Renzi e la Boschi visti da Luca Peruzzi
Dopo anni di balle, di “luci in fondo al tunnel”, di “la ripresa è dietro l'angolo” e del “peggio è ormai passato”, la verità, certificata dai dati Istat, è che l'Italia è ancora in piena recessione. La verità è che l'austerità, con la riduzione della spesa pubblica e l'aumento dell'imposizione fiscale, non ha risolto la crisi italiana ma l'ha aggravata. Ce lo dicono tutti gli indicatori macroeconomici (pil, tasso di disoccupazione, consumi, chiusura delle imprese, debito pubblico) e soprattutto ce lo dice, drammaticamente e tragicamente, la condizione di milioni di persone: la loro disperazione, i suicidi, le vite bruciate, la chiusura di tante imprese ed esercizi commerciali, il livello sempre più infimo dei servizi pubblici, la nuova emigrazione. Il bonus degli 80 euro è servito a far vincere le elezioni europee a Renzi e a dargli la convinzione, alimentata e diffusa da tanti servi, di essere l'uomo della Provvidenza ma non hanno minimamente influito sulla situazione economica. L'avevano previsto gli economisti seri (i “gufi” come Emiliano Brancaccio) e comunque sarebbe bastato un minimo di buon senso per capire che si trattava di un provvedimento iniquo, inefficace e disonesto.
Spiega così il professor Brancaccio i mancati effetti positivi degli 80 euro: «Quelli non si vedono perché i lavoratori dipendenti sono stati costretti, in questi anni, a erodere i loro risparmi per far fronte alla crisi. In questo scenario è illusorio pensare che gli 80 euro in più in busta paga si possano interamente trasformare in consumi. Ma soprattutto, occorre ricordare che la famigerata manovra degli 80 euro si inscrive in una politica di bilancio che nel complesso rimane depressiva. Il governo continua a sottrarre all’economia più di quanto eroghi: l’obiettivo generale della politica economica resta infatti quello di attuare un prelievo fiscale che eccede la spesa pubblica al netto degli interessi. Questo significa che i cittadini e le imprese si trovano da un lato con 80 euro in più, ma dall’altro lato registrano tagli ulteriori ai servizi e aumenti delle tariffe. E temono incrementi di altre voci di imposta. L’effetto finale sulle capacità complessive di spesa resta dunque negativo».
Nel dibattito pubblico prevalente, tra i politici delle larghe intese e sui principali organi di informazione, evidentemente non vi sarà traccia di alcuna autocritica: la colpa è di non aver ancora fatto le riforme necessarie (cioè di non aver ancora ridotto sufficientemente la spesa sociale e i diritti dei lavoratori) e il dibattito è tutto incentrato sulla copertura delle nuove spese e su quali siano i modi più efficaci per tagliare il bilancio dello Stato per rientrare nei parametri europei e abbassare la pressione fiscale. Certo che esiste un problema di debito pubblico e di efficienza, efficacia, equità della spesa pubblica. Certo che bisogna intervenire su sprechi, corruzione, privilegi e retribuzioni pubbliche insostenibili, evasione fiscale e soprattutto trovare il modo per abbattere la voce più gravosa del bilancio dello Stato: gli 80 miliardi di euro l'anno di interessi sul debito. Ma per spendere meglio non per spendere di meno. Perché dalla crisi si può uscire e si possono migliorare le condizioni di vita di decine di milioni di persone solo aumentando la spesa pubblica e con investimenti pubblici. Un motore ha bisogno di benzina per funzionare e l'economia ha bisogno di abbondanza di risorse finanziarie per rimettersi in moto. Aumentare la spesa pubblica - con investimenti produttivi, nella ricerca, nella scuola, nei servizi sociali, nelle energie rinnovabili, nella manutenzione del territorio e nella conservazione dei beni artistici e archeologici - migliorerebbe le condizioni di vita delle persone direttamente (nuova occupazione stabile) e indirettamente (migliori servizi sociali ed a costi più contenuti per i cittadini, maggiore reddito complessivo per i consumi privati). Si dovrebbe farlo però stampando (in quantità moderate) nuova moneta e non con nuovo debito, se il nostro Paese, dagli anni '80 e dalla separazione tra Tesoro e Banca d'Italia, non fosse impossibilito a farlo. O trovando soluzioni alternative per finanziare parte delle necessarie maggiori spese dello Stato.
Come diceva John Maynard Keynes, uno dei padri dell’economia contemporanea.(intervista citata in un'ichiesta di Report e riportata nel blog Unoenessuno) JOHN MAYNARD KEYNES (BBC RADIO - 12 APRILE 1942) ANNUNCIATORE Le ho chiesto da dove proviene il denaro, signor Keynes. Il denaro non c’è, e lei mi risponde che è solo una questione tecnica! Il Regno Unito la sta ascoltando.
JOHN MAYNARD KEYNES Vi racconterò come risposi a un famoso architetto che aveva dei grandi progetti per laricostruzione di Londra, ma li mise da parte quando si chiese:”Dov’è il denaro per faretutto questo?”. “Il denaro? – feci io – non costruirete mica le case col denaro? Voletedire che non ci sono abbastanza mattoni e calcina e acciaio e cemento?”. “Oh no – rispose – c’ è abbondanza di tutto questo. “Allora intendete dire che non ci sono abbastanza operai?”. “Gli operai ci sono, e anche gli architetti”. Bene, se ci sono mattoni, acciaio, cemento, operai e architetti, perché non trasformare in case tutti questi materiali?”.