Può essere utile chiarire le premesse del dibattito. Basandosi su una gran mole di dati, De Michele sostiene nel suo libro un’idea meno pessimistica di quella abitualmente circolante sulla scuola italiana: non è vero che gli insegnanti italiani sono troppi; non è vero che nelle scuole italiane c’è più bullismo che nel resto d’Europa, anzi la scuola è lo strumento più efficace per il recupero dei bulli; non sono attendibili i dati OCSE sulle scuole superiori, perché gli studenti europei cominciano le superiori un anno prima e hanno conoscenze non comparabili con quelle dei nostri studenti; ecc. Ne viene fuori un’appassionata difesa della scuola pubblica.
07.11.2010
Gentile professore,
grazie per il contatto. Ho letto il suo libro segnalatomi da un’insegnante che condivide il suo pensiero e che forse ha cercato di convincermi tramite lei. Sono rimasto sbalordito per la documentazione da lei analizzata e per la chiarezza del suo pensiero.
Un’altra cosa che mi ha colpito è che lei legge i dati che fornisce sempre nel modo contrario in cui li leggo io (sono più “destra”, credo).
La tesi del complotto per far sembrare una buona scuola come una pessima scuola è suggestiva, ma non riesce e convincermi. Io sono di Udine e vedo da qui un’Italia che va male, non bene.
Le ho premesso queste brevi righe per dirle che non la penso come lei e che, pur non facendo parte dei suoi peggiori nemici, appartengo a quell’area di opinione che “disperatamente” vota Pd, ma che verso ciò che è a sinistra del Pd nutre solo timore. Timore da lei rafforzato.
Le faccio alcune domande a cui il libro non risponde e a cui anche lei ovviamente può non rispondere. Lei mi incuriosisce veramente. Però vorrei capire.
A presto,
Stefano Stefanel
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08.11.2010
Gentile dottor Stefanel,
non sono così sicuro che il libro non risponda alle domande che Lei mi pone: in ogni caso, Le risponderò sulla base delle conoscenza che ho messo in gioco in questo libro.
La saluto, e mi auguro di poter presentare nella sua città il libro, per dibattere de visu con Lei.
Girolamo De Michele
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D. Se la scuola italiana è così buona e lavora bene da anni come mai in Italia ci sono tanti analfabeti di ritorno, tanti revisionisti, tanti berlusconiani, tanti imbecilli che si riempiono la bocca di luoghi comuni: dove hanno fatto le scuole quelli?
R. L’errore del suo ragionamento è di presupporre che solo la scuola educa. Come ho cercato di argomentare, è l’intera società che educa, e lo fa anche attraverso quello che consideriamo erroneamente la negazione dell’istruzione, e cioè l’analfabetismo: in altri termini, esiste anche una cultura analfabeta.
Veniamo all’analfabetismo di ritorno, che è il problema più grave. La scuola italiana è stata lasciata in mezzo al guado, tra una riva rappresentata dal nozionismo ed un’altra rappresentata dalla scuola delle competenze e delle capacità (mi perdoni se uso anch’io questo lessico, ma spero che mi capirà): ci sono state alcune “buone azioni”, come direbbe De Mauro, cioè alcuni interventi mirati – primo tra tutti l’autonomia, che hanno prodotto risultati parziali proprio perché non hanno trovato il raccordo con un disegno complessivo. Le scuole sono state lasciate libere di innovarsi, ma il quadro di riferimento è rimasto immutato.
Lo stesso può dirsi per la riforma dell’Esame di Stato, che aveva un senso solo a condizione di veicolare una nuova didattica: è inutile prevedere percorsi pluridisciplinari, se i consigli di classe non praticano l’interdisciplinarietà e non progettato percorsi condivisi; ma le condizioni di lavoro, dal ministero Moratti in poi (Fioroni compreso) non lo hanno reso possibile. Se io progetto una didattica che contempla l’organico funzionale, e poi non ho l’organico funzionale, quella didattica va a farsi benedire, e i percorsi diventato “tesine”. E quindi ci ritroviamo una scuola che fa a metà il proprio dovere.
Dalla fine della scuola in poi, subentrano una serie di problemi che con la scuola obbligatoria e quella secondaria non c’entrano più: mancanza di un ordine di studi post-liceale non universitario (diversamente da molte esperienze europee); fallimento della riforma universitaria, sulla quale ci sarebbe molto da dire, ma che esula dai nostri temi; mancanza di un percorso post-universitario di eccellenza, come potrebbero essere delle Scuole di Alti Studi, sul modello francese (credo che converrà con me sul fatto che i dottorati e i post dottorati non sono nulla di tutto ciò); mancanza di reali percorsi di educazione permanente nella società; mancanza di strutture di base (biblioteche, librerie, ecc.) nelle città e nei paesi.
