“Sì, siamo tosti. E sai perché? Continuiamo ad aprirci ai nuovi mercati, stiamo reggendo ad una crisi fortissima, devastante, operando scelte non sempre facili”.
Lo leggi tutto l’orgoglio di Vito Minunni, di Putignano (Ba), classe ’83, di appartenere alla squadra di chi ha trasformato la Cifa http://www.cifa.com/cgi-bin/WebObjects/Valxer.woa/wa/page?path=cifa&autoStart=splash.jpg in una realtà imprenditoriale di successo in Italia e all’estero. E lo avverti ancora di più, se sfogli il libro che ha scritto con la giornalista Daniela Grancini, direttrice della rivista “Macchine Edili”, Attilio Mucelli, docente di Economia aziendale presso l’Università Politecnica delle Marche e Francesca Spigarelli, docente di Economia politica presso l’Università di Macerata. Il titolo è: “Cifa, un’anomalia vincente – Dal seme americano al “secolo cinese”. La prefazione è di Federico Rampini, corrispondente di Repubblica prima da Pechino e ora da New York.
Ma vediamo con Vito, addetto alla comunicazione dell’azienda, perché Cifa, che realizza macchinari e attrezzature per case, scuole, ospedali, opere pubbliche, è diventato sinonimo di realtà anomala, ma di successo, e perché l’idea di un libro.“Abbiamo scritto un libro sulla storia di CIFA – afferma - perché riteniamo che sia un caso di studio e di successo all’interno del panorama nazionale e internazionale. La Cifa è un’azienda che, come recita il sottotitolo, nasce da un seme americano ed oggi è a pieno titolo nel “secolo cinese” – un’espressione coniata da Federico Rampini, sin dal 2008, anno in cui è stata acquisita dal gruppo cinese Zoomlion Heavy Industry. L’idea di tributarle un omaggio è maturata nella prima parte del 2012, a Parigi, durante una conferenza stampa, dove ho conosciuto Daniela Grancini e Medeo Olivares, il quale aveva ricoperto il ruolo di responsabile comunicazione in CIFA dal 1977 al 1998. Entrambi mi raccontarono storie ed aneddoti assolutamente unici, meritevoli di essere raccontati e tramandati. In quell’incontro capii subito che CIFA è un marchio “glorioso” e meritava di essere conosciuto meglio. Scontato, si potrebbe dire, scrivere bene dell’azienda per cui si lavora. In realtà di questa azienda non si può fare a meno di parlare. E ne spiegherò i motivi. Intanto, solo per dare qualche numero Cifa in Italia ha oltre 700 dipendenti, dislocati in quattro stabilimenti, tutti in Lombardia. Il fatturato del 2012 è stato di 355 milioni di euro (record storico per l’azienda). Oltre agli stabilimenti produttivi in Italia, Cifa ha uno stabilimento in Cina (a Changsha, nella provincia dello Hunan, all’interno del parco industriale di Zoomlion).
“Grazie all’acquisizione, con Zoomlion nell’ultimo anno – continua Vito – sono stati fatti dei passi avanti estremamente importanti. abbiamo aperto una filiale in Germania, una in Francia, rilanciato la filiale messicana. Abbiamo aperto uno stabilimento di produzione in Brasile e registrato una società in India. Quello che viene prodotto in Italia per il 95% va all’estero, mentre fino a 5 anni fa la quota export era del 65%”
Torniamo all’unicità dell’azienda.
Sì, la Cifa è nata da un seme – un brevetto per la realizzazione di casseforme in acciaio – americano nel 1928. E l’America, fino al 1970, ha influito sullo sviluppo del business, perché i prodotti principali – dagli impianti, alle betoniere, alle pompe per calcestruzzo- provengono da progetti nati in America e riadattati dai tecnici italiani al mercato locale. E’ un’azienda che negli anni ’60 incoraggiava i propri operai a mettersi in proprio e diventare fornitori, e creava società di ricerca e sviluppo parallele, che sarebbero servite sia a Cifa, sia ad altri clienti. Questo, se ci pensiamo bene, è un grosso elemento di anomalia, perché ha anticipato il modello dell’outsourcing di 20 anni. Molte aziende negli anni ‘80 sono dovute ricorrere a questo modello di business per necessità, Cifa, invece, l’aveva scelto come strategia vincente circa 20 anni prima.
Altri motivi per cui è un’azienda anomala?
E’ stata padronale fino alla morte del fondatore Carlo Ausenda nel 1967, poi manageriale. Successivamente, è stata acquisita dal gruppo Ferruzzi, entrando di diritto nel salotto buono dell’economia italiana. Poi è stata acquisita nel 1995 da un fondo di investimento, uno dei primi che in Italia entrava nell’azionariato di imprese private. Nel 1999 è stata comprata da quegli ex dipendenti che poi erano diventati fornitori di primo livello. E adesso è cinese, una tra le prime in Italia ed in Europa. Ed è stata acquista da un gruppo cinese non perché in difficoltà, o decotta, ma quando era all’apice del proprio valore. Anche questo un elemento di discontinuità. E’ un’azienda che ha sempre vissuto il vento della storia sulla propria pelle, sentendo e cavalcando in anticipo i cambiamenti epocali. E questo l’ha protetta dalle varie crisi economiche che nel corso del tempo l’azienda si è trovata ad affrontare. Non è tutto. Il suo essere controcorrente l’ha protetta dalla Br.
