Quando ho visto il film che ci racconta la vita e la morte di Peppino Impastato, oltre essermi commossa per la bellezza di questa persona che ha vissuto in maniera coerente e coraggiosa, mi sono sentita catturare da una scena in particolare, che tutto dice del personaggio e del suo modo di pensare e di sentire.
Saremmo naturalmente portati a immaginare che sia quando viene ucciso, o quando mette la sua vita in serio pericolo, con le sue incontenibili e straordinarie provocazioni che non conoscevano pudore e paura di sorta…(in apparenza).
E invece no.
Mi colpì moltissimo, come continua a colpirmi ogni volta che la rivedo, la scena di quando si mette a litigare con il fratello più piccolo, più normale, più discreto, più rispettoso delle regole e del quieto vivere…(che così faceva per non fare soffrire troppo i genitori, che per quanto criticabili, sono sempre e sempre rimangono carne della nostra carne).
Si mette a urlare, a urlare, a urlare tutta la sua rabbia, la sua voglia di ribellarsi, di rompere uno schema sempriterno, mentre che il povero miserrimo cercava di calmarlo e avrebbe voluto sparire sessanta metri sotto terra.
Peppino Impastato dichiara al mondo, in una maniera che non dà possibilità di ritorno, il suo essere diverso, il suo essere contro la mafia, contro la società dell’omertà e della condiscendenza, e lo fa contando i cento passi che separano la sua casa dalla casa di chi tiene soggiogato un intero paese, un intero popolo, con tutte le miriadi di vite che contiene, le vite delle sue donne, dei suoi uomini, dei loro figli e dei figli dei loro figli…
Questo giullare della verità probabilmente aveva messo in conto di venire ucciso, prima o poi, probabilmente in cuor suo se n’era fatto un’idea, sull’eventualità; ma mai se lo sarebbe immaginato così presto, così improvvisamente, così vigliaccamente, con tutta quella inaudita e bestiale violenza.
Non è violento che Peppino muoia; non è violento che Peppino venga trucidato, preso a sassate come un porco che deve essere scuoiato; è violento e inaccettabile che Peppino muoia nel momento che aveva scelto non per morire, ma per vivere. Vivere per urlare, sbraitare, correre, fottere, ridere, bersi qualche birra, scrivere, raccontare il mondo…
e Morendo in quel modo viene consegnato all’eternità, non l’eternità che il mondo disprezza a cui rivolge sono fragorose pernacchie, ma l’eternità di chi se ne frega della morte perchè sa che tanto solo i porci muoiono.
Di sicuro i codardi e i malavitosi che uccidono come bestie, come sciacalli, peggio delle bestie, peggio degli sciacalli, perdendo nell’atto dell’uccidere la loro dignità di uomini, loro non sono mai nati, sono zombi viventi, sono morti che camminano, loro sì morti che camminano perchè quando moriranno nessuno si accorgerà della loro scomparsa, se non per gioirne…
Questo giovane che per me rappresenta il meglio di ogni possibile gioventù, l’indomani della suo morte, anzichè trovare lacrime e riconoscimenti, si trova a dovere competere contro un fatto di cronaca estremamente ridondante sotto il profilo politico ed internazionale; il ritrovamento del cadavere dell’onorevole Aldo Moro che viene fatto scoprire dentro il bagagliaio di una macchina.
In quel frangente, del suo assassinio si parla pochissimo, in sordina. Si dice che Peppino si sia suicidato. Si cerca di archiviare il fatto come un incidente legato alla depressione.
Sarà poi la forza della madre e di chi l’aveva conosciuto ed amato, del suo stesso paese e dei suoi stessi amici, la forza della verità, a rendergli giustizia, a portare all’onore della cronaca e della storia questo semplice esempio di umanità e di poderosa civile testimonianza.
Il terrorismo di quegli anni è sparito, è stato messo a tacere, è stato seppellito. Anche se io non ne sono così sicura. Non è stata fermata la mafia, per esempio; non è stato fermato il malcontento di molti. Sono state distrutte cose che funzionavano bene.
C’è piuttosto un modo di essere di questa nostra società che farebbe oggi desiderare che possa ancora esserci una forma di terrorismo vivente.
Il terrorismo che certo non conquista le simpatie dei giusti, riuscirebbe però a conquistare il bisogno reale di rovesciare tutto sotto sopra, rovesciare le cose che non vanno, che dimostrano di non evolvere, di non volersi autocriticare e ridimensionare.
Oggi Peppino continuerebbe ad urlare contro questo marcio sistema che finge di volere dare aiuti, mentre di fatto prosegue con grande prudenza lungo solchi già segnati e prevedibili.
Peppino urlerebbe, urlerebbe, urlerebbe lo schifo dell’ipocrisia, di chi pensa solo a vendersi e a fare il proprio lurido profitto.
Peppino squarcerebbe il cielo, con la sua voce, superando il muro del suono e la vergogna infantile di chi non possiede la propria consapevolezza in maniera adeguatamente matura.
Questo Peppino che era tanto giovane quanto consapevole di quello che andava fatto e che andava detto. Di quello che va fatto e che va detto. Quello che manca purtroppo oggi. Quello che manca a molti, oggi.
Allora “Viva Peppino tra noi.”