Vita da Hippies: la comune di Ovada

Creato il 18 maggio 2011 da Lapulceonline

Fricchettoni di tutta Italia unitevi, possibilmente in provincia di Alessandria. Doveva essere uno slogan del genere ad aver spinto centinaia di ragazzi a vivere nelle comuni dell’Ovadese nei primi anni ‘70 e ad accamparsi presso i leggendari cascinali nei dintorni di Lerma, Belforte e Tagliolo che nel giro di pochi mesi trasformarono un’intera vallata in un lembo di Utopia. Utopia che per alcuni mesi di fatto venne realizzata, diventando quindi Realtà concreta. Basta con la falsa morale della famiglia, della religione, della scuola, della vecchia società. Nel 1971, in quella valle ai piedi del monte Colma, sull’appennino ligure-piemontese, accadde qualcosa. Sulla scia di un vertiginoso passaparola, decine e decine di giovani decisero di abbandonare casa, chiesa e famiglia e di stabilirsi insieme ad altri coetanei nelle cascine dell’ovadese per condurre una vita libera ed autogestita in mezzo alla natura, dando vita ad uno dei primissimi tentavi coscienti di alternativa nuda e cruda alle moine dell’ascendente società moderna. 300 ettari di prati, colline, campi e torrenti che d’improvviso videro svilupparsi un mondo a sé, con valori e princìpi visionari di libertà assoluta. Lì in quella valle i fi gli della rivoluzione psichedelica sbocciarono di colpo, cambiando per sempre i connotati di quel territorio.

Tutto ebbe inizio quando Oscar Brontesi, membro di spicco dell’underground milanese, venne informato che dalle parti di Alessandria un proprietario terriero s’era trovato con diversi cascinali vuoti a causa dell’esodo di massa verso le città, e che ora, pur di non vedersi spopolare la valle sotto ai propri occhi, metteva a disposizione diverse cascine a chiunque volesse stabilirvisi. Brontesi, che all’epoca era in cerca di una comune hippie dove vivere, non se lo fece dire due volte e nel giro di pochi giorni lui e i suoi compagni posarono per la prima volta i scacchi a pelo in Cascina Isola. Era gennaio e faceva un freddo becco, ci racconta. C’era mezzo metro di neve e il casolare era totalmente sprovvisto di riscaldamento, di mobilio e di qualsiasi comfort. Però c’era l’acqua corrente, motivo suffi ciente per stabilirvisi. “Era la soluzione naturale che una generazione o una parte di essa – doveva imboccare”, spiega. “Semplicemente, la gente scappava di casa e si univa ai coetanei nelle comuni. Gli esperimenti effettuati in città si erano rivelati piuttosto fallimentari in quanto non era possibile creare quel distacco necessario dalla società. Era trasferendosi in campagna, in mezzo alla natura, che si poteva portare veramente a termine il progetto utopico/visionario che avevamo in mente”.

Si sparse la voce in tutta Italia – e poi in tutta Europa -, e le valli ovadesi divennero presto meta di flotte di figli dei fi ori in cerca di libertà, droga, amore libero e contatto con la “Madre Terra”. L’arrivo della gente signifi cava anche aiuti materiali. Facendo tesoro della propria esperienza chi veniva da zone rurali si offriva ad insegnare la coltivazione de mais, del gran turco, di ortaggi, a sviluppare l’allevamento e l’irrigazione; chi riusciva ad arraffare qualcosa prima di lasciare la casa di famiglia portava stufe, coperte, pentolame, vestiario, attrezzi da lavoro. Insomma, con la collaborazione di tutti (compresa quella dei contadini del luogo, che non ebbero alcun problema ad accettare i nuovi arrivati) il progetto prese forma e si giunse ad un equilibrio inedito – per lo meno in Italia – di società. “A noi non interessavano le lotte studentesche, i dibattiti, la politica nelle università”, spiega Brontesi. “ Noi la volevamo mettere in pratica , la società utopica, e passammo quindi alla realizzazione concreta di ciò di cui tutti parlavano. E funzionò”.

