Oh no, non c'entra proprio nulla quali siano le parole che si usano. Io so che nella mia mente ci sono occasioni, situazioni, che per poter essere descritte richiamano sulle dita dello scrittore parole unte e bisunte di un qualsiasi sdolcinato produttore di cioccolato umbro.
Ma le parole sono banali e stucchevoli quando si sente che non sottendono nulla.
Quando scrivo un biglietto alla Pau, in fin dei conti non sono grandi opere letterarie, nè più nè meno di quello che potrei scrivere immaginando una storia fantasiosa e cercando di compenetrarmi in uno spirito che oscilli tra la smielatezza di federico moccia e lo pseudoesistenzialismo intellettuale di un fabio volo.
La cosa va sempre così: il foglio in genere è piegato in 4 o in 2, a seconda delle dimensioni. Lei lo apre, si siede, lo tiene con entrambe le mani, fa sporgere quasi impercettibilmente le labbra e ci nasconde sotto un sorriso di soddisfazione per tutte quelle attenzioni che sta ricevendo. Ogni tanto emette un lieve - Mmm - con tanto di capo che annuisce, per esprime la sua approvazione, poi ripiega il foglio così come lo aveva preso e lo mette da parte, al sicuro. Non so esattamente dove li tenga, se li conservi in qualche scatolo o in mezzo a qualche quaderno, se abbia trovato per loro un qualche posto speciale o sono tenuti alla rinfusa da qualche parte. Forse non è nemmeno un problema, questo. Non c'è rischio che li perda, non tanto i fogli, quanto quello che c'è scritto. Lei ricorda sempre tutto. E questo è stato uno dei primi guai che mi ha impedito di sfuggirle
L'altro guaio che mi ha sempre impedito di scappare è che non mi ha dato mai credito, non mi ha mai creduto, mai trovata seria, per ogni volta che ho alzato la voce, che sono stata scostante, per ogni volta che le ho detto - vatten' - lei ha sorriso, mi ha detto, in un modo tutto suo, di piantarla, al massimo mi ha tirato un orecchio mormorando tra i denti che non dovevo urlare, e ha svelato il trucco.
Si è lamentata che non la toccavo mai, poi le ho preso la mano e lei mi ha abbracciato.
Si è lamentata, dopo, che non la baciassi mai, e forse credeva che sarebbe stata un'impresa più ardua. Invece un giorno, mentre facevamo la coda al baretto giù alla scuola per il caffè, lei giù e io su uno scalino, le ho dato un banalissimo bacio sulla guancia, a sigillare l'ennesima pace fatta, dopo l'ennesima schermaglia. Oh, lo ricordo bene. Ricordo l'incontrollabile e irriconoscibile impulso partire dallo stomaco, il sorrisetto di chi sa di stare preparando un colpo inaspettato, ricordo, poi, la sua espressione, subito dopo, la totale sorpresa, ricordo di non averla retta, ricordo di averle dato le spalle, cercando di dire al mio cervello di fare finta di niente, che non era successo niente, era una banalità, una sciocchezza, uno scherzo. Provavo la fuga, forse con tanto di scarpette chiodate da centometrista, tempo di reazione allo sparo, assolutamente ridottissimo, quasi irregolare. Mise le sue mani nelle mie, che tenevo ciondolanti dietro la schiena, nella tipica posa di famiglia. Ha le mani sottili, che contrastano enormemente con le mie mani chiatte. E come andare via, messe così le cose? Non ha stretto e nemmeno io ho stretto, aveva più l'aria di una carezza, una richiesta...resta resta resta.
E io ho finito davvero per restare, ogni volta un po' più a lungo...
Le parole stentano, le parole stentano eccome...Le parole stentano a spiegare come non esiti. Non esito. L'hanno presa di peso, e hanno minacciato di buttarla in piscina. Niente di che, nessun rischio reale di morte, solo che io e lei dividiamo una certe serie di dubbi sul fatto che un corpo in acqua galleggi e siamo un po' scettiche sulla spinta di archimede, tutto qua...e io, che chiudo gli occhi, serro la bocca mi metto le mani sulle orecchie e resto immobile se mi schizzano un po' d'acqua in faccia, ho cercato ostinatamente di prenderla...Non ho esitato.
E le parole stentano eccome a spiegare...