Facciamo che hai un sogno.
Facciamo che per i primi quindici anni della tua vita è l’ultima cosa a cui hai pensato prima di addormentarti.
Facciamo che nei successivi cinque anni hai studiato, hai esplorato e hai deciso di provarci.
Solo che agli altri, del tuo sogno, non importa granché.
Ti senti lasciato solo.
È rischioso, pensi.
È infantile, pensi.
Metti il tuo sogno in un angolo e pensi che tanto prima o poi qualcuno più bravo se lo porterà via.
Passano gli anni.
Tiri a campare, come tutti, strozzato dai pagamenti e senza un obiettivo.
Il tuo sogno sempre lì, in quell’angolo dove l’avevi lasciato.
Forse non è un gran sogno se nessuno lo nota, pensi.
Ma non hai un’aria convinta.
Com’è possibile, ti chiedi. Com’è possibile che solo io lo voglia inseguire.
Allora decidi. Ti alzi e vai verso di lui.
Abbandoni la sedia calda.
Vai verso l’angolo dove anni fa avevi lasciato il tuo sogno.
Che è sempre lì, nessuno lo ha notato.
E sei ancora più incazzato per questo.
Attraversi uno sciame di gente che va verso la direzione opposta.
Che ti strattona.
Ma alla fine arrivi.
E lo abbracci.
E te ne innamori.
E ci sei dentro.
E a quel punto succede qualcosa di straordinario.
Ti giri e applaudono tutti.
Grande, urlano.
Ma come, farfugli.
Ma come mi davate tutti contro fino a un attimo fa.
Finché capisci.
E ridi.
Ridi, ridi, ridi, ridi, ridi, ridi, ridi.
Che stupido, dici, come ho fatto a non pensarci prima.
Non era realtà quella in cui vivevi.
Non era realtà, quella in cui vivevi.
Bastava svegliarsi per rendersene conto.