giubileo 1600".
La nascita del Santuario sarebbe riconducibile all'allora vescovo di Vercelli, Sant' Eusebio. Era il IV° secolo d.C. Ubicato a 1200 metri di altitudine, gode di una posizione più unica che rara . E' circondato dalla Natura o meglio, vi è proprio immerso... E' posto in luogo privilegiato.
Svetta sopra la città di Biella come volesse proteggerla. E' un vero capolavoro. E' puro genio architettonico asservito all'esaltazione della fede. E' frutto di teologia architettonica. Infatti ha crisma e carisma di quella scienza che studia il perfettibile e che trova nel Santuario la propria esaltazione proprio attraverso l'architettura. Le menti più illuminate della regia epoca hanno concorso a progettarlo! Il Santuario di Oropa venne eretto tra il XVII° e il XVIII° secolo. La ricerca di stile architettonico , la creazione dell'opera d'arte , coinvolse intelletti raffinati quali Arduzzi, Conti, Gallo, Beltramo, Juvarra, Guarini, Galletti . Loro il merito di aver creato una struttura d'ampio respiro che assurge al maestoso grazie a giochi di dinamismo plastico caratterizzati da archi a crociera dislocati su due piani. Il gioco di archi che si susseguono ai lati della sublime entrata inizia subito dopo il "Prato delle Oche" con i due bei porticati . Questi porticati, confluiscono in una prima scalinata al cui apice si rinnova l'incanto dei colonnati e delle volte a crociera. Nel bel mezzo della seconda piazza è posta una bella fontana in pietra. Alla sua destra è situata la Basilica Antica, edificata nel XVII° secolo come segno di gratitudine da parte della città di Biella per la liberazione dalla "morte nera", sterminatrice implacabile di esseri umani. "Morte nera" fatale e assassina." Morte nera", raffigurata da Bernardino Lanino nel dipinto racchiuso nella Galleria dei Tesori del Santuario. La "Morte nera" era la peste, narrata dal Boccaccio, descritta ne " I promessi sposi" da quel Manzoni che fu tanto amico di Rosmini. Lo storico Lodovico Antonio Muratori nel suo " Del governo della peste e come guardarsene" avrà a dire:" Ed ultimamente il signor Bartolomeo Corte, dottissimo medico di Milano, in una sua lettera quivi stampata intorno alle cagioni della peste ha assai concludentemente provato non poter venire la peste nè dall'aria, nè dai nutrimenti cattivi. Secondariamente godo io che qu' valenti medici rilevino e facciano ben ravvisare i cattivi effetti del terrore, della tristezza e dell'altre passioni dell'animo, allorachè la pestilenza arriva con mal talento di spopolare le città. Imperocchè, abbattuti gli spiriti animali nell'uomo e tolto l'equilibrio agli umori del corpo, riesce facile al morbo entrare in una piazza sì mal difesa e l'atterrarla anche prestissimo."