Se mi perdona l’ennesimo paragone calcistico (Le assicuro che non seguo il calcio, ma a furia di usarlo per farmi capire mi viene spontaneo), è come avere un vivaio che prepara dei buoni giocatori, e non avere una squadra ben organizzata in cui inserirli: Lei darebbe la colpa all’allenatore delle giovanili? Io no.
Infine, Lei sembra sovrapporre la scuola odierna a quella del passato: io ho quasi cinquant’anni, e quando mi sono laureato, nel 1980, circa la metà dei miei coetanei non arrivavano al diploma. Non dimentichi, quindi, che la base di partenza della società italiana è un livello di istruzione piuttosto basso: cosa che andava forse bene negli anni Sessanta, quando la licenza media era un traguardo accettabile per orientarsi nella società, ma non nella società complessa.
Quanto agli (cito) “imbecilli che si riempiono la bocca di luoghi comuni”, non li sottovaluti: nella maggior parte dei casi non sono affatto privi di istruzione, violano le regole della buon argomentazione perché hanno studiato i trucchi retorici. Lei definirebbe l’avvocato Taormina un incolto? No di certo. Eppure io posso dimostrarle che in certe sue affermazioni venivano violate almeno due regole della logica: io non credo lo facesse per ignoranza. In ogni manuale di logica (io l’ho insegnata, come sa) c’è il capitolo sulle fallacie: e purtroppo tutto ciò che serve per dire la verità serve anche per mentire.
D. Perché se la scuola è così buona come dice lei i nostri giovani diplomati o laureati non sono competitivi (rispetto agli indiani e ai cinesi, ecc.)?
R. Le cito un dato che ho appreso solo di recente: secondo Luca Serianni, della cui competenza sulla lingua italiana possiamo essere, io credo, certi, la tanto conclamata scomparsa del congiuntivo e del periodo ipotetico è un effetto percepito: le ricorrenze linguistiche ci dicono che in realtà l’uso del congiuntivo non è affatto in crisi. Le cito questo esempio per darle una prima risposta: la mancanza di competitività andrebbe analizzata in relazione alle specifiche competenze.
Vengo al merito della sua questione. In primo luogo, non è del tutto vero che i nostri giovani laureati non sono competitivi: i dati sui “cervelli in fuga” sembrano dirci il contrario. Questo per dirle che io, che insegno filosofia, non ho mai scoraggiato un bravo studente in filosofia a seguire un percorso scientifico, ma ho sempre cercato di indirizzarli verso l’Europa. In Italia un quarantenne è ancora a portare la borsa al proprio barone, nei paesi scandinavi a 25 anni è già in cattedra, com’è giusto che sia, perché è quella l’età in cui la mente è più agile.
Ma non sono così ingenuo da non vedere il vero problema: la matematica. I nostri studenti tengono il passo con i loro colleghi finché si tratta di usare la memoria per individuare e applicare una regola nota (questo ci dicono i test, e i miei colleghi matematici, alcuni dei quali sono impegnati nell’elaborazione di nuove didattiche, me lo confermano): vanno in crisi quando si tratta di fare un uso creativo della materia, quando si tratta di mettere in gioco non la memoria, ma la logica.
Queste carenze non sono limitate alla singola disciplina, ma sono sistemiche: per dirlo con una apparente banalità (che ho empiricamente comprovato nel corso della mia esperienza didattica), se uno studente segue un buon corso di analisi logica, non solo sarà bravo nelle materie letterarie, ma anche in quelle logico-matematiche. È per questo che ho riportato nel libro un esempio di didattica interdisciplinare latino-matematica (e conosco colleghi che l’hanno praticata, senza conoscere la relazione che cito).
Infine, già che Lei cita l’India, le ricordo che sui quotidiani indiani la striscia dei fumetti è stata sostituita da problemi matematici, su richiesta dei lettori. Lo studente indiano continua ad apprendere anche quando esce da scuola, va a casa e apre il giornale. La scuola italiana che supporto educativo ha dalla stampa, dalla televisione?
