L’8 marzo è una bufala, ma la festa è vera. E’ una bufala l’incendio newyorkese dell’8 marzo 1908 con 129 lavoratrici morte – mai avvenuto, un incendio in fabbrica vi fu invece nel marzo 1911, però il 25, a “Giornata della donna” già istituita, e con vittime di entrambi i sessi – mentre è autentico e doveroso un omaggio alla donna. Alla donna e non «alle donne», perché qui non c’è una categoria protetta o una variante sessuale da celebrare, bensì singolarità diversissime ed uniche, tutte irripetibili eppure accomunate da quell’accoglienza e da quella misteriosa dolcezza che solo una donna, solo ciascuna donna, sa offrire. In ogni tempo e luogo la donna rimane infatti prodigio, eccezione dell’umano, sintesi di tenerezza, «cosa venuta / di cielo in terra a miracol mostrare», come Dante diceva di Beatrice.
Il problema è che oggi, chiacchiere a parte, la donna sembra tutto fuorché festeggiata: le bimbe non ancora nate sono vittime di aborti selettivi, le lavoratrici incinte rischiano il licenziamento, per non parlare delle violenze e delle umiliazioni commerciali, dall’utero in affitto alla pornografia, fino alla fecondazione extracorporea spacciata per conquista. In quest’ottica la “Giornata della donna”, converrete, sa di contentino, di floreale presa in giro, di trucco per nascondere il volto di una realtà se non deturpata certamente meno bella di come il calendario odierno la presenta. E la soluzione non sta certo nel dare la colpa agli uomini o nella caccia ai mandanti culturali di un dramma ormai stratificato, con troppi responsabili perché basti rintracciarne uno. Meglio stare a noi, guardarci negli occhi e chiederci senza giri di parole – partendo dal nostro vissuto- dov’eravamo.
Dov’eravamo l’ultima volta che una donna ci ha chiesto aiuto, anche solo un po’ di ascolto, senza che noi trovassimo quei dieci minuti che magari le avrebbero rivoluzionato la giornata. Dov’eravamo quando una donna, magari la nostra fidanzata o nostra moglie o nostra madre, aveva bisogno di quella carezza in più che per lei avrebbe fatto la differenza. Dov’eravamo insomma tutte le volte che avremmo dovuto esserci e non ci siamo fatti trovare, nascondendoci dietro un’inverosimile maschera di scuse. Ecco, se sapremo rispondere con franchezza a questi “dov’eravamo” non cambieremo certo il mondo, ma almeno sapremo da dove ripartire. Almeno riscopriremo il senso di amare ogni donna come merita, senza sperare che il profumo di mimose rimpiazzi un affetto che deve invece essere quotidiano. Sorvegliato e intimo, maturo, non necessariamente sbandierato. Ma vero.