Troppe anime dovettero essere rese al Creatore a causa della pestilenza! La Basilica Antica, come detto, è posta nel secondo e più imponente piazzale: il piazzale Sacro o del Chiostro della Madonna. Essa venne eretta dall'architetto Conti a imperitura memoria e ringraziamento della città alla Vergine Maria. Geniale e raffinata nella sua semplicità di linee, presenta una facciata in completa pietra di Oropa, dalle caratteristiche venature verdastre. Il bel portale, in serizzo verde scuro e pietra bianca , è sormontato dallo stemma della regia casa sabauda. Al suo interno è custodita, come vera e preziosa reliquia, la Madonna Nera. E' collocata nel sacello Eusebiano. Si narra che venne trovata in quel di Gerusalemme nel 369 d.C da S. Eusebio, sotto cumuli di detriti . Nella città regnavano saccheggio e distruzione! Sarebbe, secondo la tradizione, addirittura opera di San Luca evangelista. Portata a Oropa, essa venne nascosta dapprima all'interno di un masso erratico dove poi sorse la Cappella del Roc, quindi posta nella sua attuale dimora: il sacello di S. Eusebio. La scultura lignea, alta 132 centimetri, rappresenta la Vergine Maria nel mistero della presentazione e della purificazione dalle imperiture umane mancanze. Si osservi la figura del Bambin Gesù nell'atto della salvifica benedizione e remissione dei peccati. Pare esclami solenne:"Ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Patris, in nomine Filii, in nomine Spiritus Sancti! . La Madonna Nera, anche se imponente nei tratti, è madre rasserenante e consolatrice . Drappi leggiadrissimi la vestono, donandole regalità. Nella mano destra il mondo, rappresentato da un pomo d'oro al cui apice una croce incastonata di diamanti. Il Gesù reca la colomba, segno di pace e fratellanza dei popoli. Molti furono e sono i fedeli a Lei devoti . Tra le personalità religiose ricordiamo il Beato Giovanni Paolo II°, Papa Joseph Ratzinger e Papa Montini. Molti anche gli sportivi...Particolarmente toccanti gli ex- voto dei reduci della prima e della seconda guerra mondiale, dei pochi tornati a piedi dalla Russia in inverno,attraverso la steppa, risparmiati dalle granate, dai proiettili, dall'assideramento, dall' ultimo assalto alla baionetta per rompere l'accerchiamento nemico... e tornare finalmente a casa! Come detto precedentemente, nel vasto piazzale del Chiostro della Madonna, cui si accede grazie la Porta Regia tramite una scala, impreziosita da una serie di eleganti balaustre a dir poco entusiasmanti nella loro agilità di forme ieratiche, è posto il cuore pulsante della spiritualità del Santuario. Nel Sacro Piazzale è ubicata la Basilica Antica. All'interno presenta tre navate che conservano tuttora le antiche colonne. Il sacello di San Eusebio é posto proprio al di sotto della cupola. In esso, come detto in precedenza, è racchiusa la Madonna Nera. Da segnalare il bellissimo dipinto raffigurante "L'ultima cena" , attribuibile a Bernardino Lanino, nonchè gli affreschi quattrocenteschi che adornano l'abside, tra i quali la Madonna del Latte. L'ampio piazzale è racchiuso dal pregevolissimo Chiostro che riprende le linee geometriche del precedente, continuando in quel susseguirsi di volte a crociera, colonnati e capitelli che conducono con estrema grazia alla scalinata che accompagna fedeli e turisti alla Basilica Superiore. Posta nel Piazzale di Santo Stefano è un edificio importante. Fu consacrata nel 1960 d.C. Le potenti colonne dai capitelli corinzi che caratterizzano l'ingresso della Chiesa , sormontate da una cupola imponente, slanciata e ampia, rimandano alle silenziose vette delle montagne circostanti, il monte Camino e il monte Mucrone. Ma il Santuario di Oropa è soprattutto rappresentazione del "munus sacerdotale", inteso proprio nel senso di pietà popolare.La pietà popolare sancisce sacri diritti acquisiti e non dimenticabili.
