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VITA DI CODA STORTA, GATTO BASTARDO. Cap. 2

Da Nubifragi82 @nubifragi

Non so cosa accada a voi bipedi dopo la morte. Se anche lo sapessi, sia chiaro, non ve lo direi. Conosco bene la vostra indole: non aspettereste altro per tirare finalmente i remi in barca e smozzicare qualche parola del tipo “Tanto” “Ah beh, allora” “Bene, a posto così quindi”. E non fate i razionalisti, in fondo, lo so, ci sperate un po’ tutti. Ad ogni modo, niente uscirà da queste labbra feline. Lavorate, pensate e filosofate. Siete così bravi a filosofare, quando volete. Già, quanto avrei voluto essere il gatto di uno di quei filosofi dalla barba folta e incolta. Ma tant’è. Ad ogni modo, posso raccontarvi che ne è di noi gatti quando un’automobile ci sfracella contro il marciapiede, o quando i vostri croccantini chimici ci fanno defecare il fegato e le nostre povere ossa finiscono tumulate sotto un sasso che presto diverrà uno dei pali della porta dove i vostri marmocchi esibiranno le loro mai nate doti calcistiche. Non accade niente di che, a dire il vero. E, udite! udite! niente di eterno. Andiamo per gradi. Ricordo un gran giramento di testa e poi una voce (se il tutto si svolse nell’oscurità o sotto il luccichio di uno stroboscopio non mi è dato ricordare), un miagolio s’intende, mi ha interrogato su cosa avrei desiderato fare prima di scomparire definitivamente. Definitivamente, capito? A poco a poco la testa ha smesso di frullare e le sinapsi hanno ricominciato a lampeggiare. Che significa definitivamente? Perché devo scegliere qualcosa? Un contentino? Ma fottiti, idiota! Chi cazzo sei? Fatti vedere che ne discutiamo da veri gatti. Niente. E’ come quando voi umani insultate le voci registrate. Ricordo che uno dei miei padroni, frustrato della miglior risma, arrivava a offendere anche tre o quattro generazioni anteriori alla voce parlante. Roba che Meucci e Bell erano ancora nel pancione di mamma. E lui urlava e sputava sul microfono come un ossesso. Era quello che avrebbe voluto dire al fratello, al capo, al collega, immagino. Ma quelli avrebbero risposto per le rime, agito di conseguenza. La voce metallica no. Premere il tasto sei per merdoso, cinque per figlio di cagna. Insomma, questa voce presenza che meglio non saprei definire non rispondeva ai miei improperi e manco si degnava di ripetere quanto detto, fosse mai che non avessi capito quanto detto. E così, ormai sgolato, ho infine deciso di riflettere su quelle parole. Ho fatto, come si dice, mente locale: chi ero? Ok, questo lo sapevo. Perché ero lì? Ecco, questo era il problema. Tutto era confuso (non a caso non ho memoria di immagine alcuna), i ricordi più recenti erano legati ad un forte giramento di testa e nulla più. E prima del giramento di testa? Cosa mi aveva indotto in quell’indefinibile luogo e per quale motivo il miagolio di un saputello gatto di… ah lasciamo perdere! mi chiedeva quale desiderio volessi esaudire prima di scomparire definitivamente. Scomparire. Scomparire significa fine. Fine significa morte. Morte. Morte. Ed ecco che d’un tratto questa parola si intromise nei miei pensieri. Ovunque volgevo la mente, qualsiasi fosse il mio pensiero, la morte si affacciava. Morte. Ero terrorizzato. Avrei voluto chiedere, avrei voluto svegliarmi da un brutto incubo e ritrovare contorni a me familiari, avrei voluto che qualcuno mi tirasse un calcio dicendomi “Togliti dalle palle gatto rognoso”, avrei voluto essere punito, bastonato, coccolato per ore dalla mano al vetriolo di un muratore ubriaco, avrei voluto fuggire dalle fauci di un cane. Inarcavo la schiena, rizzavo il pelo e girando su me stesso inveivo contro quella voce. Poi, esaurito, caddi su me stesso. Da terra le cose sembrano più stabili, ordinate. I pensieri escono dalle orecchie e si spargono sulla superficie piana, di modo che le possiamo ordinare. Così, con la guancia destra aderente al pavimento, come facevo quando ero ancora in vita, con un flebile miagolio ho detto “Sono quindi morto?” E la voce questa volta mi ha risposto “Si. Puoi esprimere un desiderio. Se sarà ritenuto idoneo, ti sarà esaudito. Dopo di che scomparirai per sempre.”

