Vivalascuola. Bambini senza infanzia

Da Fabry2010

C’era una volta il tempo pieno… i programmi del 1985,  nuovi e innovatori, parlavano di una scuola in cui erano previste ore per sviluppare nel bambino competenze relative ai “linguaggi non verbali”. C’era il gioco, fondamentale strumento per la crescita e il benessere del bambino, c’era la psicomotricità, la musica, il linguaggio grafo-pittorico.

Oggi, una delle conseguenze della riduzione di insegnanti nella scuola elementare, è proprio la scomparsa dei “laboratori”. Ma chi si ricorda a cosa servissero poi questi laboratori? E’ importante ripensare a una scuola in grado di accogliere il gioco e la corporeità del bambino, così intimamente connessi e fondanti la sua specifica modalità di approccio, relazione e conoscenza del mondo. Del resto anche la Carta Internazionali dei Diritti dell’infanzia cita il gioco tra i diritti dei bambini… e forse un motivo ci sarà! (Marina Massenz)

Bambini senza infanzia
di Grazia Honegger Fresco

Osserviamo un gattino che corre dietro a una foglia o che salta intorno alla coda della madre. Ci incantano la gratuità del movimento, il gusto per l’esplorazione. Perché agisce così? È attività futile o ha un senso ai fini dello sviluppo? Nell’infanzia di ogni cucciolo di mammifero – e non solo – fattori biologici e psicomotori si incrociano, mossi da elementi esterni che suscitano curiosità, come una foglia che vola via: il movimento, nato dall’interno dell’individuo, si dispiega nell’ambiente.

Altrettanto avviene per la nostra specie: anche i continui movimenti del bambino hanno finalità strettamente connesse al suo sviluppo corporeo e mentale. Nessuna azione, nessun movimento, tanto più se spontaneamente ripetuti, sono inutili. Noi però svalutiamo e interrompiamo il suo agire, tanto ci appare poco importante. Ciò che inventa egli stesso non ci sembra significativo ai fini dell’esperienza e dell’apprendimento, per cui ci riteniamo autorizzati a dirigere i suoi interessi, a “stimolarlo”.

Stimolare: ecco un verbo aggressivo che contiene il concetto di bambino vuoto che si anima solo quando l’adulto lo dirige, gli insegna, gli fa fare questo o quello. Un verbo che ha inquinato tutta l’educazione occidentale in nome dell’efficienza. I più piccoli che non hanno ancora la parola ci sembrano i più difficili da capire. Quando inizia a emergere questa loro voglia di agire, di sperimentare?

Un lattante che succhia dal seno della madre, afferra con la bocca il capezzolo e lascia andare, lo prende ancora, succhia e la guarda. Il suo piccolo corpo sembra partecipare tutto a quel piacere, a quel grande conforto. Oppure un bambino di 4 o 5 mesi che ha appena scoperto le sue mani: le muove, ruota le dita e intanto le guarda con molta partecipazione. Qualcuno lo interrompe e gli mette un sonaglio fra le mani, ma lui lo lascia cadere e riprende la contemplazione di quei piccoli movimenti.

Si dice dei bambini che “non stanno mai fermi”: in effetti non possono, non devono. Guardare, ascoltare, muoversi, afferrare un oggetto, tutto è esplorazione, un fare che dà consapevolezza e piacere, meraviglia della scoperta e conferma delle proprie acquisite capacità, bisogno insaziabile di conoscere, di sperimentare, di sbagliare per rifare bene.

Noi, gelidi descrittori, siamo ciechi, indifferenti o peggio, svalutiamo le attività naturali dei bambini. Ci sembrano assurde, improduttive e invece ci dicono tante cose di lui e di lei, di come si arrangino a usare con intelligenza ciò che gli serve per capire il mondo e al tempo stesso – nel loro fare/disfare – trovare appagamento e rassicurazione.

Queste forme di gioco spontaneo che a noi paiono una perdita di tempo e come tale le trattiamo, coincidono con il vivere e con il crescere per intuire a poco a poco il funzionamento del mondo e il rapporto tra cose e persone, tra oggetti inanimati ed esseri viventi. Noi, genitori ed educatori, lo blocchiamo sistematicamente, “per il suo bene”, interrompendolo, mettendogli nelle mani un stupido computer-giocattolo perché impari per tempo che le azioni umane non sono multiformi e sempre nuove, ma vanno ridotte a premere qualche pulsante.

