di Roberto Pagliara
La famiglia di Vito Paglialonga (la moglie Giulia e la piccola figlia Teresa)
Era il luglio del 1943 quando l’Italia già impegnata nella guerra in Africa e nei Balcani decise di partecipare al conflitto contro l’Unione Sovietica.C’è ancora speranza di conoscere il destino che hanno subito i nostri cari, inviati al fronte orientale con il Corpo di Spedizione Italiano in Russia.
Le motivazioni dell’adesione al conflitto sono da interpretare, sicuramente l’idea, rivelatasi poi del tutto priva di fondamento, era quella di partecipare alla spartizione delle ricchezze di un territorio il cui esercito veniva ormai considerato allo stremo. Per questo motivo furono inviati in Unione Sovietica circa 230.000 uomini, in servizio o richiamati nei corpi militari dello Stato italiano. Come la storia racconta, le aspettative e le strategie portarono ad un’ecatombe degli eserciti in terra di Russia, tra le perdite accertate: 114.520, il numero dei dispersi risulta molto alto per ovvi motivi cioè la mancanza di registrazione dei prigionieri caduti prima o durante il trasporto nei campi di prigionia, pertanto non essendo stati registrati, gli unici riferimenti erano forniti da compagni d’arme o addirittura da oggetti personali ritrovati casualmente nei luoghi di transito dei militari.
Una triste storia, come quella di tanti italiani che non hanno mai fatto ritorno in patria e che hanno lasciato un vuoto nelle generazioni attuali, tra i figli, tra i nipoti che ad oggi non sanno quale destino abbia avuto il loro caro. In questa ricerca disperata ma ancora viva, nonostante 70 anni trascorsi dal conflitto, sono impegnate a vario titolo le persone parenti dei dispersi ma anche associazioni, istituzioni e tutti coloro che possono contribuire a dare una notizia, un’informazione che possa essere utile alla ricerca di tante identità perdute in quel triste periodo della nostra storia.
sin. Vito Paglialonga – a destra la figlia Teresa stringe l’unica foto che possiede con i suoi genitori
La figlia Teresa ha cercato indizi, tracce, ha comunicato ai propri figli il vuoto che rappresentava la scomparsa del padre, ma sino a poco tempo fa nessuna notizia è giunta a colmare questo vuoto. Il figlio di Teresa, Dario, non indifferente alle richieste della madre già da qualche tempo aveva iniziato meticolose ricerche del nonno, dal Distretto Militare di Lecce, alle associazioni, alle istituzioni ma un sostanziale contributo è stato dato da un puro caso che circa 70 anni dopo ha dato una svolta alla vicenda. Ebbene su internet compare sul sito di un collezionista russo, Sergei Alexandrovich Chihirev, la medaglietta militare che lo stato italiano forniva ai nostri connazionali come identificativo personale, questa non passava inosservata e tempestivamente per il tramite di un blog tenuto da Pino Scaccia (nostro grande collega, già corrispondente RAI dal fronte di numerosi campi di guerra come la guerra del Golfo, la guerra in Serbia, in Afghanistan, in Iraq ma anche presente in tanti eventi che hanno segnato la nostra storia recente, Chernobyl, lo tsunami nello Sri Lanka, il terremoto dell’Aquila. n.d.r.), si attivava un canale di comunicazione con il collezionista il quale senza esitazione ha inviato l’oggetto ai familiari di Vito Paglialonga.L’interesse e la pervicacia di un nostro concittadino di Collepasso in provincia di Lecce è esemplare per quanto accaduto: Dario Moscatello 44 anni, di Collepasso ma residente per motivi di lavoro a Verona, è il nipote di Vito Paglialonga, classe 1914, richiamato nel corpo dei bersaglieri nel 1941. Era imminente la missione militare in Unione Sovietica, Paglialonga lasciando la moglie Giulia e la figlia Teresa, parte insieme a tanti italiani che nel luglio del ’46 avevano il compito di fronteggiare l’armata rossa per la conquista di territori che di lì a poco si sarebbero rivelati così ostili, per uomini mal vestiti e male attrezzati, per condizioni climatiche così avverse, che nel volgere di pochi mesi, cioè con il sopraggiungere della stagione fredda, quei territori avrebbero letteralmente sepolto migliaia di vite umane. Vito Paglialonga risulterà uno dei tanti dispersi, nessuna traccia utile a capire il destino del soldato.
La medaglietta ritrovata
Oggi, quando andiamo a trovare la signora Teresa, ci racconta la storia con i suoi ricordi da bambina, ci parla dell’unica lettera ritrovata inviata dal padre nella quale si descrive un falso ottimismo dei soldati al fronte, infatti i termini usati sono quelli di chi pur vivendo in una situazione disperata non vuole tenere i propri familiari in apprensione ed usa frasi rassicuranti ma dalle quali si può capire tutta la drammaticità della situazione. Il momento più intenso lo viviamo quando la signora Teresa ci fa vedere la medaglietta ritrovata del padre Vito, essa è racchiusa tra due lastre di plexiglass trasparente, quasi come una reliquia e forse con la stessa osservanza ce la porge affinché possiamo vederla.
L’emozione ci contagia, abbiamo tra le mani un oggetto personale di un nostro connazionale che ha perso la vita in una dura guerra che come tutte le guerre forse sarebbe stato meglio mai combattere. La signora Teresa continua a parlarci, ma ora in senso affettivo e con evidente commozione, ci confessa che il ritrovamento di questa medaglietta del padre Vito non può consolarla per tutto l’affetto del padre che le è mancato nella sua giovinezza, ma almeno è una testimonianza tangibile che le da l’illusione come se l’avesse ritrovato.