Elysium ***
Solida pellicola di fantascienza, sporca e polverosa, Elysium (2013) conferma le capacità del regista neozelandese Blomkamp, che aveva già incantato quattro anni fa con District 9 (2009). Difatti si ha a che fare nuovamente con un futuro prossimo, devastato e desolante. E se in District 9 il regista andava a indagare la disomogeneità sociale (e per fare questo esasperava il problema facendo apparire gli alieni come moderni immigrati, di conseguenza relegati in slumdog fatiscenti), in Elysium ritorna il tema della piramide sociale, destinando i cittadini più abbienti (i citizens) in un luogo privilegiato tra le stelle, chiamato Elysium. E l’unica speranza diviene il malato cronico Max, un reietto terrestre con le ore contate. Blomkamp rifugge (fortunatamente) l’asettica delineazione neutra (caratteristica peculiare di molte pellicole sci-fi) e preferisce polvere e combattimenti a mani nude; probabilmente è questa la scelta corretta. Infatti è il contesto narrativo e visivo che rende Elysium un film da assaporare fino in fondo. Tuttavia qualche pecca è evidente e la solidità ne risente. Ad esempio la scelta di non rispondere ad alcune domande basilari, che si palesano minuto dopo minuto (perché i cittadini vivono su Elysium? cosa è successo prima della vicenda narrata dal film? Perché la Terra è così devastata e irrespirabile?). Le risposte vengono lasciate allo spettatore e a un presente (cinico e nel quale il solco sociale è sempre più marcato) che rischia di rendere il futuro disegnato da Blomkamp sempre più vicino e verosimile. Nonostante questo Elysium è un buon prodotto, che non raggiunge la bellezza di District 9, ma ne conferma la linea tematica, facendo propria la valenza politica e sociale e permettendo riflessioni e interessanti digressioni. Elysium è un summa di azione sporca e ideali di integrazione sociale. Il risultato è buono e anche Damon (“droide” umano) ne trae un piacevole giovamento. Uscita al cinema: 29 agosto 2013
In Trance **
Un quadro viene rubato. O perlomeno doveva essere rubato. Peccato che Simon (dopo aver subito un colpo in testa) non si ricordi dove è nascosto. È questo l’incipit, che si snoda in un triangolo amoroso e in un gioco psicologico, che abbraccia i protagonisti Simon (McAvoy), Elisabeth (Rosario Dawson) e Franck (Vincent Cassell). Boyle torna a esplorare le alterazioni degli stati mentali, ma ben presto il gioco psichico si attorciglia su se stesso, senza sbrogliarsi adeguatamente. E In Trance (Trance, 2013) ci consegna un Boyle inedito, ma non nell’accezione positiva del termine. Difatti la pellicola fatica ad appassionare e il confine tra realtà e immaginazione (subconscia) non si dimostra così labile, anzi è definito nettamente e non confonde (interessando) lo spettatore. Sicuramente non mancano le riprese ardite e le immagini ricercate (colorate dal digitale e utile richiamo alla pittura), eppure In Trance è fin troppo lineare e gli spunti d’interesse sono sotterranei e non riescono a emergere sopra la superficie filmica che, approssimativamente, pare inseguire il dipinto rubato e nulla più. E nemmeno la forza occulta della stregoneria evocata dal quadro di Goya (streghe nell’aria) riesce a farsi elemento narrativo convincente. Boyle delude moltiplicando e intrecciando punti di vista e visioni subconscie e il film ne risente. Infatti forza la mano con i colpi di scena e perde l’occasione di consegnare un film di genere (il thriller subconscio, con venature romantico-artistiche, elementi di raccordo narrativo fondamentali), scivolando sul puro intrattenimento, frivolo e esile. Uscita al cinema: 29 agosto 2013
L’evocazione – The Conjuring ***1/2
Si torna al classico. Eppure il tocco di Wan ha qualcosa di diverso. Non ostenta sangue e immagini (visivamente) spaventose. Tuttavia sono i silenzi (in cui si manifestano voci sussurrate e rumori sordi) e la suggestione a far saltare sulla poltrona del cinema e a terrorizzare con successo. La vicenda di L’evocazione – The Conjuring (The Conjuring, 2013) rimanda a esorcismi e oscure presenze, quindi non siamo davanti a qualcosa di realmente originale e innovativo. Ma è lo stile del giovane regista di Insidious (2010) e Saw – L’enigmista (Saw, 2004) a colpire in modo vigoroso. Difatti pur ambientando la storia in una villa isolata (quindi gli spazi si chiudono e i punti di vista non sono molteplici), Wan, grazie a una fluidità registica invidiabile e a un ritmo narrativo in crescendo, dilata il tempo e lo spazio. E pur pagando dazio nei confronti dei grandi classici dell’orrore, L’evocazione – The Conjuring è un ottimo prodotto, che riesce ad appassionare e coinvolgere in modo unico. E non è un caso che nel momento in cui si è compreso che l’importante non è inondare lo spettatore di braccia amputate brutalmente e corpi dilaniati, si è assistito a pellicole di sicuro valore tecnico, grazie anche a sceneggiature verosimili e più vicine al quotidiano. Sicuramente il fatto che si peschi a piene mani da fatti realmente accaduti (i coniugi Warren erano due “demonologhi” conosciuti e protagonisti di numerose “infestazioni”) avvicina lo spettatore e attiva in lui quella curiosità voyeuristica, che conferisce agli horror sicuro appeal. Wan ha compreso tutto ciò e ha fatto rivivere incubi e provocato qualche, giustificato, “urletto” in sala. Prossima tappa? Amityville. Uscita al cinema: 21 agosto 2013