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Vita di un disabile a metà

Creato il 23 settembre 2013 da Tabulerase

disabilitàSono disabile da 12 anni. Ebbene sì, è stato difficile accettarlo ma è giusto che se ne parli.

La nostra società tende a dividerci per categorie: anziani, bimbi,giovani, disabili… Forse si è spinti da esigenze statistiche, a volte economiche, ma  la tendenza è quella a  suddividere, in teoria, per facilitare l’integrazione e le agevolazioni previste a salvaguardia di particolari  categorie. E’ sotto gli occhi di tutti che se, su sulla carta, non finiscono le norme e la predisposizione di strumenti atti a migliorare le condizioni di vita di tutti, nella realtà quotidiana ci si scontra con barriere e preconcetti a volte insormontabili, soprattutto di carattere umano e sociale.

Io sono una disabile atipica perché lo sono a metà,  e lo sono  da un punto di vista fisico perché ho una metà del corpo che funzione bene. Ma lo sono anche perché ho usato tutte le mie energie e forze residue affinchè svolgessi una vita normale in completa e totale autonomia. Ci sono riuscita, seppure con piccoli accorgimenti, e per questo raccolgo la stima e l’affetto di coloro che mi circondano che ormai sono ciechi nei confronti della mia “emidiversità”.

Non è cieco è invece un atteggiamento della comunità, in special modo italiana, molto incline all’indiscrezione, alla curiosità morbosa, al pietismo della peggior specie.

 Parlo per chi come me ha qualche diversità da cui ha fatto di tutto per emanciparsi, con una storia di sacrifici e dolore alle spalle, di lotte quotidiane e che si deve sentire osservato microscopicamente con sospiri e preghiere al Cielo.

Parlo per chi, magari solo perché disabile, stupisce se ha una cura particolare di sé, del proprio aspetto e stile.

Parlo per chi, come me, desta lo stesso stupore perché viaggia anche autonomamente,vive da solo, e provvede alla propria alimentazione e sostentamento economico.

Di contro, dove occorrerebbe un atteggiamento di rispetto e salvaguardia, ritorna la cecità e l’indifferenza: non si è più disabili quando si sale su un autobus con lo sguardo disperato alla ricerca di un posto a sedere o di qualcuno che si alzi per cedere il proprio; mentre si fanno le file estenuanti agli sportelli dei vari uffici dove dovrebbe essere esposto, sempre meno, purtroppo, un cartello invitante a dare priorità ai disabili o alle mamme in attesa; quando si circumnaviga il proprio quartiere alla ricerca del posto riservato, che è stato appena occupato da un bel ed aitante ragazzotto che ha esposto il contrassegno per parcheggio disabili della nonna, che si spera sia ancora in vita; quando si è alla ricerca affannosa di un percorso alternativo o di un ascensore per evitare la scala di 100 gradini senza appoggio laterale, quando l’addetta ad un bagno pubblico non ti dà le chiavi del bagno a te riservato perché non sei sulla sedia a rotelle oppure quando lo trovi occupato da persone normodotate che vogliono evitare le file ai bagni loro deputati. E così via…

Che dire? Auspico una crescita ed un atteggiamento adeguato che trovi conforto anche nelle amministrazioni deputate alla correzione di comportamenti sbagliati dei cittadini. E’ la società che vorrei, che esiste altrove,  oltrealpe. Abbiamo gridato tutti allo scandalo davanti al cartello messo dalle suore della scuola materna  ischitana che temevano “l’impressionamento” degli allievi alla vista di bimbi disabili.  Ma a ben vedere, quanto c’è di ipocrisia dietro questo sdegno? E’ pronta la nostra società a vivere con normalità realtà diverse,come i disabili di ogni genere o gli omosessuali? E quando lo sarà?

Ai posteri l’ardua sentenza…


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