Oggi purtroppo i nostri bambini giocano sempre meno, spinti sempre più in anticipo a rinunciare all’infanzia: tutto quello che fanno, a casa come a scuola, deve essere produttivo, finalizzato a risultati valutabili. Gli esiti sono disastrosi. Da un lato la tv, elettrodomestico ad altissimo rischio, pessima maestra ormai involgarita oltre misura, che condiziona il pensiero, riduce l’immaginazione producendo passività e stupidità. In definitiva uccide il gioco originario, quel potente strumento di crescita e di creatività che ogni bambino o bambina ha dentro di sé come dono fondamentale fin dalla nascita e che sviluppa – se glielo permettiamo – in modo personalissimo.

Dall’altro, in questa società che traduce tutto in potere d’acquisto, il gioco è diventato didattico (deve sempre insegnare qualcosa) o sportivo (finalizzato a risultati misurabili o alle degenerazioni “tifose”) o anche ozioso, non nel senso nobile dei filosofi classici, ma come fuga dalla responsabilità e dal rischio (gli adulti sono maestri, in questo). Conta la competizione, non più il piacere di giocare, e a quella, fin dai primi anni, vengono spinti figli e allievi, nipoti e ospiti occasionali, trasformati anzitempo in piccoli adulti: imparano precocemente a monetizzare tutto, a mercificare e a mandare a profitto anche le relazioni più significative.

Anticamere del bullismo, come la TV è anticamera della droga: nel vuoto della mente si insinuano richieste fuori tempo e fuori luogo, estremamente pericolose. Difficile porvi rimedio durante la seconda infanzia o, peggio, nell’adolescenza, quando già agli inizi della prima (0-3 anni) il condizionamento è stato così forte.

Un grande educatore come il francese Arno Stern già da anni denuncia la fine precoce e sempre più accentuata dell’infanzia, l’annullamento di quel tempo gratuito in cui tutto si fa per il puro piacere di fare, per riconoscersi nel gioco di un altro o nella storia che si inventa giocando con sassolini e pezzi di legno, con una vecchia scatola o con un sacchetto pieno di ritagli colorati. Questo vale, sostiene Stern, anche per il gusto di tracciare liberamente segni senza che qualcuno cominci a domandare: “Che hai voluto fare?” o anche: “Perché hai fatto il sole viola?”, (e Kandinskj non “osava” cavalli verdi? E Chagall e Picasso?…), pronti a indagare se quel rosso sbaffato di nero o quel comignolo storto indichino sintomi a fini diagnostici. Così anche il gioco splendido delle tracce di colore diventa compito e oggetto di giudizio, di confronto.

Non li ascoltiamo e vogliamo addomesticarli a modo nostro, esplorando (inutilmente) i loro segreti più profondi; in realtà restiamo solo e sempre alla superficie, avendoli però offesi con le nostre intrusioni.

La fine dell’infanzia e del gioco, preannunciata da autori come Neil Postman e Marie Winn che ne leggevano i segnali già evidenti oltre vent’anni fa nelle città americane, eccola puntuale qui da noi. “Di tutti i cambiamenti che hanno alterato la topografia dell’infanzia il più drammatico è stato la scomparsa del gioco infantile”, scriveva la Winn nel 1981, individuando nella sessualità anticipata e nella continua esposizione a scene di crudeltà e di morte l’ingresso nella vita adulta che gratifica i genitori, sentendo i figli “adeguati” all’ambiente. È come se già nella loro mente l’infanzia fosse conclusa: una fase faticosa, obbligante, da lasciare il prima possibile alle spalle.

Quanto agli oggetti – complici gli adulti che schivano ogni possibile conflitto con loro – figli o allievi crescono nella fiera dell’inutile e del possesso fine a se stesso, già orientati a sentirsi più forti solo perché collezionano “roba”, oggetti, merce. Non abbiamo messo già le radici a tutti i mali del mondo che si fondano appunto sul contrasto tra chi ha e chi non ha, su una maggiore o minore sicurezza basata sul possesso, allenando fin dai primi anni alla competizione e alla paura di non farcela?

