Speciale Tsukamoto Shinya
La X edizione dell’Asian Film Festival di Reggio Emilia (16-24 marzo 2012) dedica la retrospettiva a Tsukamoto Shin'ya, che sarà presente al Festival e riceverà un premio alla carriera. In occasione di tale importante evento, Sonatine pubblica le schede critiche di tutti i film di Tsukamoto, che andranno a configurare uno Speciale Tsukamoto sempre consultabile online.
Vital (ヴィタール, Vital). Regia, soggetto,sceneggiatura,fotografia e montaggio: Tsukamoto Shin’ya. Musica: Ishikawa Chū (la canzone “Blue bird” èinterpretata da Cocco). Effetti speciali:Oda Takashi. Interpreti e personaggi:Asano Tadanobu (Takagi Hiroshi), Tsukamoto Nami (Ooyama Ryōko), Kiki (Ikumi),Kazuyoshi Kushida (padre di Hiroshi), Lily (madre di Hiroshi), Kunimura Jun(padre di Ryōko), Kino Hana (madre di Ryōko), Kishibe Ittoku (Dott.Kashiwabuchi), Rijū Gō (Dott. Nakai). Produzione:Tsukamoto Shin’ya, Kusakabe Keiko, Joo Kiyo, Kusakabe Kôichi, Kawahara Shinichiper Kaijū Theater. Distribuzione:There’s Enterprise. Durata: 86’. Uscita nelle sale giapponesi: 11 dicembre 2004.Nel corso di un incidente stradale, la giovaneOoyama Ryōko rimane mortalmente ferita, mentre il suo ragazzo, Takagi Hiroshi,studente di medicina, perde completamente la memoria. Nonostante le difficoltàe lo spaesamento, il giovane decide di proseguire i suoi studi universitari neltentativo di fare chiarezza sui propri trascorsi. Durante le lezioni, Hiroshiconosce Ikumi, una ragazza taciturna e solitaria che si rivela prestosensibilmente attratta da lui. Nell’arco di un quadrimestre, i due instauranoun’ambigua e complessa relazione, mentre Hiroshi inizia a dissezionare il corpodel cadavere di una donna, riconoscendo nelle sue fattezze il corpo dell’amataperduta. Progressivamente, attraverso una serie di coinvolgenti visioni, lostudente inizia a ricordare il proprio passato e il turbolento legame conRyōko. L’analisi dei tessuti e delle viscere rimanda ad altro, ad un intensorapporto perduto, in cui il piacere si connatura al dolore, alla ricercadell’eccesso per assaporare la vita. Un rapporto di fisicità estrema cheHiroshi, quasi inconsciamente, emula con la nuova compagna, la quale percepiscetra loro, ingombrante, la presenza della defunta. Mentre l’indagine si fa piùprofonda, il trasporto del giovane aumenta, le sue allucinazioni e l’impeto deisuoi ricordi si sovrappongono alla realtà del presente, fondendosi con essa.Diviso tra la gelosia di Ikumi e la devozione verso il corpo di Ryōko, Hiroshisi avvicina alla famiglia di quest’ultima, venendo a conoscenza della veritàsulla sorte delle sue spoglie. Con il chiudersi del quadrimestre di medicina,il giovane avrà un’ultima occasione per porgerle un estremo saluto, prima di lasciarlaandare e riscoprire definitivamente se stesso.Recuperandoparzialmente i contenuti dei suoi precedenti lavori, si pensi alle traumaticheseparazioni dei protagonisti di BulletBallet e Tokyo Fist, edanticipando visivamente alcuni ambienti e territori d’indagine che sarannopredominanti in opere successive, come NightmareDetective, Tsukamoto decide disoffermarsi su un discorso maggiormente intimista cercando di raccontare ilrapporto tra identità e memoria in relazione alla scissione della coppia edall’indagine viscerale sul corpo e i suoi resti fisici. Questo diviene untempio dove riscoprire il rapporto con l’altro, prematuramente interrotto eabbandonato. Gli intenti dell’autore sono alti, la ricerca si trasforma incomposizione artistica rivelando un’attenzione fondamentale per la bellezza, adiscapito di un grottesco che si tenta di neutralizzare a favore di unestetismo dove la componente spirituale trascende la materia divenendopregnante. Dal corpo sul quale s’addentra la lama del bisturi si passa adettagliate illustrazioni anatomiche, ispirate alle tavole di Leonardo DaVinci, indagando la carne inerme con l’imperativo di mantenere vivo ildesiderio di conoscenza che si spinge oltre la materia: dove risiede,esattamente, l’anima umana? Tsukamotovuole descrivere l’amore che unisce la coppia, il sentimento universale chesupera il confine della morte, un rapporto che lega le identità attraverso lecarni scoperte, esibite con predominanza di particolari. Un universo matericoche si sovrappone a quello naturale (ritratto on location ad Okinawa), sul quale l’autore si sofferma ampiamente,contrappuntando un ambiente incontaminato, le rocce, il mare, le frascherigogliose alla glacialità asettica degli spazi interni ed urbani che fanno dasfondo all’agire dei protagonisti. L’elemento naturale dà vita al visionarioluogo che si vede nel film, e che il regista definisce come “appena fuori dalconfine”, e determina lo stacco, l’esplorazione che