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Vista di cratere da impatto su Marte

Creato il 06 febbraio 2014 da Media Inaf

Il Mars Reconnaissance Orbiter ha fotografato un nuovo cratere da impatto sulla superficie marziana. Testimonianza di una relazione violenta che il pianeta mantiene con l’ambiente interplanetario. Colpa di un'atmosfera troppo sottile.

di Davide Coero Borga

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Nel maggio 2012, la fotocamera a bassa risoluzione del NASA Mars Reconnaissance Orbiter ha inquadrato qualcosa di diverso nel panorama marziano: un bel cratere da impatto fresco fresco. Grazie al confronto con le precedenti immagini della stessa regione marziana, vicina alla linea equatoriale del pianeta, gli scienziati della missione sono stati in grado di determinare come questa sia una prova evidente di un impatto piuttosto recente, che deve essersi verificato tra il mese di luglio del 2010 e il maggio 2012.

Siccome il Mars Reconnaissance Orbiter è transitato sopra quella stessa regione lo scorso 19 novembre, la fotocamere ad alta risoluzione montata sull’esperimento è stata puntata sull’area interessata dall’evento meteoritico per catturare questo stupendo scatto pieno di dettagli interessanti.

Il cratere è uno dei circa duecento impatti meteoritici che si stima interessare Marte ogni anno. E certo uno dei più suggestivi. Le immagini sembrano mostrare che si tratta di un singolo meteorite che ha colpito la superficie marziana ricavando un cratere di 30 metri di larghezza, con materiale abraso caduto in un raggio di 15 chilometri.

Marte si caratterizza per un’atmosfera decisamente più sottile di quella terrestre e quindi meno efficace nel bruciare (e consumare) gli asteroidi più piccoli che ne attraversano l’atmosfera. I danni superficiali durante l’impatto interessano quindi aree più ampie di quelle che possiamo trovare sulla Terra. E, sebbene il processo di erosione sia garantito dalla meteorologia del Pianeta rosso, innumerevoli crateri da impatto punteggiano di cicatrici la superficie del pianeta, a testimonianza di una relazione violenta con l’ambiente interplanetario.

Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga



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