Lo stillicidio delle cause che sottraggono l’infanzia ai bambini non si esauriscono certo qui: case sempre più piccole, l’erosione crescente di spazi pubblici e liberi, di parchi cittadini sicuri ed esplorabili a vantaggio di piazze e di strade invase dal traffico, la colonizzazione di ogni spazio e di ogni relazione da parte di educatori di professione, per non parlare della velocità che abbiamo impresso ai ritmi della vita quotidiana in famiglia e nelle istituzioni educative…

Discorsi che ci portano lontano e che tuttavia, pensando alla salute dei nostri bambini, non possiamo non tenere presente: la gratuità del gioco infantile va preservata come un bene prioritario per noi e per il futuro della nostra specie, per i bambini sani come per quelli che devono affrontare percorsi di malattie e di sofferenze. Ci sostiene la fede che un bambino è sempre tale e che il gioco offrirà sempre una via di fuga, una possibilità di “salvezza”: anche se inquinato da esperienze di passività, potrà sempre, se sapremo creare un ambiente libero e relazioni più limpide, riaffiorare con la sua forza rigeneratrice e il bambino riscoprirne, con una sorta di reminiscenza atavica, il piacere vitale.
(da Il barrito del Mammut, n. 2, gennaio 2009‏)

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Il bambino è il suo corpo
di Marina Massenz

E’ con il corpo che il bambino conosce, comunica, apprende. Se pensiamo a un bambino di 2 anni, ad esempio, possiamo cogliere subito come le nuove capacità di spostamento autonomo lo portino a esplorare e scoprire parti nuove del mondo; la conoscenza è motoria, tattile, visiva, uditiva. Intorno a queste informazioni, che arrivano al corpo e dal corpo partono, il bambino costruisce le sue competenze cognitive.

Pensiamo a un bambino che, dall’alto del suo seggiolone, getta ripetutamente a terra il cucchiaio e attende che la mamma glielo raccolga; una volta di nuovo nelle sue mani questo oggetto, egli lo stringe, per poi nuovamente allargare il braccio in fuori e aprire il palmo, mentre la madre grida: “No… eh… basta!”. Ma di nuovo si china a raccogliere il cucchiaio, lo porge al bambino e gli dice, in modo affettuosamente severo, guardandolo bene in viso: “… questa è l’ultima volta! Adesso mangia!”.

Questa scenetta, del tutto simile a tante altre a cui abbiamo assistito, è veramente ricca, a mio parere, di elementi che ci aiutano a capire l’affermazione da cui sono partita. Per il bambino si intrecciano in questa azione ripetuta un gran numero di scoperte interessanti; quelle riguardanti il suo corpo, la mano che stringe e lascia l’oggetto, quelle di causa-effetto (quando lascia la presa, l’oggetto cade), quelle che riguardano lo spazio (l’alto, dove sta lui, il basso, il suolo su cui vede cadere il cucchiaio) e, non ultime, quelle relative alla relazione tra lui e la madre (o chi in quel momento sta curando il suo pranzo).

L’azione del bambino ha un effetto anche sull’adulto, che lo guarda, gli parla, gli sorride o fa lo sguardo severo, raccoglie l’oggetto, glielo porge; in questa sequenza interattiva il piccolo sperimenta la sua possibilità di ottenere l’attenzione, di avere una risposta al suo gesto, di entrare in una comunicazione affettiva, che si sviluppa su diversi registri contemporaneamente (verbale, mimico, gestuale, posturale, dello sguardo…) e la cui tonalità affettiva egli impara a decodificare (se più giocosa o severa, irritata o serena, frettolosa o calma, ecc.).

Una semplice azione corporea fornisce al bambino un tesoro di saperi, di esperienze, di interessanti scoperte sul mondo e su di sé. C’è infatti in gioco anche questo piccolo “Io corporeo” che, sperimentando il potere di ottenere degli effetti sul mondo, sulle persone che lo circondano, si riconosce come centro motore di tutta questa sequenza di avvenimenti; si conferma quindi come “Io”, esistente, riconosciuto come tale dalle risposte, dagli sguardi, dalle azioni che l’ambiente intorno a lui gli restituisce.

E’ quindi con il corpo che il bambino si esprime e comunica, manifesta il suo piacere, le sue emozioni, i desideri, ma anche il suo disagio, il suo malessere, la sofferenza; a questo tipo di comunicazione credo che gli adulti debbano essere attenti e preparati, capaci di coglierla e accoglierla.