L’apice fu l’estate 1971. In quel periodo le cose filavano talmente lisce che ci si convinse in via definitiva di restare lì per sempre: lealtà e collaborazione reciproche, autogestione assoluta, abolizione totale delle convenzioni della società benpensante, sviluppo della creatività e rifi uto delle costrizioni imposte da un mondo sempre più proiettato verso il culto del lavoro e del consumismo. Del resto, agire vale più di mille parole.

Leggendaria è ormai la sera in cui giunse in valle un gruppo di motociclisti tedeschi stracarichi di droghe psichedeliche, che non tardarono ad elargire a a tutti i membri della comunità; nel giro di poche ore la vallata si trasformò in una specie di universo parallelo, in un luogo ancor più magico e surreale, con individui dagli abiti multicolore in estasi che si aggiravano per le colline, facendo avanti-indietro dalla cascina in cui i bikers teutonici distribuivano le ostie lisergiche. Un’intera vallata in preda all’LSD, v’immaginate? L’acido a disposizione era lo “Love and Share”, impeccabile quando c’è da portare “tutti sullo stesso pianeta” e creare “momenti epici” come quello. Il tutto avvenne senza alcun atto di violenza o degenero, testimonia Brontesi.

I veri problemi arrivarono quando la comunità divenne troppo celebre per essere occultata dalle autorità stesse. Se poi contiamo anche l’apprensione cosiddetto ordine costituito: aumentarono vertiginosamente le retate delle forze dell’ordine, i sopralluoghi della Digos, le infi ltrazioni di informatori e i pattugliamenti si fecero di settimana in settimana sempre più massicci. Va ricordato che la comune era composta soprattutto da ragazzi di 16-17 anni, e Brontesi era uno di questi. Minorenni dunque, più di quanto lo siano oggi… perché allora si raggiungeva la maggiore età non prima dei 21 anni. E poi, da un punto di vista politico, una situazione del genere era un bel grattacapo per le istituzioni, sempre più alla berlina di fronte alle contestazioni che avevano luogo praticamente ovunque, alla crisi dei valori tradizionali, al disprezzo dilagante nei confronti dell’establishment. Come racconta anche Ignazio Gallino, all’epoca fondatore del Sima, un’associazione che offriva aiuto medico e legale a quelli che venivano defi niti “capelloni”, “con le continue pressioni della polizia la situazione divenne insostenibile ai più, causando una specie di contro-esodo per sfuggire alle manette. Iniziarono a fioccare le denunce, i fermi e le perquisizioni di massa, e da lì cominciò il declino”. A fi ne estate ‘71 la situazione era già cambiata radicalmente: la maggior parte dei comunardi era fuggita, provocando quello che si può definire un “effetto-setaccio” delle presenze; una volta ritiratisi gli elementi cardine della comune- come, tra gli altri, Oscar Brontesi vi restarono più che altro sbandati irrecuperabili, poltroni senza arte né parte, tossicodipendenti, consumatori di anfetamine incapaci perfi no di alzarsi da terra per ramazzare la stanza. Il sogno finì il 7 settembre 1971 dopo l’ennesima, letale irruzione delle forze di polizia.

Come se non bastasse, in quei giorni la cascina “Scorpione” venne data alle fi amme da un gruppo di ragazzi pregni di amfetamina che poche settimane prima erano stati allontanati in quanto considerati disarmonici dalla maggioranza dei residenti. La comune di Ovada se ne andò con la stessa velocità con cui si formò, schiacciata nella morsa dello Stato e spenta come un piccolo falò sotto il tallone degli agenti in assetto antisommossa. Oggi, quarant’anni dopo, la valle del monte Colma è, ovviamente, ancora lì, e resta una specie di paradiso terrestre scampato miracolosamente all’assalto edilizio degli ultimi decenni. Le cascine ci sono ancora, alcune delle quali disabitate. E, leggenda vuole, in attesa.


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