Molto interessante è la narrazione che il Can. Bessone don Angelo Stefano riguardo il carattere eremitico della comunità. Egli testualmente dice nel paragrafo sulla domus degli eremiti: "Gli eremiti della comunità di Oropa abitano nella "Domus ecclesiae S.Mariae", la quale non è mai presentata come un monastero. Si constata con frequenza che gli eremiti dell'XI° secolo costruiscono la loro abitazione accanto a una chiesa abbandonata.Tale situazione vale anche per Oropa, anche se non sappiamo e da chi fu costruita la piccola chiesa di cui parla la bolla del 1207 d.C., ma risulta che sono stati gli eremiti a condurre a termine, accanto al sacello,una chiesa che era terminata nel 1295 d.C. Nel febbraio del 1295 d.C. essa era stata consacrata da poco dal vescovo Ajmone di Challant. Gli storici individuano tre tipi di eremitismo anteriore al mille:l'eremitismo monastico, un eremitismo indipendente e un eremitismo confederato. E' un fatto che nel medioevo le domus eremitiche della valle d'Oropa sono quattro: alla fine del 1200d.C ci sono le due chiese di Santa Maria e di San Bartolomeo nell'alta valle. Non lontano dalla chiesa di San Bartolomeo alla Burcina, nel secolo XIV° ci sono dei << fratres eremite>> che abitano in una chiesa dedicata a San Paolo eremita. Pure al Favaro, sulla strada che porta ad Oropa, c'era nel 1507 d.C <<quidam heremiticam vitam ducens>>. Il processo di clericalizzazione è ben visibile nella comunità di Oropa. C'é sempre nella comunità il prete, anzi il numero dei preti é talora pari o superiore al numero dei conversi. Sono soggetti alla giurisdizione del vescovo e dipendono anche dal prevosto dei canonici di Santo Stefano; sono talora chiamati a partecipare a determinate officiature nella collegiata e talora alle adunanze capitolari. Il capo degli eremiti di Oropa ha il titolo monastico di priore.
Ad esempio nel 1337 d.C il prete Bertoldo de Sapellanis ha il titolo di priore di Santa Maria d'Oropa. L'apertura degli eremiti di Oropa agli ordini monastici è impersonata da Bernardo De Brunetis, un converso del Vernato il quale, nel 1356 chiede al suo priore Giacomo Nicolia di poter abbandonare Santa Maria per abbracciare una regola più severa." E ancora, riguardo le risorse economiche degli eremiti e della loro spiritualità, avrà a dire:" La valle è disabitata per cui non ci sorprende che il vescovo del Duecento, Ajmone di Challant,descriva uno stato di estrema povertà. La loro risorsa economica nel 1295 d.C consiste prevalentemente nell'elemosina dei fedeli.Gli eremiti stessi di Oropa passano nei villaggi a questuare. La questua per Oropa resterà una tradizione fino alle soglie del 1800 d.C. Ma gli eremiti dovettero anche curarsi dell'allevamento del bestiame se nel 1425 d.C si fa menzione in un documento. Non abbiamo nessun cenno sulla Regola seguita. Il vescovo Ajmone di Challant nel 1295 d.C parla degli eremiti che hanno il compito di attendere alle <<preghiere>> ed alle <<vigilie>> (preghiera liturgica specifica per i pellegrini, i quali arrivavano già il sabato sera per cui venivano intrattenuti con l'Ufficio).La loro preghiera consiste soprattutto nel libro dei Salmi; in un inventario fatto tra il 1436 -1444 d.C risulta che il priore Antonio de Primis possiede tanto un <<psalterium novum sine glosis>> quanto un commento al libro dei Salmi, <<Psalterium glausatum>>. La spiritualità eremitica è testimoniata soprattutto dagli affreschi. Sia nella chiesa di Santa Maria che in quella di San Bartolomeo che in quella di San Paolo eremita sono ripetutamente affrescati i grandi santi dell'eremitismo orientale: Sant'Antonio e San Paolo eremita. E anche quelli che sono stati adottati nel Medioevo dall'eremitismo occidentale. Essi sono San Michele e Santa Maria Maddalena, la quale é raffigurata tre volte ad Oropa. Una volta San Michele,in veste di guerriero". Nel 1630 d.C. scoppiò