Una scienza dal volto umano dispiegata davanti allo spettatore come le pagine di un libro di storia universale. La maestosità delle scene a incorniciare l'elevata statura morale di un uomo che lotta contro i giganteschi mostri dell'ignoranza e della bigotteria: tutto è grandezza nella Vita di Galileo, bruciante, emotiva e sofferta nel testo di Brecht e magistralmente trasposta in un'imponente architettura epica da Gabriele Lavia. Ventisei interpreti e tre musicisti dal vivo; ventotto anni di esistenza galileiana raccontati attraverso la pregiatissima giustapposizione di quadri affrescati con le parole e le azioni che hanno segnato un punto di svolta nella storia della coscienza occidentale.
Il Galileo di Lavia ha i tratti di un dolce Socrate che pazientemente esercita la maieutica su tutti gli scettici ancora troppo condizionati da dogmi apparentemente incrollabili; ma, allo stesso tempo, porta in sé le ben riconoscibili caratteristiche dell'uomo già pienamente moderno, scisso tra le certezze derivate dall'esercizio della sua intelligenza e le debolezze del cuore nate a causa dell'irriducibile contrasto fra l'urgenza della verità e la limitazione della libertà. Proprio nelle note di regia Lavia dichiara: "Brecht pone una domanda: che cos'è la verità? La risposta è: l'essenza (la possibilità) della verità è la libertà. Non si può trovare la verità se non a costo, duro, difficile, doloroso, della libertà. La libertà non è fare quello che ci pare, è la limitatezza della conoscenza. Brecht è un politico e parla della verità della polis, dello stare al mondo insieme con gli altri".
Questo Galileo è prima un uomo che uno scienziato; per di più, è un uomo su cui pende una minacciosa spada di Damocle, perché da ogni sua singola asserzione o supposizione, da un dato momento in poi, dipenderanno gli equilibri che tengono in piedi l'impalcatura di fede costruita dalla Chiesa. E la preponderante presenza degli organi ecclesiastici nel Seicento è mirabilmente resa sulla scena attraverso un elaborato studio degli spazi e dei movimenti degli attori al loro interno: da pelle d'oca le rappresentazioni degli ambienti cardinalizi e delle stanze papali, la cui imponenza materialistica crea un suggestivo contrasto con la levatura morale concentrata nell'umile, modesto e spesso autoironico padre della scienza moderna. Di notevole impatto emotivo anche le scene che costituiscono il cuore narrativo di tutta la storia: i momenti di dialogo e confronto fra Galileo e i suoi futuri discepoli, a cominciare dal piccolo Andrea Sarti, che diventa il simbolo di un sapere fruibile da tutti, a cominciare dai bambini, i cui occhi, ancora privi di malizia, riescono a guardare il mondo con la stessa meraviglia con cui lo scopre Galileo.
Il messaggio più grande dell'opera è forse proprio questo: la forza della ragione sta nella sua capacità di abbattere ogni barriera che separa le classi sociali per diffondersi ovunque, a qualsiasi grado in intelligenza umana, dai contadini, ai re, ai papi, con un linguaggio universalmente comprensibile. Questo è il solo modo di attuare una rivoluzione, qualsiasi rivoluzione che voglia ribaltare i rapporti di potere: permettere a chiunque di padroneggiare gli strumenti della conoscenza, distruggendo le catene dell'ignoranza e illuminando il buio delle false credenze; alzare finalmente gli occhi al cielo per accorgersi di quanto chiara sia la notte, e usarli per vedere, infine, la realtà delle cose, che è sempre stata lì, alla nostra portata.
La forza del testo brechtiano ha trovato in Lavia la giusta sensibilità per essere colto nella sua essenza più profonda, restituendo all'umanità un'immagine di Galileo che è frutto di anni e anni di rimaneggiamenti e ripensamenti (a partire dal '38, il drammaturgo ha rielaborato il testo per oltre vent'anni): la versione definitiva vede il grande scienziato soccombere di fronte a uno dei sentimenti più carnali e sanguigni dell'uomo, la paura. La sua abiura, per Brecht, rappresentava lo stigma dell'antieroe, che rinnegando le sue conoscenze commette un delitto contro la scienza, impedendone l'indipendenza. Ma la grandezza di un simile personaggio risiede anche nelle sue debolezze, e Lavia ce lo dimostra, garantendo fino all'ultimo la compartecipazione emotiva al cospetto di un uomo che, ormai povero e cieco, continua fino all'ultimo a lavorare alle sue opere, per trasmettere ai posteri una verità che sempre sopravvivrà alla finitezza umana.
Un dramma che non poteva non stare a cuore a Lavia: "Ho preso dentro di me la grande decisione di fare teatro", ricorda, "dopo aver visto Vita di Galileo di Strehler. Alla prima a Milano non ero ancora entrato alla "Silvio d'Amico", e presi allora la decisione di candidarmi. L'ultima volta che l'ho visto, anni dopo a Roma, stavo già studiando da attore. Le questioni affettive, personali, sono state molto forti per la scelta del testo: con questo spettacolo saldo il conto con la mia vita di teatrante. Per questo lo dedico a Giorgio Strehler". Un lavoro di rara bellezza, che cattura lo spettatore facendolo immergere in un racconto vero e proprio in cui le pagine del "libro della natura" si mescolano alla perfetta orchestrazione narrativa di personaggi, episodi e passioni. Una storia che esalta l'animo anche con l'alternanza di commozione e sorriso; una storia che restituisce fiducia a un'umanità che forse può ancora fare del bene utilizzando la ragione.
Vita di Galileo di Bertolt Brecht
Regia: Gabriele Lavia - Scene: Alessandro Camera - Costumi: Andrea Viotti - Luci: Michelangelo Vitullo - Regista assistente: Giacomo Bisordi - Vocal coach: Francesca Della Monica - Assistenti alla regia: Alessandra Aricò, Simone Faloppa, Antonio Ligas - Assistente alle scene: Andrea Gregori - Assistente ai costumi: Anna Missaglia
con Gabriele Lavia
e con Massimiliano Aceti, Alessandro Baldinotti, Daniele Biagini, Silvia Biancalana, Pietro Biondi, Francesca Ciocchetti, Gianni De Lellis, Michele Demaria, Chiara De Palo, Luca Di Prospero, Alice Ferranti, Giulia Gallone, Ludovica Apollonj Ghetti, Giovanna Guida, Lucia Lavia, Andrea Macaluso, Mauro Mandolini, Luca Mascolo, Woody Neri, Mario Pietramala, Matteo Prosperi, Matteo Ramundo, Malvina Ruggiano, Carlo Sciaccaluga, Anna Scola.
Musiche originali di Hanns Eisler eseguite dal vivo dai musicisti della Scuola di Musica di Fiesole:
Elena Pruneti (flauto), Graziano Lo Presti (clarinetto), Giuseppe Stoppiello (pianoforte).
Produzione: Fondazione Teatro della Toscana / Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale
Torino, Teatro Carignano, dal 6 al 25 ottobre 2015