Penso ora alla situazione attuale, che vede sempre più diffondersi nell’età evolutiva un tipo di disagio espresso in modo psicomotorio; mi riferisco in particolare ai disturbi come l’instabilità, l’iperattività, il deficit d’attenzione… disturbi che rendono sempre più difficile gestire una classe, insegnare. Quel caldo e calmo clima d’attenzione, così fondamentale per l’apprendimento, è sempre più raro da trovare e difficile da costruire nelle classi. Ancora una volta i bambini ci stanno parlando, così, del loro disagio nello stare in questo mondo, questo che noi adulti diamo spesso per scontato, e che non è “a misura di bambino”.

L’assenza del corpo, il disagio del corpo
Mi piace ricordare un libro del 1974, A scuola con il corpo (del Movimento di cooperazione educativa), perché c’è stato un momento in cui il corpo del bambino è stato considerato e tenuto presente, è stato anche al centro di progetti educativi molto validi che comprendevano un “essere soggetto” a scuola anche con il corpo. Non solo la motricità, la psicomotricità quindi, ma anche il bisogno espressivo, comunicativo, e anche quello di “imparare attraverso il corpo”, riportando al centro dell’apprendimento il fare attivo del bambino, diversamente coniugato a seconda del livello evolutivo.

Dov’è e come sta il corpo del bambino nella scuola, oggi?

E’ un corpo prevalentemente da contenere, regolare, educare: non viene utilizzato come risorsa né rispettato nei suoi bisogni (ad esempio quelli di movimento…). E’ un corpo che si ribella con l’agitazione, la turbolenza, il movimento continuo o che, al contrario, è apatico, spento, ipotonico; si oscilla tra le due opposte polarità, l’inibizione e l’ipercinesia.

Dov’è e come sta il corpo del bambino nel suo tempo libero, oggi?
Provocatoriamente vorrei dire che non esiste più un “tempo libero per il corpo; infatti vediamo i bambini e i loro genitori affannati a rincorrere mille attività pomeridiane (spesso sportive…) e poi stremati abbattersi sul divano a vedere la TV o giocare con la play-station.

Apparentemente c’è tutto; movimento, riposo, ma se andiamo a guardare bene dentro a questo “tempo libero”, cosa manca? Manca il tempo del gioco libero e spontaneo, solitario o con gli altri; quel tempo fondamentale, perché libero da una precisa finalizzazione, in cui è possibile interiorizzare, rielaborare, rivivere (magari nel gioco simbolico) le mille esperienze che ogni giorno il bambino fa, le emozioni degli incontri, le difficoltà dei conflitti.

Questo tempo libero, o liberato, è quello che manca anche per sviluppare le proprie capacità psicomotorie, che necessitano di una sperimentazione libera, di una motivazione interna, del confronto con un ambiente esterno non richiedente nuove competenze, ma disposto a lasciar agire una manifestazione di sé espressiva, esplorativa, corporea.

Il tempo del “corso” (qualsiasi sia il contenuto) è quasi sempre privo di questa libertà; lì si deve apprendere, ancora, qualcosa… Il bambino è di nuovo un contenitore passivo di informazioni e addestramenti, magari anche piacevoli, ma che non lo sollevano, non lo rigenerano.Alla fine, iper-stimolato, può solo lasciarsi andare davanti alla TV.

Il gioco è invece un’attività che richiede, oltre un tempo davvero libero, anche energia, fisica e psichica: energia per rielaborare (equilibrazione psico-emotiva), energia per scoprire il proprio corpo, conoscerne le possibilità, misurandosi in condizioni naturali di gioco motorio, energia per giocare con gli altri in contesti non regolamentati dall’adulto e apprendere con l’esperienza l’auto-regolazione nella relazione con i pari.

Dov’è e come sta il corpo del bambino nella città? E in quale dimensione temporale? Il problema fondamentale, anzi oserei dire il conflitto fondamentale, che si gioca oggi tra adulto e bambino, è proprio quello sul tempo; il modello adulto che “non ha mai tempo” tende ad “adultizzare” il bambino, proponendogli di pre-correre i tempi, imparando di tutto e il più in fretta possibile. I bambini oppongono, a modo loro, una testarda resistenza; “tra poco, non ho finito di giocare, sto ancora mangiando, non voglio camminare così in fretta, voglio il gelato…”. Tentano di rallentare il rallentabile, e quando proprio non ne possono più fanno quei “capricci incomprensibili” che i genitori spesso non riescono a interpretare.