In che senso?
E’ un’azienda in cui il conflitto tra capitale e lavoro non è mai esistito. Negli anni ’70, anni di piombo e conflitti, la proprietà aveva accordato l’istituzione di una sezione del PCI all’interno dell’azienda. L’azienda anticipava le rivendicazioni e concedeva ai lavoratori accordi estremamente vantaggiosi e qualificanti. Quando a Roma veniva rinnovato il contratto dei metalmeccanici, l’azienda celebrava questo momento, festeggiando in mensa. E tutto mentre le fabbriche erano incendiate da conflitti e infiltrazioni delle Brigate Rosse. Mi viene in mente il caso dell’Alfa Romeo di Arese, distante pochi chilometri dalla sede di Cifa. In azienda gli stessi lavoratori e sindacati hanno isolato ed espulso i pochi casi di manifestazioni antagoniste.
Mi dicevi che il presidente è un ex magazziniere.
Giovanni Cerini è un mantovano che negli anni ’50 era venuto a Milano per cercare fortuna. E’ stato assunto da Cifa come magazziniere con i suoi amici, poi soci, Battista Raimondi e Guerino Mutti. I tre erano svegli e capaci, soprattutto nel realizzare le carpenterie e all’inizio degli anni ’60 furono incoraggiati ad aprire un’attività per conto proprio. Come fornitori esclusivi di Cifa hanno fondato varie aziende che curavano diverse fasi del processo produttivo. Insomma, hanno avuto successo. E ad un certo punto sono diventati così forti che, con un’altra cordata di fornitori – guidati dalla famiglia Pansera- , hanno acquistato all’inizio degli anni 2000 l’azienda per cui avevano sempre lavorato. Giovanni Cerini nel 2000 è quindi diventato Presidente, a quasi 50 anni dalla sua assunzione come magazziniere. Tutti loro erano e sono imprenditori illuminati. Sono stati proprio loro, gli ex dipendenti, a creare la Cifa del futuro, quello che l’azienda è adesso. Erano intuitivi, fiutavano il mercato e, appena rilevata l’azienda, hanno iniziato a cercare clienti ad est, in Cina. Avevano capito che il mercato ad oriente sarebbe esploso. E infatti il primo contatto con Zoomlion è di tipo commerciale. In sostanza nel 2001 Cifa ha venduto a Zoomlion prodotti che poi i cinesi hanno cominciato a fare per conto loro. Sette anni più tardi, quel cliente ha comprato l’azienda fornitrice del know-how. Ed anche questa vendita non è frutto di caso o opportunismo.
Perché?
Gli ex azionisti avevano talmente coscienza del mercato, che avevano capito che Cifa avrebbe potuto reggere una competizione internazionale non più da sola, ma solo all’interno di un gruppo forte dal punto di vista di strutture produttive e capacità finanziarie.I vari passaggi di proprietà, soprattutto negli ultimi 30 anni, sono espressione, contrariamente a quello che si può pensare, di un’azienda in salute, in grado comunque di generare valore.
Da quando siete cinesi cosa è cambiato?
E’ cambiato molto nell’organizzazione – più manageriale- e nella prospettiva di approccio ai vari mercati. Essere all’interno di un gruppo che fattura sette miliardi di dollari e con 30 mila dipendenti in Cina dà la possibilità di pianificare operazioni che difficilmente la Cifa di qualche anno fa si sarebbe potuta permettere da sola. Proprio quest’anno, per celebrare il doppio anniversario – fondazione e acquisizione- Cifa ha mostrato al mondo cosa è possibile fare in collaborazione con un gruppo cinese.
E cioè?
Oltre all’apertura di nuove filiali all’estero, è stata reimpostata la tipologia di produzione – ora ispirata ai dettami della lean production e zero difetti -, è stato creato un eccellente centro interno di ricerca e sviluppo (TEC, Testing European Center), è stata aperta una scuola di formazione per gli operatori (CIFA Academy), è stato istituito un centro stile interno e realizzato il Museo aziendale. Anche il libro, uscito pochi mesi fa per celebrare gli 85 anni della fondazione di CIFA e i 5 anni dall’acquisizione, rientra tra i progetti resi possibili grazie al supporto cinese.
E i concorrenti?
Anche i principali concorrenti di Cifa a livello europeo sono stati acquisiti da colossi cinesi. Ma i nostri concorrenti sono stati acquisiti nel 2012, dopo anni di crisi, in condizioni di mercato e finanziarie molto diverse. A questo punto vorrei dire una cosa: tutto è stato reso possible grazie a tutte le persone, dagli operai ai dirigenti, che hanno messo energia e passione per creare un’azienda capace di produrre da tanti anni valore. Con le istituzioni locali ovviamente c’è un rapporto, una collaborazione poiché la manodopera che lavora in azienda vive nei territori limitrofi e sfrutta le competenze che si formano presso le scuole e le università locali.
Progetti per il futuro di questa azienda?
Sicuramente c’è quello di aprire altre filiali nel mondo, in modo da essere sempre più vicini ai clienti finali, gestendo al meglio la supply chain di gruppo e la logistica. E poi si continuerà ad investire in nuovi prodotti, seguendo tre linee di ricerca: nuovi materiali che diano più leggerezza e più resistenza alle attrezzature, elettronica e “design”.
Cinzia Ficco
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