Diretto da Roberto Andò (Il manoscritto del principe, 2000, Sotto falso nome, 2004), sulla base del suo romanzo Il trono vuoto (Bompiani, 2012, vincitore del Premio Campiello Opera Prima), avvalendosi dell’apporto di Angelo Pasquini nella stesura della sceneggiatura, Viva la libertà rappresenta una realizzazione in certo qual modo insolita nell’ambito dell’attuale cinematografia italiana, riprendendo i contatti, più nella sostanza che nella forma, con quel cinema d’impegno civile (non necessariamente da connotarsi con l’aggettivo “politico”) proprio, fra gli altri, d’autori come Francesco Rosi o Elio Petri.
Roberto Andò
Andò, infatti, nel visualizzare un’ evidente critica, e contestuale denuncia, del malessere della politica, sottolineando la distanza di quest’ultima dalla gente comune (il film è uscito alla vigilia delle ultime elezioni), la riveste dei toni allegorici e surreali propri di un apologo morale, cui non sono disgiunti interessanti risvolti psicoanalitici.Non intende offrire alcuna soluzione, o maldestra giustificazione, alle varie storture del sistema, almeno questa è stata la mia impressione, bensì, più semplicemente, e coerentemente, avvalorare la funzione del cinema di rappresentare una pagina della nostra storia recente, invitandoci ad aprire gli occhi su quanto non riusciamo (o non vogliamo) cogliere col nostro sguardo, preferendo nascondere la testa sotto la sabbia dell’indignazione omologata e standardizzata.
Toni Servillo
Roma. Enrico Oliveri (Toni Servillo), segretario del “principale partito d’opposizione” viene fortemente contestato durante l’ Assemblea Nazionale indetta in vista delle elezioni: è la classica goccia che fa traboccare il vaso, in preda allo sconforto il nostro decide di abbandonare tutto e tutti, senza comunicare alcunché, a parte lasciare una laconica lettera, né alla moglie Anna (Michela Cescon), né al suo fidato collaboratore Andrea Bottini (Valerio Mastandrea) o ai membri più fidati del suo partito come Evelina Pileggi (Anna Bonaiuto).Si rifugerà quindi a Parigi, presso la sua amica (ed amore passato) Danielle (Valeria Bruni Tedeschi), segretaria di produzione, sposata con un regista e madre di una bambina. Mentre i sondaggi, inesorabili, danno in costante calo la popolarità del leader, ecco che ad Anna sopraggiunge un’idea, sostituire il fuggiasco con il fratello gemello Giovanni (sempre Servillo), brillante filosofo (pubblica le sue opere sotto lo pseudonimo di G. Ernani) il cui genio va di pari passo con la bipolarità della sua depressione, per la quale è stato in cura presso idonea struttura …
Valeria Bruni Tedeschi
Andò, avvalendosi della splendida prova recitativa di Servillo e sostenuto da un ottimo cast (molto bello il cammeo di Gianrico Tedeschi, nel ruolo di Furlan, vecchio ideologo del partito) sfrutta con sagacia il classico tema del doppio, dalle ascendenze teatrali e letterarie, per evidenziare come “fare politica” ormai non sia diventato altro che recitare una parte, sfruttando richiami illusori e fallaci, erigendo barricate che nascondono la veridicità della vita di ogni giorno, dove la cultura, anche intesa come base da cui partire per ritrovare la moralità ormai perduta, non trova posto o viene sfruttata per acquisire maggiori consensi e non certo per fini di condivisione.Viene anche portata avanti l’utopica speranza di un’auspicabile presa di responsabilità comune, un’ “alleanza con la coscienza della gente come l’unica possibile”, perché “ad elettori mediocri corrispondono politici mediocri e ad elettori ladri corrispondono politici ladri”, riprendendo le parole di Giovanni nelle vesti di suo fratello, espresse, fra una massima ed un haiku, con impagabile e carismatica nonchalance, per un personaggio lontano dall’ essere una rappresentazione dell’utile idiota, bensì intellettuale sulfureo e fortemente consapevole, tra strafottenza e calcolata eccentricità, del potere che ha fra le mani.
Valerio Mastandrea
L’abilità espressa a livello congiunto da sceneggiatura e regia, funzionale a livello narrativo, evidente nella scioltezza con la quale si dipana la vicenda, si sublima nel confronto a distanza, sviluppato in parallelo, fra le gesta di Giovanni, dedito a recitare un ruolo fra incontri istituzionali (molto belle le scene del gioco a nascondino col Presidente della Repubblica e il tango con la Cancelliera tedesca), riunioni di partito e comizi elettorali, dove si riversa una folla oceanica (e il che il nostro conquista recitando A chi esita, di Bertolt Brecht), e quelle di Enrico a Parigi, intento invece a riscoprire se stesso, attraverso un viaggio nel proprio passato, tra rimpianti e disillusione, per potersi riappropriare del ruolo, osservando con interesse l’evoluzione della “sua” persona e il ritrovato interesse della gente per il partito che rappresenta.Il finale è infatti volutamente ambiguo, ciò che vediamo attraverso gli occhi di Bottini, anche lui soggetto ad una certa evoluzione verso un maggior coinvolgimento, al di là di una fredda accondiscendenza, sembra essere addirittura un terzo Oliveri, una perfetta simbiosi fra la pragmatica genialità di Giovanni e l’opportunistica strategia da vecchia volpe di Enrico, ennesimo trasformismo espresso dal Potere per garantirsi la sopravvivenza, nell’illusione della sua eternità.