Lo spazio della città poi non è per i bambini; è costruito intorno al soggetto adulto lavoratore. Per lui sono pensate le strade, le piazze, i caffè, i mezzi di trasporto, le case. Il bambino viene sempre “portato” da una parte all’altra della città da adulti protettivi e indaffarati.

Non c’è spazio per la sua autonomia, per un personale conoscere e sperimentare il luogo in cui si vive, la strada, il quartiere. Problemi di sicurezza, certo, ma anche un pensiero che manca, quel pensiero capace magari di progettare luoghi protetti per il gioco libero, percorsi sorvegliati per andare e tornare da scuola, zone per l’esplorazione e la scoperta non solo della città, ma anche della natura che la circonda. Lo spazio di vita, per la conquista progressiva dell’autonomia, deve infatti poter essere anche quello sociale, territoriale. I problemi di dipendenza/indipendenza tra genitori e figli si giocano anche su questi piani.

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Per saperne di più
Arno Stern, Felice come un bambino che dipinge, Armando 2006
Marie Winn, Bambini senza infanzia. Cosa ne è dell’innocenza dell’infanzia, Armando 2002
Emy Pikler, Per una crescita libera, Emme edizioni 1980 e Datemi tempo, Red 1996
Alice Miller, La persecuzione del bambino, Bollati Boringhieri 1987
Neil Postman, La scomparsa dell’infanzia, Armando 1984

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I bambini e le città

Oggi più che mai i processi e le modalità di socializzazione e di aggregazione tra bambini, ragazzi e adolescenti, stanno subendo profonde trasformazioni, dovute a diversi cambiamenti sociali che investono in primis la comunicazione mediata dalle nuove tecnologie (sms, mms, instant-messanging, blog, personal account su social network come Facebook, MySpace, Twitter). È diventato infatti quasi fisiologico sia per il bambino che per l’adolescente sentire la necessità di appartenere ad una comunità e di entrare a far parte di un gruppo, di riunirsi, di aggregarsi in community, in cui poter incontrare i propri amici.

Il mondo virtuale si è così trasformato in un luogo di ritrovo che si contrappone e in parte sostituisce gli spazi urbani della moderna città, sempre meno attraente e meno stimolante.

Tutto questo è da leggere come il risultato di una globalizzazione che si rispecchia nel fenomeno dello urban sprawl (città diffusa o dispersione urbana) capace di generare, soprattutto nei minori, sentimenti di confusione e alienazione, i quali di certo, non contribuiscono alla costruzione dei processi di crescita e di aggregazione necessari per i ragazzi.
(Eurispes, 10° Rapporto nazionale sull’infanzia e l’adolescenza)

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E c’è anche questa infanzia negata

Non sono tutti felici e viziati i piccoli del Belpaese, anzi, si stima che quelli in condizioni di povertà siano 1.728.000 (il 61,2 per cento dei quali ha meno di 11 anni). A rivelarlo stavolta è il Rapporto sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia.

Inoltre nel mondo sono 130 milioni i bambini che non sono mai entrati in un’aula scolastica, 100 milioni quelli che vivono in strada, 700 mila i contagiati dall’Aids soltanto nel 2003, 1 milione i piccoli introdotti ogni anno nel commercio sessuale, 300 mila i bambini soldato, 250 milioni quelli che lavorano, tra 8 mila e 13 mila le vittime delle mine antiuomo, oltre 1 milione i minori oggetto di traffico per scopi illeciti.

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L’occhio del Lupo
Con un curriculum come il suo!

Avremo l’anagrafe degli insegnanti. Laurea abilitazione esperienze pubblicazioni opinioni politiche e capriccetti sessuali. Non si sa se la coda alla vaccinara costituirà un titolo di merito, probabilmente solo dalle parti di Roma, e Giorgio Morale farà bene a restarsene a Milano se il piatto non è di suo gusto.

Naturalmente, diversi punti in più se li guadagneranno gli insegnanti dotati di temperamento ottimista e buon carattere, ché i pargoli bisogna divertirli, altrimenti la scuola non funziona no che non funziona.

