Città come cimiteri vuoti, senza lapidi,
identità perdute di giovani senza futuro.
Fiori di plastica stretti ai pali della
segnaletica stradale, vasi abbracciati
ai semafori accesi come lumini,
sollecitano un rosario di preghiere
in ricordo delle pozze di sangue,
delle gore che macchiarono l’asfalto,
della segatura, dei lenzuoli e del cielo
sopra membra confuse e scomposte,
con l’intermittenza dei lampeggianti
blu e le sirene della Misericordia.
“Requiescat in pacem”
in questa fossa comune di città,
coronata da stupri e violenze
officiate da pettorute vigilesse
in divisa, stivali e fischietto,
con l’applauso della folla all’uscita
della Messa. Più nessuna paura
dello spettacolo dei morti, niente
commosso silenzio o sospirato
raccoglimento: mancano solo
le hola ed i cori blasfemi da stadio.
Il destino distratto attende all’incrocio
pericoloso – col falcetto – il prossimo
articolo di cronaca, con l’intervista
scema agli amici affranti ed ai
Parenti in lacrimose gramaglie.
Gianni Calamassi