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Viva la libertà

Creato il 25 febbraio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Anno:  2013

Nazionalità: Italia

Durata: 94′

Genere: Drammatico

Regia: Roberto Andò

Distribuzione: 01 Distribution

Uscita: 14/02/2013

 

Finalmente all’uscita dalla sala cinematografica ho provato entusiasmo e coinvolgimento rispetto a quello che avevo visto. E, stranamente, davanti ad un film nostrano che non fosse al massimo degli anni ’70!

Questa, in breve, la sinossi del film:

“Il segretario del principale partito d’opposizione, Enrico Oliveri, è in crisi. I sondaggi per l’imminente competizione elettorale lo danno perdente. Una notte, dopo l’ennesima contestazione, Oliveri si dilegua, lasciando un laconico biglietto.

Negli ambienti istituzionali e del partito fioccano le illazioni, mentre la sua eminenza grigia, Andrea Bottini, e la moglie Anna, continuano ad arrovellarsi sul perché della fuga e sulla possibile identità di un eventuale complice. E’ Anna a evocare il fratello gemello del segretario, Giovanni Ernani, un filosofo geniale segnato dalla depressione bipolare. Andrea decide di incontrarlo e ne resta talmente affascinato da iniziare a vagheggiare un progetto che ha la trama di un pericoloso azzardo..”

Il film, e prima ancora il romanzo Il trono vuoto da cui è tratto, giocano con caparbietà sul tema del doppio, tanto caro alla letteratura, da quella classica con Plauto e Ovidio, a quella più recente con Oscar Wilde, Italo Calvino, Fedor Dostoevskij e infine Luigi Pirandello.

Ci giocano, lo contestualizzano, lo cuciono come sarta con occhi intenti addosso alla situazione politico-sociale italiana. E lo fanno attraverso il meccanismo narrativo dei due fratelli gemelli, del biancoennero che nella vita (purtroppo o per fortuna?) abitano in genere stabilmente un unico corpo incapace di dare voce ad entrambi contemporaneamente.

Nella storia di Andò, invece, i due opposti, pur legati da un filo impossibile a sciogliersi, recitano due personaggi diversi: Enrico Oliveri, segretario generale del Partito Comunista Italiano, uomo senza faccia, se non quella televisiva delle pose edulcorate e dei bei discorsi scritti da altri e il gemello Giovanni Ernani, filosofo votato al pensiero e alla pazzia, il matto del villaggio che, innamorato della filosofia e delle verità, di sé farà innamorare le folle.

Da una parte, per dirla con De André, “chi ha la faccia e mostra solo il viso, sempre gradevole sempre più impreciso”; dall’altra il matto, che con lui canta “per stupire mezz’ora basta un libro di storia, io cercai di imparare la Treccani a memoria..”

A tenere le redini della storia sono quindi questi due personaggi interpretati con affascinante disinvoltura da un Toni Servillo che ammalia attraverso il gioco delle parti. Da fertile e corazzato attore teatrale quale è, Servillo muove con abilità i fili del suo corpo di marionetta, adatta come un dio creatore le rughe del suo volto ora al sorriso libero di Ernani, ora alla grigia solitudine di Oliveri.

“Era necessario un volto come il suo”, afferma infatti il regista Roberto Andò in un’intervista, “l’intelligenza rigorosa dei suoi tratti, nello stesso tempo ipotetica e realistica, per incarnare l’essere duplice che si confronta nel film attraverso il match tra i due fratelli”.

Dal canto suo invece l’attore campano, durante la conferenza stampa, spende due parole in merito alla capacità camaleontica che rende tale un attore: “noi facciamo dei trucchi”, dice sorridendo. E chi meglio di lui?

Lui, che in una sola vita, è stato Giulio Andreotti, Gorbaciof e ora chissà chi: D’Alema? Bersani? O più probabilmente Berlinguer? Impossibile ricevere risposte definitive dalle labbra cucite dell’attore e del regista. Da intellettuali, quali sono, evitano sdolcinate lusinghe al mondo delle maschere politiche decidendo, invece, di giocare coi dubbi dello spettatore che, proprio adesso a poche ore dal voto, non può che rivedere nel film lo specchio della situazione politica attuale.

Ma, come già detto, non è questo ad accattivare Servillo. “Il meccanismo del doppio”, spiega, “è un motivo ricorrente a teatro e per un attore costituisce una ghiotta proposta. Come per il topo il formaggio! L’applicazione del tema al mondo politico poi, lo rende ancora più affascinante. D’altronde, i politici sono abituati alle maschere, noi attori trucchiamo la realtà per mestiere”.

E mi richiedo allora, chi meglio di lui? Che del travestimento ha saputo fare un’arte e uno studio. Illusionista e prestigiatore, Servillo gioca con la realtà: la osserva, la comprende, ci stupisce mettendole il rossetto.

Accanto a lui, primo fra tutti, un Valerio Mastandrea grigio e impolverato, consegnato anima e corpo a vestire i panni del braccio destro dell’onorevole; Valeria Bruni Tedeschi nel sospirato ruolo di un vecchio amore dei due fratelli e Michela Cescon, moglie di Ernani.

Roberto Andò, regista teatrale prima ancora che cinematografico, scrittore e sceneggiatore palermitano mette in scena la messinscena della politica italiana. La palesa, ma con toni ironici e leggeri. Si comporta alfine da uomo anti-politico italiano: invece di ridicolizzare il serio con show mediatici che hanno il sapore di barzellette, dà voce al serio trattandolo con leggerezza. E in questo si scova la capacità dello Scrittore, prima ancora che del regista. Come Palazzeschi o altri (anche se diverso è il contesto, diversa la trama da cucire) Andò FINALMENTE parla, e sa cosa dice, ma lo fa spostandosi in continuazione dal piano del pensiero a quello dello scherzo, sostituendo la denuncia fine a se stessa con l’idea originale e la speranza.

“Quando la speranza non c’è, bisogna inventarla”, afferma infatti il regista durante la conferenza stampa.

E probabilmente non è un caso che a confezionare questo gioiellino sia stato proprio lui, amico e allievo di Leonardo Sciascia, assistente alla regia di Francesco Rosi, Federico Fellini, Francis Ford Coppola.

E in effetti nel film di Andò non mancano sincere lusinghe alla cultura: da De André a Camilleri a Harold Pinter. Tutti sono presenti. Come insinuanti citazioni e eleganti inviti alla riflessione.

Fino al comizio tratto da una poesia di Bertold Brecht, “A chi esita”, che commuove e travolge e che, come dice il regista, non fa altro che restituire la politica ai cittadini.

“Che cosa è errato, ora, falso, di quel che abbiamo detto?   Qualcosa o tutto?   Su chi contiamo ancora?   Siamo dei sopravvisisuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza  comprendere più nessuno e da nessuno essere compresi.  O contare sulla buona sorte? Questo tu chiedi. Non aspettarti   nessuna risposta oltre la tua.”

 

Dalila Lensi

 


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