D. Perché tutto il mondo assume per merito o cerca di farlo e noi lo facciamo con le graduatorie permanenti?
R. Mi perdoni il formalismo: sono molto scettico sull’espressione “tutto il mondo”. Non so se è vero, e non sono convinto che se la maggior parte dei paesi fa in un certo modo sia giusto fare come loro. Nella maggior parte dei paesi non c’è una cosa come lo Statuto dei lavoratori, e io sono convinto che abbiamo ragione noi. Nella quasi totalità delle scuole di base non c’è qualcosa di paragonabile ai moduli delle elementari, ma sono loro a sbagliare, perché le nostre elementari sopravanzano quasi tutti i paesi europei.
In ogni caso, io aspetto che qualcuno mi dia un concreto esempio di come si può valutare il merito dell’insegnante, e mi dimostri che si può fare: a quel punto ne discuterò senza preclusioni. Il discorso sul merito è come il taglio delle spese inutili e la diminuzione delle tasse: tutti li enunciano, ma nessuno dice mai quali spese inutili bisogna tagliare e quali tasse bisogna diminuire.
Proprio in questi giorni si apprende che nelle scuole parificate aderenti all’AGIDAE verrà introdotto un criterio di valutazione a punti per gli insegnanti. Una parte del compenso si configurerà quindi come “incentivo economico di produttività”. Vado a leggere i criteri per l’attribuzione dei punti-premio, e ci trovo la frequenza a corsi di aggiornamento e formazione. Un mio amico precario, che non ha avuto la nomina annuale, mi ha detto di essersi iscritto a un master costoso e di fatto inutile, che però gli permetterà di acquisire punti in graduatoria. Quale morale trae lei da questi due eventi concomitanti?
Ci lamentiamo (giustamente) di un meccanismo premiale che incentiva la creazione di aggiornamenti farlocchi per le graduatorie delle supplenze, e poi lo stesso meccanismo lo ritroviamo nel concreto caso-pilota di una “valutazione per merito”? E a me, come insegnante, chi me lo farà fare di lavorare ai progetti scolastici per 15 euro lordi all’ora, quando potrei trovare facilmente (le assicuro che ho un curriculum scientifico di tutto rispetto) un posto come formatore in uno di questi corsi sugli asparagi e l’immortalità dell’anima?
D. Cosa c’entra l’insegnamento da precario con l’acquisizione di punteggi per entrare il ruolo in una società della conoscenza competitiva?
R. Lei è convinto che la selezione per merito premi davvero le menti più creative? In molti tipi di test l’imbecille con una memoria enciclopedica prende un punteggio più alto di chi ha una mente versatile. Quanto al precariato, l’acquisizione del punteggio è conseguente all’esercizio della professione, e nessuno mi toglie dalla testa (anche perché me lo ha insegnato un suo ex collega ora in pensione, che è una stella polare nella mia formazione di insegnante) che è nell’acqua alta che si impara a nuotare. Un precario con un alto punteggio ha un’esperienza didattica di lungo corso, molto più ampia dei diplomati delle SSIS. Infine: la conoscenza competitiva è uno dei peggiori problemi della società globale, perché induce al pensiero quantitativo e a breve termine, a danno del pensiero creativo e a lungo respiro. Io credo che la scuola debba combattere le storture cognitive, non adeguarsi ad esse.
D. Perché pensa che le categorie che lei vuole tagliare accetterebbero volentieri di diventare disoccupate a favore dei precari della scuola?
R. In primo luogo, io faccio un discorso di utilità sociale: alla società servono più educatori e insegnanti, o più piloti in grado di lanciare l’atomica su Mosca? È più utile tutelare i lavoratori italiani, o gli interessi di multinazionali quali la Microsoft e il gruppo Carlyle? E poi è così sicuro che io voglia tagliare posti di lavoro?
I militari che non sono in condizione di prepensionamento io chiedo vengano assunti dalla protezione civile: loro non perdono il posto, i costi diminuiscono, e l’Italia è un po’ più sicura. I lavoratori che saranno impiegati nella costruzione del ponte sullo stretto di Messina possono essere impiegati in opere di maggiore utilità e di minore costo. Quanto ai lavoratori nelle scuole private, vorrà dire che queste scuole dovranno aumenteranno le rette, riportandole ai livelli precedenti i buoni-pasto, i buoni-famiglia e altri trucchi contabili. E saranno incentivate a fornire, una volta per tutte, una didattica di qualità.