Immagino vogliate sapere quale desiderio ho espresso. I più arguti si chiederanno come posso essere qui a narrare i fatti della mia vita, quando dovrei ormai essere nell’oblio. I più assuefatti all’americanesimo vorranno invece sapere quali altri coloriti improperi ho lanciato alla vocina dell’aldilà. Mi dispiace, ma ora non saprete niente di tutto ciò. Conosco bene i meccanismi del vostro cervello. Quante volte vi ho visto stramaledire spot di marche di detersivi che interrompevano il bacio tra Agilulfo e Maria Esperanza, giovani paraguaiani dal cuore ballerino e dalla lingua scattante. Con tanti saluti al buon nome della famiglia, alle mire della madre di lei, al buon nome del padre di lui, aggiungo io. Ecco, io farò allo stesso modo. Sia chiaro: non ho l’ardire di paragonare le mie avventure con i giovanili amori sbocciati al di sotto dell’equatore. Ma se qualcosa ho imparato da quella sbobba è che: 1-Chi guarda/legge va preso per le palle 2-Il detersivo per lavatrici Caltrix è il migliore in assoluto. Consigliandovi, quindi, Caltrix, vi avviso che dovrete attendere oltre per dare una risposta alle vostre domande.

Dove eravamo rimasti? Ah, certo, la mia prima notte di vita. Che in teoria avrebbe dovuto essere anche l’ultima. E invece no, invece vidi il sole sorgere ancora e ancora, una, due, cento, mille e chissà quante altre volte. Mi svegliò nella notte una lingua amica che mi diede una pulita qui, mi tolse un po’ di cerume là e quindi mi porse il capezzolo. Madre dolcissima, cuore immenso che non dimentica il suo fiore più malato, amore grandissimo che va oltre le leggi della natura, oltre la salvaguardia della specie, oltre la constatazione di una morte certa. Madre, madre mia, ti chiedo perdono per avere dubitato del tuo cuore di mamma, del tuo coraggio di femmina felina, della tua infinita bontà. Madre, il tuo odore non mi è familiare, però. Madre, forse i miei sensi sono un po’ intorpiditi, o forse lo erano qualche ora fa, ma mi sembra che… si, mi sembra proprio di avere a che fare con un’altra gatta. Così, all’incirca, pensai in quelle ore ancor buie del mattino, mentre le mie labbra venivano inumidite da quel latte che per me significava vita. Mi nutrii fino allo sfinimento, quindi mi appallottolai sotto il grembo materno e dormii della grossa. Furono voci umane a svegliarmi l’indomani. Lo descrissero come un miracolo. Coda storta, il gattino guercio e rachitico, schiacciato sotto il culo dei miserabili fratelli, era sopravvissuto alla legge della natura. Coda storta-Darwin 1-0. Quel mattino godetti del mio quarto d’ora di celebrità. #piccolastar, #laforzadellavita e altre dabbenaggini simili devono aver accompagnato la mia immagine sui social network della piccola (e non poco oca, vi anticipo) Giulia. Tutta quell’attenzione mi infastidiva non poco, ma l’aver ritrovato la mamma mi consolava di tutto. Non c’è nulla che non si possa risolvere nascondendosi sotto la pancia della mamma. Ma era destino che la mia felicità dovesse durare il tempo di una poppata. Fu Simone, il fratellino di Giulia, a riportarmi agli inferi. “Ma chi ha messo la vecchia gatta accanto al gattino dalla coda storta?” Rispose Giulia “E’ stata la nonna. Ha detto che la vecchia gatta aveva perso i gattini, ma le mammelle erano ancora piene di latte. Così tanto valeva che le svuotasse nutrendo questo gattino” “Ma la vera madre?” ribatté Simone quasi leggendomi nel pensiero. “La madre” disse Giulia “è là” e indicò un luogo distante alcuni metri “lei e gli altri gattini si sono spostati ieri sera. Probabilmente lo avevano già dato per morto. E’ allora che la nonna ha preso la vecchia gatta e l’ha messa accanto al gattino con la coda storta. Ha detto: è già successo altre volte che gatte che avevano perso i gattini si occupassero dei figli di altre gatte. E così è successo pure stavolta, a quanto pare.”
Non era mia madre. Era una vecchia gatta che aveva perso i gattini e non sapeva che farsene del latte che gli riempiva le mammelle. Massì, diamolo a questo povero bastardo. Magari crepa comunque, ridotto com’è, ma almeno mi sarò liberata di questo fardello. Mi nascosi sotto il ventre, tentai in ogni modo di scomparire sotto il corpo della vecchia gatta. Ma d’un tratto quella pancia mi sembrò molto meno calda. Provai un gran freddo. Forse, ma non ricordo bene, piansi.

https://allegriadinubifragi.wordpress.com/2014/08/18/vita-di-coda-storta-gatto-bastardo-cap-1/

 



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