Sarà una sfida all’ultimo sangue, Lucia Tosi è avvertita. Pestifera de che? Con chi ce l’hai, professoressa che non sei altro? Il ministro lo ha detto a chiare lettere – la vocina un po’ querula, è vero, ma è understatement – ha detto che loro la riforma l’hanno fatta, adesso tocca agli insegnanti “raccogliere la sfida” e rimboccarsi le maniche. Perciò.

Solo che non sappiamo ancora se l’anagrafe con la documentazione dei curricula salirà fin sulle vette delle gerarchie, dai dirigenti ai principali funzionari di viale Trastevere, sino al ministro in persona. Con un curriculum come il suo, vorranno tutti venire a studiare da noi, europei cinesi marziani. E capire come si fa – a diventare ministri, s’intende.
(michele lupo)

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La settimana scolastica
di Francesco Accattoli

Caro precario, io penso che non valga la pena di lamentarsi, forse è giunto il momento di rivoltarsi” suggerisce Nichi Vendola in un messaggio affidato a Youtube e ripreso da l’Unità. L’intervento di Vendola in poco più di quattro minuti attraversa con lucidità il dramma del precariato e si pone come sommario ad una settimana densa di cortei, proteste di piazza ed iniziative.

Lunedì 11 ottobre Repubblica.tv pubblicava le immagini – il solito video amatoriale girato con un telefonino – della repressione da parte della Polizia di Stato dello sciopero organizzato dagli studenti del Liceo Umberto I di Palermo sabato 9 ottobre: le immagini mostrano ragazzi a terra mentre vengono ammanettati, confusione e tensione, la cronaca parla di tre ragazzi arrestati e poi rilasciati ed una dinamica degli eventi ancora tutta da chiarire.

C’è anche Catania a fare da scenario per un’altra protesta, questa volta dei docenti e del personale ATA, scesi in piazza per protestare contro uno stillicidio di posti di lavoro tagliati: secondo i sindacati ammontano a 2.521 per gli insegnanti e a 162 posti per gli ATA.

Sabato 16 ottobre è stata la volta della grande mobilitazione FIOM a Roma, cui si sono uniti in segno di solidarietà anche i docenti della FLC e ReteScuole, per costruire un percorso comune in difesa dei diritti.

Venerdì 15 ottobre sciopero indetto dai COBAS: nella Capitale, secondo il sindacato, sono sfilati il 30% dei lavoratori per quella che il portavoce nazionale COBAS Piero Bernocchi ha definito “davvero una giornata importante nella lotta per difendere quel bene comune cruciale che è la scuola pubblica di tutti/e e per tutti/e”, una manifestazione che a Napoli ha potuto contare sull’appoggio degli operai della Fiat di Pomigliano e a l’Aquila di oltre 200 tra studenti e docenti che hanno protestato davanti la sede della Giunta Regionale. Da Viale Trastevere hanno subito ridimensionato l’iniziativa nazionale: secondo il Ministero dell’Istruzione, le adesioni non superano il 3,1% dei lavoratori.

Proteste e cortei anche ad Adro, dove i COBAS hanno portato il loro sostegno ai docenti e agli ATA del Polo Scolastico Gianfranco Miglio, in favore di colleghi che secondo Piero Bernocchi “coraggiosamente hanno fatto quello che nessuna autorità pubblica si è accollata, e cioè porre fine all’esproprio di una scuola da parte di una fazione politica”.

Già, perché proprio in settimana il DS della scuola di Adro Gianluigi Cadei aveva annunciato la decisione di procedere alla rimozione dei 700 simboli del “sole delle Alpi” presenti nell’istituto. Non sono tardate le dichiarazioni del sindaco Lancini, pronto a rincarare la dose “se i simboli vengono rimossi dalla scuola, parte prima la denuncia e poi procedo al ripristino immediato. La volontà dell’ amministrazione comunale deve essere rispettata”.

Sul fronte del precariato, la settimana che è appena terminata si segnala per due interventi in rete che riguardano indennità di disoccupazione e pensioni. La prof.ssa Sandra Crisafulli presidente del CIP di Messina porta alla luce una preoccupante anomalia del sistema di pagamento dell’indennità di disoccupazione al personale della scuola inserito nel cosiddetto decreto “salva precari”, spiegando nel dettaglio le ragioni per le quali l’INPS ha ritenuto di offrire un trattamento diverso a quei docenti a tempo determinato che si sono avvalsi del “salvagente” lanciato in extremis dal Ministero dell’Istruzione.

