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C'è chi le chiama Isole Malvinas, o Malvine. C'è chi, invece, le chiama Isole Falkand.
Questo arcipelago di poco più di 2000 abitanti si trova al largo della costa dell'Argentina. Nei primi anni '80 le Isole Malvinas sono tornate agli onori della cronaca per via della guerra tra Argentina e il Regno Unito della Iron Lady Margaret Thatcher. Perché fare un viaggio alle Falkland? Lo chiediamo a Barbara Perrone che ci racconta la sua avventura da quelle parti.
Com'è nata l'idea di un viaggio alle Falkland (o Malvinas)? Come mai proprio là?
Come spesso accade, le idee più belle nascono per caso, ma una volta che iniziano a prendere forma, non se ne può fare a meno.
Abbiamo iniziato a visualizzare idealmente le Falkland durante la preparazione del nostro viaggio di nozze, per il quale eravamo già proiettati verso la Patagonia. Ma, guardando la cartina con Davide le abbiamo viste. Noi cercavamo il posto al mondo che avesse una concentrazione sopra la media di un animaletto a cui siamo particolarmente affezionati, il pinguino. Bhè, sapevamo che su quell’arcipelago vivono 5 specie di pinguini.
Ma come si arriva laggiù? Breve ricerca su internet, ci guardiamo in faccia e ci diciamo: si può fare! Andiamo. E da lì abbiamo iniziato l’organizzazione pratica e logistica, il sogno ha iniziato a prendere forma.
Ti eri fatta un'idea... quello che ti aspettavi è quello che hai trovato?
Un’idea leggendo qualche guida online, racconti di viaggiatori e guardando foto credevo di essermela fatta. Mi sbagliavo. E mi è bastato uno sguardo dall’alto per capirlo, dal finestrino dell’aereo col quale stavamo per atterrare sull’arcipelago: un pugno di rocce in un mare minaccioso, scuro, percorso da correnti fortissime e spazzato dai venti polari. Ecco cosa ci stava aspettando per una settimana. E inizialmente si plana su un pezzetto di Inghilterra, tra villette con giardinetti più o meno curati, rosse cabine telefoniche e, naturalmente, pub dove servono birre ghiacciate e patatine. Stanley, la capitale, è in effetti un paesino che si potrebbe trovare in Cornovaglia, se non fosse che tra le vie e sul lungomare si incontrano oche polari a passeggio e che davanti alla chiesa principale ci siano gigantesche ossa di balena a formare un arco.
Ma è solo un punto di partenza perché poi c’è solo Lei, sua maestà la Natura.
Noi ci siamo limitati ad osservarla, senza barriere, rimanendo seduti per ore tra migliaia di pinguini, cormorani, albatros. Abbiamo imparato a riconoscere i meccanismi che regolano la vita delle colonie, a capire l’agitazione causata dai predatori che volano sopra le loro teste, gli sguardi vigili dei genitori sui loro piccoli e sulle preziose uova. Abbiamo osservato con emozione la nascita, con interesse l’attesa del ritorno degli adulti dal mare con il cibo, con sgomento la morte. Non ci sono stati filtri, nemmeno alla macabra danza dei caracara e degli skua attorno al corpo del giovane pinguino reale morto. Emozioni che sono andate molto oltre le aspettative.
Indicazioni pratiche: come sei arrivata, quanto ci hai messo, dove dormivi...
Arrivare direttamente dall’Europa è possibile, ma abbastanza complesso e dispendioso perché viene coinvolta l’aviazione militare inglese che riserva qualche posto sui voli che portano viveri alle lontane colonie.
Molto meglio inserirle in un itinerario che tocca la Patagonia, la parte argentina, ma anche e soprattutto quella cilena. Si, perché voli dall’Argentina, dai tempi delle note e tristi vicende della guerra del 1982 non ce ne sono e quindi l’aeroporto di partenza è quello di Punta Arenas, in Cile. Il che non è un male perché anche quella è una cittadina che merita una visita con la sua aria veramente da fin del mundo e dove puoi incontrare persone appena sbarcate dal Polo o che hanno viaggiato lungo la frastagliata costa sudamericana tra venti potenti e onde gelate.
La compagnia che effettua i collegamenti è la cilena Lan Chile, con moderni e comodi aerei che partono e tornano una volta alla settimana (il sabato).
Quindi bisogna calcolare una permanenza minima di 7 giorni.
Abbiamo dormito a Stanley al Malvina House, ma, senza nulla togliere a questo, le esperienze che ci rimarranno per sempre nel cuore sono quelle sulle altre isole dell’arcipelago: The Neck, su Saunders Island (popolazione, 2 persone, a 2 ore di distanza), in pratica un container nel nulla nel quale siamo stati isolati dal mondo per 3 giorni. Niente telefono, un generatore per la corrente, soli noi due con migliaia di pinguini! E The Lodge, su Sea Lion Island, un po’ più abitata, ma in fantastica posizione vicino a leoni marini e, naturalmente, pinguini.
A chi consiglieresti un viaggio alle Falkland e chi lo sconsiglieresti?
Consiglierei un viaggio alle Falkland a chiunque voglia vivere come in un documentario National Geographic, a chi voglia passare la notte sommersi dal cielo stellato, senza il disturbo di nessuna luce, rimanendo al coperto e al caldo e immaginando le colonie che si stringono per ripararsi dal freddo pungente.
A chi senta la necessità di un ritorno seppur per pochi giorni alla natura: la vita su questo arcipelago è semplice, inimmaginabile per chi è abituato ad ogni tipo di comfort. Si passa il tempo riunendosi e parlando davanti a una birra o a un tè caldo. E si ascolta. Ognuno dei pochi abitanti ha qualcosa da dire, c’è molto da imparare e si resta affascinati dalle storie e dal calore di questa gente.
Ci si accorge di dove ci si trova quando alla sera, raccolti intorno alla radio, tra le notizie importanti si sente il proprio nome, come l’ospite a cui viene dato il benvenuto sull’isola di Sea Lion!
Quindi un minimo, ma proprio un minimo di adattamento, alle temperature rigide, ma sopportabili nella stagione giusta (le stagioni sono invertite!), ripagato alla grande dalle meraviglie che si vanno a scoprire.
Cosa non può mancare nello zaino (e nello spirito) di chi parte per isole come quelle?
Nello zaino non può mancare una macchina fotografica con una batteria di riserva (al freddo si scarica più velocemente!). Ovvio e forse banale, ma foto di quel tipo, a pochi centimetri da un cucciolo di elefante marino, da un pinguino reale e da un caracara capita di farle una volta nella vita. E un buon cappello caldo.
Nello spirito la curiosità, la voglia di scoprire, il cuore e la mente aperti all’incontro con uomini e donne che riescono a perseguire i propri obiettivi ed essere felici in condizioni estreme, ma anche con piccoli animali, che riescono ostinatamente a resistere alle fatiche e agli complessità che si presentano. Laboriosi e cocciuti, intelligenti e altruisti, questo sono le creature, umane e animali che abbiamo incontrato e dalle quali si deve essere pronti ad imparare.
Ringrazio di cuore Barbara per averci raccontato la sua esperienza. Le foto che vedete riunite nella gallery qui sotto sono di suo marito, Davide Tiezzi.
Barbara è sempre un vulcano di idee e belle cose, seguitela sul suo blog Tangibili Emozioni e su Twitter con @tangibiliemoz.
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