Ma, se va a vedere bene, le mie proposte (che non sono certo “mie” per invenzione, e che in Italia sono fatte proprie solo da una parte della sinistra radicale: ma Sarkozy le ha riprese pari pari, non certo da me) sullo stimolo dell’economia attraverso la riduzione delle rendite in favore della detassazione dei profitti dovrebbero far aumentare, e non diminuire, i posti di lavoro.
Guardi che non sono proposte particolarmente sovversive: è Keynes, del quale lo scorso anno ho riletto con profitto alcuni scritti su come fronteggiare le crisi economiche. Le sembrerà che io stia divagando, ma in realtà sto facendo i conti, grazie alle sue sollecitazioni, con l’egemonia liberista nella nostra università, e con la scomparsa di Keynes dai curricula non dico della destra liberale, ma della stessa sinistra riformista: quante volte, per dire, Lei ha sentito citare Federico Caffè? E questo è un concreto deficit di conoscenza e di competenza, che si riflette nella pratica dei nostri governanti.
Questo mi porta al timore che Lei nutre per la sinistra radicale, qualunque cosa essa significhi. Ha ragione, non sono un elettore del PD, e sono molto più a sinistra di quel partito. Ma sono abituato a ragionare sul concreto, e Le chiedo: perché per ritrovare Keynes in Italia bisogna leggere un libro (che Le consiglio vivamente) come Crisi dell’economia globale (Ombre Corte, Verona, 2009), che è senz’altro un testo radicale? Perché per sentir dire che l’istruzione, l’acqua, l’ambiente sono dei beni comuni bisogna spostarsi molto a sinistra? Non dovrebbe essere la sinistra riformista a far propri questi principi?
Ammettiamo che io voglia valutare l’ipotesi di votare il suo partito: qual è la novità, la cesura rispetto all’attuale governo, sulla scuola? Se il tema dei beni comuni è la differenza non tra destra e centro-sinistra, ma tra una sinistra moderata e una radicale (com’è stato in Puglia: se Boccia avesse vinto le primarie e le elezioni regionali, la regione Puglia avrebbe privatizzato l’acqua in favore dell’ACEA di Caltagirone), questo non dovrebbe preoccupare Lei, che è un moderato?
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08.11.2010
Gentile prof.,
è molto gentile anche lei. Mi pare si sia divertito a rispondermi e dunque insisto. [...]
So bene che anche la società educa, ma lei comunque fa la nostra scuola molto migliore di quello che è. Il passaggio dalla primaria alla secondaria è drammatico, ma su questo nessuno si interroga (classi di concorso contro organico funzionale: mica un’idea della Gelmini). Io sono dirigente anche di Infanzia e Primaria e ci sono forti scricchiolii anche lì. Solo una cosa però la scuola primaria fa di veramente grave: spossa i mediocri e i “disgraziati” che esauriscono la loro scorta di attenzione, spazio mnemonico, voglia fare, ecc. (aggiunga lei) e si presentano belli e pronti a 11 anni per la dispersione. Poi la media affonda lì i suoi dentini affilati.
Solo tre domande:
- è possibile che tutto il mondo abbia torto e noi ragione (ma questo la sinistra lo pensa da sempre), ma questo non ci rende più competitivi: io e lei siamo a tempo indeterminato, mio figlio no;
- ma davvero secondo lei i nostri insegnanti sono come categoria preparati, attenti, attivi? Io dico 25% massimo è così; 15% da licenziare ieri; il resto mediocrino da formare;
- sul precariato ho idee piuttosto “chiare e distinte” (mi perdona?) ed è vero che lo sono stato poco [...], ma credo che la stabilizzazione di 200.000 persone oggi sarebbe la fine delle possibilità innovative dell’Italia; può darsi che i concorsi siano una stronzata (difficile però che lo ammetta uno che li vince sempre), ma l’anzianità è la morte della qualità. Il problema è che a scuola si impara proprio nuotando.
Veda lei,
St.
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14.11.2010
Gentile dott. Stefanel,
scusandomi per il ritardo, rispondo alle ultime tre domande. Può darsi che io veda le cose più rosee di come sono in realtà, ma dopo un paio di anni passati ad almanaccare dati e rapporti credo di essermi fatto un’idea piuttosto verosimile.
La saluto nuovamente
G.D.M.
In primo luogo, non è vero che io penso che noi abbiamo sempre ragione e il modo torto, e francamente di quel che pensa la sinistra (quale, poi?) non me ne cale un granché: come le ho già detto, io sto ai fatti. Come dovrebbe aver appreso dal libro, io penso che siamo noi a sbagliare, e tutto il resto del mondo (o una buona parte di esso) nel giusto, sui finanziamenti al sistema-istruzione, sulla mancanza di percorsi scolastici post-diploma non universitari, sulla mancanza di scuole di eccellenza post-universitarie.