una nuova pestilenza di cui Alessandro Manzoni ebbe a scrivere ne " I promessi sposi": "La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero, com'è noto; ed é noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d'Italia. Condotti dal filo della nostra storia, noi passiamo a raccontar gli avvenimenti principali di quella calamità; nel milanese, s'intende, anzi in Milano quasi esclusivamente: ché della città quasi esclusivamente trattano le memorie del tempo, come a un di presso accade sempre e per tutto, per buone e per cattive ragioni. E in questo racconto, il nostro fine non è, per dir la verità , soltanto di rappresentar lo stato delle cose nel quale verranno a trovarsi i nostri personaggi; ma di far conoscere insieme, per quanto si può in ristretto, e per quanto si può da noi, un tratto di storia patria più famoso che conosciuto. Delle molte relazioni contemporanee, non ce n'é alcuna che basti da sé a darne un'idea un po' distinta e ordinata; come non ce n'è alcuna che possa aiutarla a formarla.In ognuna di queste relazioni, senza eccettuarne quella del Ripamonti( Josephi Ripamontii, canonici scalensis, chronistae urbis Mediolani, De peste quae fuit anno 1630, Libri V.Mediolani, 1640, apud Malatestas.), la quale le supera tutte, per la quantità e la scelta de' fatti , e ancor più per il modo di osservarli, in ognuna sono omessi fatti essenziali, che son registrate in altre; in ognuna ci sono errori materiali, che si posson riconoscere e rettificare con l'aiuto di qualche altra, o di que' pochi atti della pubblica autorità , editi e inediti, che rimangono;spesso in una si vengono a trovar le cagioni di cui nell'altra s'eran visti, come in aria, gli effetti."
Nel 1630 d.C il tasso di devastazione e morte indotto dalla peste, detta" calamitas calamitatum" per il suo straordinario grado di virulenza, fu tale da costringer l’Europa intera a dover pagare un tributo di sangue elevatissimo. La città di Biella venne miracolosamente risparmiata grazie alla protezione della Madonna di Oropa che, ancora una volta vegliava, Lei, Virgo Fidelis, sulle malattie indotte dai peccati, vere e proprie "ire divine". Ma chi era il famoso narratore della peste del 1630 d.C. citato da Alessandro Manzoni? "Nacque Giuseppe Ripamonti nel 1577 d.C a Tegnone paesello della pieve di Missaglia in Brianza. I parenti di lui non eran ricchi, ma, senza coltivare la terra, vivevano con parsimonia del ricavo de' loro campi....",così di lui ci narra Francesco Cusani. Lo stesso Ripamonti scrive:"Sino alli 17 anni io sono stato allevato da mio zio curato di Barzanò, chiamato prete Battista Ripamonte,che è morto. Studiavo grammatica che m'insegnava detto mio barba. Io andai dopo li 17 anni in Seminario ad interessamento di mio barba suddetto, il quale m'haveva insegnato parte della lingua Hebraica della quale il Sig. Cardinale si dilettava, e da esso sig. Cardinale fui esaminato e da lui posto nel Seminario in Canonica, nel quale stetti un anno. Et in detto Seminario il sig. Cardinale mi fece attendere alla lingua hebraica et io insegnavo a certi altri giovani. Et perché mio barba non poteva o non voleva pagare la dozzina del Seminario, uscii fuori, e mi mise in una camera vicino a Brera in compagnia d’un prete Antonio Giudici di Macconaga, et andava a Brera a scuola alla logica, et lì stetti un anno. Finito poi l’anno mi ruppi con questo mio barba, et andai a stare col sig. Giacomo Resta in Milano per maestro d’un suo figlio che hoggi si chiama il sig. G. Battista con il quale io stetti quattro anni. Dippoi andai a stare con il vescovo di Novara, monsignor Bescapè, quale mi voleva introdurre per scrivere sue lettere, con il quale stetti sei mesi. Dippoi ms. Settala, arciprete di Monza, mi fece andare a Monza per maestro di quella Comunità dove stetti due anni, et da Novara mi partii perché non mi piaceva servire