Sono vite umane quelle spazzate via dal sisma che ha devastato il Nepal, donne, uomini, bambini e anziani, migliaia di vite, migliaia di storie che non conoscevamo e che non conosceremo mai, vite e storie che ieri erano vere reali e oggi sono nulla, cancellate.
E’ lontano il Nepal, facciamo persino fatica ad individuarlo sulle carte geografiche, e Katmandu è una città che forse conosciamo solo come punto di partenza per le spedizioni himalayane, se chiudiamo gli occhi non riusciamo neppure a ricordarne il profilo, quello che aveva intendo dire, perché l’immagine di oggi la conosciamo purtroppo bene, è l’immagine di una città devastata, l’immagine di macerie e rovine, di grandi fessure nell’asfalto, di desolazione.
La Caritas parla di migliaia di morti, seimila forse, numeri enormi, terribili, numeri di una contabilità dell’orrore che rischiano di scivolarci addosso senza che riusciamo neppure a comprenderli.
Mi addolora scoprire quanto sia difficile condividere il dolore di tanti, un dolore così immenso che ci sfiora soltanto perché lontano, poco conosciuto, poco compreso.
Probabilmente ora partiranno le raccolte di fondi per portare conforto alle popolazioni così crudelmente colpite, ma mi piacerebbe che non ci accontentassimo di versare un obolo (per quanto doveroso) che ci alleggerisca la coscienza e ci faccia sentire un po’ più buoni.
Mi piacerebbe che riuscissimo a provare compassione per quelle vite scomparse, per il dolore dei sopravvissuti.