Per quanto riguarda le pensioni, siamo alla solita gaffe tutta italiana: con una dichiarazione spericolata dello scorso 6 ottobre il presidente dell’INPS Mastropasqua, dopo aver annunciato l’invio di 4 milioni di lettere ai lavoratori parasubordinati per spiegare come consultare on line la propria posizione previdenziale, ha ribadito che agli stessi precari non sarebbe riuscito però di accedere alla simulazione del conteggio della propria pensione, in quanto ha aggiunto “se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”.

La notizia è rimbalzata sul web creando uno strascico di proteste e di amare riflessioni, come quella di Ilaria Lani, responsabile nazionale coordinatrice delle politiche giovanili della CGIL che dalle pagine del Fatto Quotidiano ha commentato “il timore è che questa dichiarazione abbia paradossalmente incentivato il lavoro nero, mentre i giovani dovrebbero essere più interessati a conoscere la loro realtà contributiva”. La realtà che allo stato delle cose il 26% del loro stipendio dei precari – cita il Fatto Quotidiano – serve a pagare la previdenza per nonni e genitori e non a fare cassa per il loro futuro. Una analisi che naturalmente per essere completa andrebbe integrata con un’analisi dei discussi fondi pensionistici di categoria. Inoltre, al fine del riconoscimento degli scatti di anzianità per i precari della scuola, nell’ultimo anno si è mossa la CGIL con un’iniziativa mirata al rispetto della dignità dei lavoratori a tempo determinato.

Stando a quello che arriva da oltralpe in questi giorni, anche per i lavoratori francesi le scelte del Governo in tema di pensioni non sono accettabili: cortei e manifestazioni in tutta Francia hanno testimoniato la contrarietà del mondo del lavoro, soprattutto quello precario, alla politica sullo stato sociale (Liberation, Le Monde , il Megafono Quotidiano).

Se gli edifici scolastici italiani hanno avuto in gran segreto un piccolo emolumento – una “legge mancia” per Salvo Intravaia di la Repubblica – da parte del Governo per rifarsi il trucco, senza che ovviamente venissero specificate priorità, destinazioni e criteri di assegnazione dei contributi, le casse del Ministero delle Finanze hanno detto no all’attuazione della riforma dell’Università: mancanza di fondi soprattutto per i ricercatori. Stando all’evoluzione degli eventi, l’iter della riforma si sarebbe bloccato proprio nel tentativo di ricucire lo strappo creato dalla protesta dei ricercatori che, come abbiamo raccontato la settimana scorsa, hanno di fatto bloccato le lezioni. Si parla di una Gelmini furiosa per le scelte del collega Tremonti, mentre Umberto Bossi dichiara che “quando le cose arrivano a Tremonti se non ci sono i soldi tutto finisce lì. O diamo i soldi all’università o alle bombe per gli aerei, io preferisco la ricerca”; per l’Unione degli Studenti “questo governo è precario quanto noi, dimissioni della Gelmini subito”. E infatti le proteste contro la “riforma” dell’Università non tendono a placarsi, nonostante il rinvio in aula del testo per assenza di copertura finanziaria.

Prima di concludere segnaliamo un interessante intervento di Gabriele Boselli sulla cosiddetta riforma “epocale” apparso in settimana su Scuolaoggi.org dal titolo “Riforma epocale o ristrutturazione?”.

Mancano i soldi per l’università, mancano i soldi per la carta igienica e per i gessi, mancano le sedie, i banchi, i docenti e gli ATA, ma per qualcuno la più grande mancanza che si sente è quella del latino alle elementari: rudimenti della lingua latina già alle elementari! Lo propone Laura Marsilio, assessore comunale alla Scuola del Comune di Roma: “una cultura che si deve recuperare”, soprattutto dopo i danni della legge 348 del 1977, che ha di fatto sancito la scomparsa della lingua di Cicerone dai banchi delle scuole medie. Ipsa dixit.

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Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.

Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.

Guide alla scuola della Gelmini qui.

Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.

Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.

Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.

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Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.

Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.

Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Cub.

Spazi in rete sulla scuola qui.

(Vivalascuola è curata da Francesco Accattoli, Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)



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