Invece, per ragioni che hanno a che fare con i risultati concreti, penso che abbiamo ragione noi sul modulo e sulla valutazione per giudizi, e non per voti, nella scuola di base e primaria. Tanto è vero che nei paesi scandinavi, che il ministro Gelmini sostiene che dovremmo prendere a modello per i risultati, il modulo ce lo hanno “copiato” addirittura nella scuola secondaria, e la valutazione numerica non esiste fino a 14 anni.
Non so come faccia a formulare le percentuali su mediocri-buoni-da licenziare, dal momento che non ci sono prove di valutazione che consentano di formulare alcun giudizio. Le ripeto: quando me ne faranno vedere una, dal momento che sarò obbligato a compilarla, la valuterò con attenzione: fino a quel momento parole come “valutazione”, “selezione”, “meritocrazia” sono solo aria fritta e propaganda.
Sui 200.000 precari della scuola, cerchiamo di capirci, perché il confine con la propaganda del ministro Gelmini è molto sottile. Di cosa stiamo parlando? Se stiamo parlando di docenti precari, sono (dati ministeriali ultimi alla mano) 116.973; aggiungendo i bidelli, segretari, tecnici e ogni altra figura di collaboratore scolastico si arriva a 181.743. La loro regolarizzazione non comporta, come viene fatto credere dal ministro, 200.000 (che poi sono 180.000) nuove assunzioni, dunque nuovi stipendi, perché si tratta di lavoratori che già lavorano per l’intero anno, e senza i quali la scuola non andrebbe avanti.
Senza questi collaboratori (tra i quali ci sono circa 40.000 bidelli precari, cioè 1 ogni 2 assunti!) migliaia di scuole non potrebbero aprire la mattina per mancanza dei requisiti minimi di sicurezza. In quanto precari, prendono, in violazione a una legge dello Stato che viene applicata solo ai docenti di religione, il salario minimo senza scatti di anzianità.
Lei dice che assumerli sarebbe la fine delle possibilità innovative dell’Italia? Facciamo due conti e vediamo se è vero. Regolarizzare 40.000 insegnanti in 5 anni costerebbe circa 3.000 milioni di euro: cioè l’equivalente del ridimensionamento, all’interno dei parametri richiesti dall’Unione Europea, dell’esercito; regolarizzare altrettanti collaboratori in un quinquennio costerebbe l’equivalente di quanto lo Stato spende per versare ai comuni la cifra (peraltro inadeguata) compensativa del taglio dell’ICI.
Mi sembrano cifre assolutamente alla mano per uno Stato che abbia un minimo di politica sociale, almeno finché l’articolo 3 della Costituzione continuerà a dettare i compiti dello Stato. Perché, mi chiedo: se lo Stato non esiste per garantire una vita decente, degna di essere vissuta, ai cittadini, che cosa esiste a fare?
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Per saperne di più: l’introduzione de La scuola è di tutti e un brano.
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L’occhio del Lupo
Il primo premio è mio!
Lo sapete tutti, gli insegnanti migliori saranno premiati. Uno stipendio in più all’anno – pensa.
Voci in capitolo tra gli altri, per decidere i meritevoli, alunni e genitori.
Colleghe e colleghi carissimi, mi spiace per voi, ma io sto messo benissimo. Frescacce ne sparo parecchie, i pischelli con me ridono spesso e volentieri. Il punto di vantaggio lo vedete da soli. In più, sono bellino, e certe mamme sono sensibili all’argomento – non so se mi spiego.
(michele lupo)
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La settimana scolastica
Questa settimana è in primo piano l’università, tanto che ai suoi problemi L’Espresso dedica uno speciale. Innanzitutto per la notizia che, in seguito alle proteste del rettore dell’Università Cattolica di Milano, nel maxiemendamento al ddl stabilità il governo ha reinserito i fondi che erano stati cancellati negli ultimi tre anni per l’università: però solo per “le università non statali legalmente riconosciute”. E’ partita una petizione al Presidente della Repubblica: No ai tagli, no al finanziamento alle private.
Per i laureati, invece, poche speranze: per le commissioni per i concorsi pubblici lo Stato spende 3 miliardi l’anno, ma tali prove sono una beffa per i candidati che riescono a superarle. 7000 gare in un anno, ma 100.000 vincitori attendono inutilmente l’assegnazione del posto di lavoro.