passa dalla città allanatura, una natura che già si scorgeva nella chiocciola di A snake of june e che si affacciava nel distante, per contenuti etempi, Hiruko the Goblin.Ritraendolacon una fredda fotografia, Tsukamoto descrive una metropoli imponente, cheavvolge il soggetto soffocandolo in riquadri e delimitazioni di specchi,vetrate, muri fatiscenti, impervi edifici ed una pioggia incessante. L’evasioneda questo universo gravoso e privo d’affetti (si noti l’austera ed algidaambientazione della casa dei genitori di Hiroshi e la decadenza dell’appartamentoin cui quest’ultimo si trasferisce) è nel sogno, in immersioni spazio temporalidi un universo alternativo, nel raccordo che riconnette gli amanti in riva almare, accoccolati su spiagge dal tepore accogliente, dove Ryōko danzaenergicamente, esprimendo grande dinamismo e indomita fisicità (in nettocontrasto al suo corpo disteso, spento ed inerme). Ancora un dialogodell’autore attraverso il corpo, un’enfasi di gestualità in cui la leggiadriasincopata del movimento si relaziona alla terra e alla plasmabilità dellasabbia, sulla quale la donna affonda e si adagia. La regia ne descrive lemovenze tramite rapidi stacchi, con l’ausilio di un montaggio che spezza ilgesto e la sua continuità in molteplici segmenti che paiono istantanee,fotogrammi del presente che tra loro si sovrappongono in dissolvenze, comenella serie di piani che conduce dalla soggettiva di Hiroshi, chiuso nella suastanza, al fermo immagine in sequenza di Ryōko danzante. In Vital, il linguaggio di Tsukamoto siaddolcisce, la macchina da presa, sebbene sobbalzante nell’enfasi della danza,è più concentrata sulla compostezza del suo protagonista attraverso quadricontemplativi del suo volto, come nel ripetersi del suo primo piano relazionatoad un effetto di profondità di campo, edei corpi, esplorati nel dettaglio, alla ricerca di una sensazione tattiledella materia organica. Fisicità a cui si legano gli elementi artificiali, loscorrere dell’ambiente urbano e le dissolvenze che sovrappongono gli edificiindustriali nella mente del confuso protagonista in un continuum visivo a cui il soggetto pare indissolubilmente legato. Posizionidistanti da quella violenza necessaria e rivelatrice che si consumava nelleopere precedenti e che in Vital sirealizza solo in parte ed in relazione all’asfissia erotica come mezzo perappurare la propria presenza nel mondo, il proprio esserne parte. La danza e ilmovimento divengono il ribollire della coscienza, una coscienza che cercariscontro nel suo interlocutore. Interpretato da uno ieratico ed introspettivoAsano Tadanobu, Hiroshi appare disorientato nell’osservare il proprio voltoallo specchio, incerto sulla sua reale esistenza, al punto di emettere un suonoe poi toccarsi la guancia per appurare la propria presenza. Il suo personaggiopossiede una parvenza di obiettivo distacco che si converte in una maniacalededizione nei confronti del cadavere che sta esaminando, un coinvolgimento chelo mantiene distante dalle ossessive attenzioni di Ikumi (Kiki), ipoteticodoppio dell’amata perduta nel suo intento di perseguire la morte. Ilpersonaggio di Ryōko (Tsukamoto Nami), concepito come presenza fisica epsicologica, esprime la volontà dell’anima nel perseguire una comunicazione chesi protrae oltre la compiutezza materiale: la fine dell’indagine del corpo è laliberazione dei personaggi, la redenzione dal peso dei sentimenti irrisolti, iltrauma sospeso che trova finalmente una sua elaborazione. ConVital, Tsukamoto intende illustrarela finitezza delle membra in relazione alla percezione eterea dell’anima,tramite l’accavallarsi dei rapporti del triangolo sentimentale e la mancanza dideterminazione temporale; un’ambiguità discorsiva a cui contribuisce l’amnesiadel protagonista. L’incertezza del tempo stesso e del suo trascorrere ècaratterizzata da salti in avanti e passi indietro, situazioni che si ripetono,incontri del presente su cui si posano i tratti e i sintomi del passato, comel’attrazione e la repulsione nell’impossibile legame tra Hiroshi e Ikumi.Sebbene la verità dell’anima sembri porsi al di là della percezione del tempofinito ed al di là della collocazione di uno spazio anatomicamentedeterminabile, l’autore mette in luce come in essa risieda l’attaccamento allavita ed il desiderio di trasmetterne la bellezza in contrasto al deperimento dellamorte: «Dove andrò adesso? Ho paura! Ho paura di restare sola!», confida Ryōko,in lacrime, al suo ragazzo. Una bellezza che si snoda nello sfaldarsinarrativo, nella percezione discordante della linearità, attraverso sensazionifugaci, come il sentore, in un giorno di pioggia, della terra di una stradaimmersa nel verde. [Luca Calderini]