quel vescovo et da Monza partii chiamato dall’ Illustr. sig. Cardinale Borromeo nel Seminario di Milano, dove stetti per maestro di Grammatica per lo spatio di quattro anni circa. Nel qual tempo con li ammaestramenti et indirizzi dello stersso sig. Cardinale fui incamminato allo studio della Historia et insieme della lingua Greca, Hebraica et Caldaica; nelle quali lingue avendo fatto qualche progresso, esso Cardinale, comandò che io attendessi solamente all’Historia. Et finiti detti quattro anni , dopo essere stato due anni nel detto Seminario a studiare ciò che il sig. Cardinale mi aveva ordinato, fui aggregato al Coleggio Ambrosiano et ivi addottorato, sebbene stetti altri quattro anni in seminario della Canonica. Poi per le liti che aveva coi rettori del Seminario, i quali pretendevano ch’io pagassi la dozzina, et io non pretendeva pagarla, il Cardinale per sua cortesia m’accettò in sua casa a sue spese, attendendo io al Coleggio Ambrosiano dal quale era stipendiato di lire 1000 all’anno”. Francesco Cusani di lui ancora dice:” Giuseppe Ripamonti, uno de’ più illustri e benemeriti scrittori delle cose patrie. Parlerò delle sue opere e della sua vita più a lungo che non abbia fatto degli altri storici, perché le prime sono importantissime, e la seconda rimase finora ravvolta in una specie di nube misteriosa, che tenterò di diradare. Tutti gli scrittori milanesi contemporanei, i quali parlano del Ripamonti, lodandone alle stelle il sapere e l’elegante latinità, pochissimo dicono delle sue vicende. E per quanto io frugassi, non mi venne fatto di trovare neppure una parola intorno al processo e ad una prigionia di cinque anni da lui subiti. Anche nella Biblioteca Ambrosiana, di cui fu dottore, non se ne rinviene traccia, meno un’annotazione, in cui è detto che il Ripamonti fu escluso, poi riammesso nel collegio, e null’altro. Girolamo Legnano, uno de’ 60 Decurioni, il quale lo incaricò di scrivere la storia di Milano, e che dopo la morte di lui pubblicò la Decade V.°, contenente la vita di Federico Borromeo, serba egli pure un assoluto silenzio. Nella breve vita che premise a quella V° Decade dice: "Provò varj casi di fortuna, ora prospera, ora avversa; ma l’animo suo fu sempre <<imperterrito>>; concetto così vago che significa un bel nulla. L’accusato medesimo, nelle sue opere posteriori, mai si lascia sfuggire parola intorno a’ proprj casi. Eppure il processo era stato sì lungo e clamoroso, che i contemporanei era impossibile l’ignorassero. Perché dunque un sì generale ed assoluto silenzio? Per deferenza a’ dottori dell’Ambrosiana ed alla congregazione degli Oblati, parecchi membri della quale non figurarono troppo bene in quel processo . E la venerazione altresì al cardinale Federico indusse probabilmente al silenzio, giacchè, quantunque Egli non solo mitigasse la pena al Ripamonti, ma lo tenesse in seguito vicino a sè, colmandolo di favori, pure è sempre vero che lo aveva lasciato languire in carcere molt'anni per lenta procedura. Tutte le quali cose appariranno chiare da ciò che verremo esponendo..." Così narra il Cusani del Ripamonti…A Biella in quegli anni si tremava di stenti e di paura. “Libera nos a peste!”, supplicavano i fedeli…” Virgo Fidelis, libera nos a peste !!!". La peste , però, ancora una volta parve non essere l’unico modo per morire. Cancellare l’esistenza di un individuo è arte ben nota al genere umano e da lunga data.
Fabio Viganò
Portfolio personale ed inedito di Minghini Yuri.
Bibliografia-Lodovico Antonio Muratori :” Del governo della peste e come guardarsene”-Alessandro Manzoni:” I promessi sposi”-Francesco Cusani: “Introduzione a La peste di Milano del 1630 d.C di Giuseppe Ripamonti-Giuseppe Ripamonti :” La peste di Milano del 1630 d.C”-Can. Bessone don Angelo Stefano :” Storia di Oropa dal XIII° al XIX° secolo"
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