Continuando con le cattive notizie, secondo la procura la ‘ndrangheta ha condizionato la facoltà di Architettura dell’Università di Reggio Calabria, controllando test d’accesso ed esami. Sono stati emessi 11 informazioni di garanzia nei confronti di altrettanti docenti, impiegati e studenti dell’ateneo.
Intanto il rettore dell’università di Firenze invita tutti gli studenti, con una formula nuova, una email personale, in genere usata solo per comunicazioni di tipo accademico, a una messa in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. E scoppiano le polemiche, c’è chi accusa l’università di una mossa “irrispettosa” e chi, come gli Studenti di sinistra, parla di un “totale spregio al principio di laicità dello Stato”.
Comunicazioni inusuali anche a Milano, dove una lettera col marchio del Comune viene recapitata in questi giorni nelle caselle postali di oltre centomila famiglie con figli iscritti nelle scuole milanesi. Due pagine per dire quanto ha fatto dal Comune per la scuola. Spot elettorale con soldi pubblici, criticano le opposizioni, dicendo solo quanto fatto, ma omettendo le carenze e i problemi irrisolti.
Per quanto riguarda le mobilitazioni degli studenti, la giornata clou è stata il 17 novembre: circa 200 mila studenti sono scesi nelle piazze di 100 città italiane per la giornata di mobilitazione internazionale per il diritto allo studio.
“Vogliamo fondi per l’università pubblica e la scuola pubblica da investire prima di tutto sull’edilizia scolastica e sulle borse di studio, vogliamo che la valutazione diventi uno strumento per schiacciare il potere dei baroni e per alzare la qualità della didattica e dei servizi offerti dagli atenei - affermano l’Unione degli universitari e la Rete degli studenti -, vogliamo una didattica scolastica fatta di insegnati competenti e preparati e non licenziati, non un riordino che taglia tutto il possibile portando al collasso le nostre scuole”.
Le proteste contro i tagli all’istruzione della “riforma” proseguono nei licei, mentre il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della giornata nazionale per infanzia e adolescenza torna a parlare sulla necessità della “destinazione alla scuola e alla società civile di risorse economiche e culturali adeguate”.
Il ministro Gelmini risponde con l’annuncio che i professori più meritevoli avranno un premio, a partire da quest’anno, una mensilità di stipendio in più. Un progetto che partirà, per ora, in venti scuole di Torino e Napoli (selezionate tramite sorteggio). Premi anche alle scuole più brave, scelte tra quelle di Pisa e Siracusa. Proteste tra gli insegnanti: i premi saranno finanziati con una parte del 30% dei risparmi ottenuti grazie ai tagli. Inoltre i professori bravi meritano un premio. Ma non quello improvvisato dal governo.
Nonostante tale progetto “storico” la visita di venerdì 12 Novembre all’IS Falcone di Gallarate da parte del Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini si è svolta in una scuola semideserta, da cui sono stati allontanati studenti e docenti.
Per finire, due buone notizie: una che arriva dalla Francia dà ragione alle proteste dei docenti italiani contro l’introduzione del voto numerico alle elementari reintrodotto dal ministro Gelmini. Basta con i 4 e i 5 alla scuola elementare, meglio giudizi che “non umiliano” i bambini, troppo piccoli per reggere stress e competizione. Si esprime in tal senso un appello firmato da scrittori come Daniel Pennac, politici come l’ex primo ministro Michel Rocard, psichiatri come Boris Cyrulnik. Il Nouvel Observateur lo ha pubblicato integralmente e in rete giungono centinaia di adesioni di insegnanti e genitori.
L’altra è che negli ultimi giorni la richiesta pressante di stabilizzare i precari è venuta anche dal Capo dello Stato (i precari della scuola priorità per il Paese) e dal Governatore della Banca d’Italia, Draghi (“senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari, si indebolisce l’accumulazione di capitale umano specifico, con effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità”), oltre che dal presidente della Camera, Fini (“la protesta dei precari è sacrosanta”). Diventa più difficile, a questo punto, per il ministro Gelmini e, soprattutto, per il ministro Tremonti, ignorare il peso di queste dichiarazioni.
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Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.
Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.
Guide alla scuola della Gelmini qui.
Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.
Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.
Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.
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Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.
Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.
Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Cub.
Spazi in rete sulla scuola qui.
(Vivalascuola è curata da Francesco Accattoli, Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)